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giovedì 5 gennaio 2017

CONCUPISCENZA

1. Che cosa è la concupiscenza? — 2. La concupiscenza», non è il peccato: il peccato viene dalla volontà. — 3. La concupiscenza è il focolare del peccato. — 4. In qual modo la concupiscenza ci tenta. — 5. Triplice concupiscenza. — 6. Concupiscenza della carne. — 7. Concupiscenza degli occhi. — 8. L’orgoglio della vita, terza concupiscenza. — 9. Come la concupiscenza sia penosa ed umiliante. — 10. Danni della concupiscenza. — 11. La concupiscenza lascia l’anima vuota; l'obbedirle è una disgrazia. — 12. Castighi che porta con se il consenso alla concupiscenza. — 13. Quanti meriti procuri la concupiscenza a chi le resiste. — 14. Chi combatte da forte la concupiscenza è contento. — 15. A vincere la concupiscenza ci vuole energia. — 16. Mezzi per vincere la concupiscenza.

1. Che cosa è la concupiscenza? — In se stessa la concupiscenza è l’appetito dei sensi, o inclinazione naturale ai beni sensibili; quest’appetito, questa inclinazione non sono cattivi, purché non si oppongano alla ragione ed alla legge di Dio. La concupiscenza non è una sostanza cattiva prodotta dal demonio; che ninna sostanza può essere cattiva in se stessa., né provenire dal demonio. Non è neppure il peccato originale, perché questo viene distrutto dal battesimo e la concupiscenza rimane nell’uomo anche dopo il battesimo. Non è finalmente, secondo che sostiene Calvino, un non so che di corrotto dal peccato originale e rassomigliante a fornace sempre accesa che vomita il peccato.

2. La concupiscenza non è il peccato: il peccato viene dalla volontà. La concupiscenza, nata dal peccato originale e da esso propagata non è il peccato ma la pena del peccato. Essa è un continuo soggetto di combattimento, di lotta, di vittoria; e solo allora diventa peccato, quando la volontà vi consente. Sia pure giusto un uomo, egli va ciò nulla di meno soggetto alla concupiscenza, come ad un tiranno; ma intanto non si può dire, in senso assoluto, schiavo del peccato, perché la concupiscenza non ci costringe punto a peccare. « Sentire i movimenti della concupiscenza, dice S. Demanio, non è peccato; ma il gustarli volontariamente e deliberatamente, questo è peccato ».

« Io sento, attestava di se stesso S. Paolo, nelle membra del mio corpo un’altra legge che contraria la legge del mio spirito e tenta soggiogarmi alla legge del peccato » (Rom. VII, 23). Cioè, provo in me un’inclinazione che mi tiranneggia, non già costringendo la mia volontà ad assoggettarvisi, ma sollecitandola mio malgrado e nonostante la mia resistenza anche vigorosa. Io sono costretto a sentire i movimenti ch’essa suscita in fondo al mio cuore, ma non obbligato a compiacermene. Noi siamo dunque sotto il giogo della concupiscenza, ma non del peccato.

La concupiscenza si fa in noi sentire, ma intanto non si ascolta, né le si obbedisce se non in quanto le si consente. I moti della concupiscenza non sono peccati quando sono involontari. « Non è condannato, scrive S. Agostino, se non chi piega la sua volontà alla concupiscenza della carne ». Non sta, in noi lo schivare o allontanare intieramente i movimenti della concupiscenza; quel che da noi e dalla nostra volontà dipende è il consentirvi; se lo facciamo, vi è peccato... « Sentire la concupiscenza, sentenzia il Crisostomo, è nella natura; ma desiderare il male, è solo della volontà ».

Il peccato sta tutt’intero nella volontà... « Non macchia affatto l'anima nostra, soggiunge S. Gregorio, quel pensiero immondo che si presenta alla nostra mente e la sollecita, ma la macchia quello che se la soggioga, facendo sì che vi acconsenta ». Se la concupiscenza fosse un peccato in se stessa, avrebbe Dio certamente esaudito San Paolo, quando lo pregava che ne lo liberasse; ora Dio non si arrese alla sua domanda, ma gli rispose che la virtù si rafforza nella debolezza (II Cor. XII, 9).

Quando dico gli affetti della carne, io parlo in maniera impropria, scrive S. Cipriano; poiché questi affetti in verità appartengono all’anima che è la sola che si sente, si muove, vive, ed a cui il peccato è imputato, perché a lei sola fu dato il libero arbitrio, la ragione, la scienza, il potere. Per mezzo di queste facoltà essa è in condizione di condannare il male, di rifiutarvisi e di scegliere il bene. L’anima si serve del corpo come il fabbro si serve dell’incudine e del martello per foggiare in quelle forme più impudiche che vuole, i suoi idoli e fabbricare falsi dèi a suo genio. Non è la carne che trascina al peccato; non è lei che l’insinua, che concepisce le opere malvagie; essa non è signora del pensiero, ma è l’arsenale dove si trovano gli strumenti del pensiero. È lo spirito che fa e consuma in lei e per lei tutto quello ch’esso ha divisato di fare. Che la carne sia insensibile è cosa evidente, se si osserva quando ne è partita l’anima: da quest’istante la carne non è più atta a nulla, non resta che una massa di corruzione. Tutto ciò che nell’uomo comprende e sente, è per natura estraneo al corpo... Parlando impropriamente si dice che la carne combatte contro lo spirito e che lo spirito lotta contro la carne e che tra di loro vi è opposizione, poiché questo combattimento avviene solo nell’anima la quale fa guerra a se stessa e lotta contro il suo volere. Ella conosce benissimo, in questa lotta, ciò che è cattivo e ciò che è buono, ma istupidita dal veleno del suo desiderio, abbandona il suo corpo all’ignominia; abbracciandosi e unendosi a lui, essa s’immerge nella voluttà snervante e quivi ambedue si addormentano. Allo svegliarsi, la confusione porta con sé un tardo pentimento e l’anima colpevole e corrotta si avvede dell’orrore delle sozzure (Prolog. Tract act, I. C.).

La concupiscenza e la tentazione non sono peccati, ma li generano se la volontà vi consente. « Il peccato, dice S. Agostino, esige talmente di natura sua il consenso della volontà, che se questa manca cessa di essere peccato ». E S. Bernardo osserva che il bene e il male sono cose non appartenenti al corpo. Gersone chiama la concupiscenza l’ambasciatrice di Satana alla volontà, per trarla a prestare il suo consenso... Ma se questa si rifiuta, nessuna forza e potenza ha l’ambasciatrice: essa rassomiglia, secondo la similitudine di S. Tommaso (De Peoaal.), ad un uomo che volesse incendiare una foresta senza fuoco.




3. La concupiscenza è il focolare del peccato. — La concupiscenza, dice S. Efrem, è chiamata la semenza del demonio, la ferita dell’anima, la piaga del cuore, l’albero che produce il male, una vipera (T. II Paraen). È la madre del peccato il cui padre è il libero arbitrio; la suggestione da una parte e il consenso della volontà dall’altra, rendono feconda la loro unione e ne fanno nascere tutti i delitti. La causa reale e più potente della tentazione, e per conseguenza del peccato, è la concupiscenza, perché porta la volontà, lo spirito, l’immaginazione a consentire al peccato. Da lei nasce l’irriflessione, l’ignoranza, la passione, l’abito cattivo, l’accecamento; essa copre e cela la malizia del peccato. A ragione pertanto è chiamata il focolare, il principio, la scuola del peccato e S. Paolo la chiama legge delle membra che ripugna alla legge dello spirito.




4. In qual modo la concupiscenza ci tenta. — « Ciascuno è tentato dalla sua concupiscenza che lo trae e lo alletta », scrive l’apostolo S. Giacomo (Iac. I, 14). E S. Gregorio Nazianzeno dice che la concupiscenza è un fuoco di cui il demonio suscita la fiamma.

La concupiscenza ci tenta, 1° come il serpente tentò Eva, ed Eva Adamo; 2 °ci spinge a far male, come la febbre ci stimola a bere dell’acqua, il che è nocivo.

Noi abbiamo perduto il freno della giustizia originale, con cui Adamo comprimeva e ratteneva siffattamente i moti della concupiscenza, che non potevano insorgere se non quando a lui pareva e piaceva: quindi la concupiscenza è in noi come un’ulcera viva che manda del continuo un nauseante fetore; somiglia a una cloaca, donde partono continuamente corrotti e pestilenziali vapori, una fornace ardente, da cui si sprigiona senza interruzione fumo e fiamma. La concupiscenza suggerisce notte , e giorno pensieri malvagi e ignominiosi, stimola allo sfogo di vergognose passioni. È un vulcano che non si estingue e il cui cratere sempre aperto lancia lungi e dattorno lava infiammata...

Può diminuire se è severamente e continuamente frenata, ma non muore mai tutta affatto finché l’uomo vive... E se il grande Apostolo, quel vaso di elezione, quell’uomo scelto da Dio a portare il suo santo nome in tutto il mondo, si sentiva molestato da questa maledetta nemica, che cosa non ne dobbiamo temere noi, miserabili peccatori, fragili canne?




5. Triplice concupiscenza. — « Non amate il mondo, insegna San Giovanni, né quelle cose che sono nel mondo. Chi ama il mondo, mostra di non avere in sé l’amore del Padre; perché tutto ciò che vi è nel mondo è concupiscenza di carne, concupiscenza d’occhi, superbia di vita » (I Ioann. II, 15-16).

Il serpente tentò Adamo ed Eva, con queste tre concupiscenze : con la concupiscenza della carne, stimolandoli a mangiare del frutto vietato; con la concupiscenza degli occhi, falsamente loro promettendo che i loro occhi si sarebbero aperti; con la concupiscenza dell’orgoglio allettandoli col dire : Voi sarete come dèi. Il diavolo tentò con queste tre concupiscenze Gesù Cristo nel deserto: con la concupiscenza carnale, suggerendogli di ordinare che quelle pietre si convertissero in pane...; con la concupiscenza d’occhi, dicendogli: Ti darò tutte queste cose se ti prostrerai ad adorarmi... con la concupiscenza d’orgoglio, sollecitandolo a precipitarsi dal cocuzzolo del tempio nella sicurezza che gli Angeli lo avrebbero accolto tra le loro braccia.

Questa triplice concupiscenza è contraria alla santissima Trinità: quella degli occhi, che è l’avarizia, a Dio Padre che è liberalissimo e comunica la sua essenza e tutto quello che ha al Figlio e allo Spirito Santo e, per partecipazione, alle creature. La concupiscenza della carne si oppone al Figlio la cui generazione non sa nulla di carne... L’orgoglio della vita è contrario allo Spirito Santo, spirito di umiltà e di dolcezza...




6. Concupiscenza della carne. — La concupiscenza della carne è l’amore dei piaceri del senso; questi diletti ci legano a questo corpo mortale di cui S. Paolo diceva: «O povero me! chi mi libererà da questo corpo di morte? » (Rom. VII, 21); anzi ce ne rendono schiavi, ci vendono a questo corpo di peccato, come si esprime il medesimo Apostolo (Rom. VII, 14). Giogo pesante quanto mai...; e funestissimo, perché ci porta alla gola, alla lussuria, ad ogni genere di spaventosi eccessi...; ha attirato sul mondo tutti i mali, le infermità, le malattie tutte, il diluvio, la morte... cagionò la distruzione di Sodoma, ecc... La concupiscenza carnale è una pianta avvelenata che stende i suoi rami per tutti i sensi e abbraccia il corpo intero... Serpeggia nella nostra carne una segreta tendenza ad una generale ribellione contro lo spirito; e per ciò San Paolo la chiama carne di peccato (Rom, VI, 6).

L’uomo si ribella a Dio; e il corpo allora cessa di stare soggetto al ribelle; l’uomo non è più padrone de’ suoi movimenti. L’insurrezione de’ suoi sensi gli fa conoscere la sua caduta, perché Dio l'avea fatto retto, esente dalle miserie della concupiscenza e padrone di se stesso; ma avendo l’uomo negato di sottoporsi a Dio, la carne si è rifiutata di sottoporsi allo spirito. Dopo la caduta dell’uomo, le passioni della carne sono divenute, per giusto castigo di Dio, vittoriose e tiranniche: e l’uomo che, per la sua immortalità, e la perfetta soggezione del corpo allo spirito, doveva essere spirituale anche nella carne, divenne, dice S. Agostino, carnale perfino nello spirito.




7. Concupiscenza degli occhi. — Altra sorgente di corruzione è la concupiscenza degli occhi, la quale, come dice Bossuet, consiste principalmente in due cose, delle quali una è il desiderio di vedere, di provare, di conoscere, in una parola la curiosità; l’altra è il diletto che provano gli occhi nel guardare oggetti capaci di abbagliarli, e sedurli.

La voglia di conoscere e sperimentare, si chiama concupiscenza degli occhi, perché fra tutti gli organi dei sensi, gli occhi sono quelli che più allargano la cerchia delle nostre cognizioni. Negli occhi, ossia nella vista, sono in certo modo compresi gli altri sensi, e nell’uso del linguaggio umano vedere e sentire hanno spesso un medesimo significato. Non si dice solamente — vedete come questo è buono, — ma ancora — vedete come questo fiore è olezzante, come questo strumento è maneggevole, come questa musica è dilettevole a udirsi. Perciò ogni curiosità si riferisce alla concupiscenza degli occhi (Traité de la Concup.).

Per la concupiscenza degli occhi si vuol vedere..., si brama di essere veduti...; si agogna alla ricchezza..., questa concupiscenza genera l’avarizia..., la vanità..., il lusso..., le spese spensierate, ecc...; tutto questo affascina, inganna gli occhi... Non amate dunque il mondo né le cose del mondo.




8. L’orgoglio della vita, terza concupiscenza. — L’orgoglio è una profonda depravazione, perché dove esso impera, l’uomo lasciato in sua balìa si tiene come un dio, tanto è l’eccesso del suo amor proprio. L’orgoglio è il vizio che instillò in fondo alle viscere nostre la parola del serpente ad Èva: « Voi sarete come dii» — (Gen. III, 5). « Quello che noi ci teniamo di più caro, quello che soprattutto ammiriamo e coltiviamo, diventa nostro dio », dice « Ognuno si forma un dio crudele della passione alla quale si abbandona », canta Virgilio, e un altro poeta notava che tre dèi ha il mondo: l’onore, le ricchezze, i piaceri.

Dall'orgoglio della vita nasce l’amor proprio, l’amore di se stesso. L’orgoglioso non si occupa che di se stesso, della sua volontà, del suo piacere; non è più, né vuol più stare soggetto alla volontà di Dio. Non amando che se stessi, si diventa intrattabili col prossimo... Invece di spingere l’amor di Dio fino al disprezzo di se stesso, si spinge l’amor di se stesso fino al disprezzo di Dio. Allora si adora il niente... Ma si degrada forse Dio? Oibò, si degrada se stesso: a Dio non si toglie nulla, ma tutto a se stesso, privandosi dell’appoggio, della luce, della forza e della sorgente di ogni bene; si diventa cieco, ignorante, debole, ingiusto, malvagio, schiavo del piacere, nemico della verità... Si vuol essere libero, e si diventa tale alla maniera degli animali che altra legge non hanno che quella dei loro appetiti... Tutto ciò è opera del demonio.

Ecco la follia, l’errore dell’uomo. Dio L'aveva fatto felice e santo; questo bene era di natura sua immutabile, e solo che l’uomo non avesse cambiato, sarebbe rimasto in una condizione immutabile; egli ha cangiato volontariamente, e ne segui la triplice concupiscenza: divenne superbo, curioso, sensuale. A guarirci di questi mali, Dio ci ha mandato un Salvatore umile, un Salvatore che cerca soltanto la salvezza degli uomini, un Salvatore annegato in un tal mare di pene, da essere detto per antonomasia l’uomo dei dolori come lo chiama Isaia (Bossuet, Traitè de la Concupisc.).




9. Come la concupiscenza sia penosa ed umiliante. — Noi siamo venduti alla concupiscenza, dice S. Paolo (Rom. VII, 14); e come oppresso dal peso della medesima, esclama: «O me misero! chi mi libererà da questo corpo di morte? » (Ib. 24).

« Ascolta, anima mia, così parla a se medesimo Ugo da S. Vittore, ascolta quello che tu sei: sei carica di peccati, legata da vizi, ammaliata dalle seduzioni, schiava alle membra, occupata dagli affari, stimolata dalle cure, lacerata dai timori, afflitta dai dolori, esposta agli errori, agitata dai sospetti, tormentata da ansietà, straniera in terra nemica, insozzata per le tue relazioni coi morti e presenti l’aspetto di coloro che abitano l’inferno ».

La carne si ribella allo spirito e lo spirito lotta contro la carne, dopodiché non facciamo quel che vorremmo fare, dice S. Paolo ai Galati (V, 17).

La concupiscenza è paragonata alla mignatta; perché 1° la mignatta sta nell’acqua fangosa e cerca con ardore di succhiare il sangue; la concupiscenza vive del brago delle passioni, si tutta nella carne e nel sangue e cerca soltanto ciò che imbratta... 2° La sanguisuga e la concupiscenza sono ambedue insaziabili, non soffrono che si tardi ad appagare il loro appetito, ma pretendono di essere soddisfatte senza indugio. 3° Sono ambedue molli e deboli. 4° La mignatta appetisce e gusta il sangue corrotto; la concupiscenza trova tutte le sue delizie in seno ai pensieri impuri, alle voglie cattive, alle azioni, vergognose. Ne volete esempi? Il collerico pensa solo al modo di sfogare l’odio e la vendetta che va meditando; il goloso non cerca che di contentare la gola; il lussurioso non brama altro che piaceri sensuali... 5° Le mignatte col succhiare il sangue di un uomo finiscono coll’infiacchirne le forze e lasciarlo esangue; la concupiscenza priva di forze l’anima ed il corpo e cagiona la morte temporale e l’eterna. 6° La sanguisuga si attacca con tenacia, e così fa la concupiscenza. 7° La mignatta ha del veleno, la concupiscenza perverte l’anima, l’avvelena e l’uccide. 8° La mignatta è armata di una specie di lametta con la quale fora la pelle; la concupiscenza ha un pungiglione con cui fora e impiaga la coscienza. 9° La bocca della sanguisuga è triangolare e fa una ferita a tre facce; una triplice ferita arreca pure la concupiscenza: nel corpo, nel cuore, nell’intelletto.




10. Danni della concupiscenza. — « Sono manifeste, dice S. Paolo, le opere della carne, le quali sono l’adulterio, la fornicazione, l’impurità, la lussuria, l’idolatria, i veneficii, le inimicizie, le contese, le emulazioni, le ire, le discordie, le sètte, le invidie, gli omicidi, le ubriachezze, le gozzoviglie, e cose simili, perciò vi avverto, come già vi dissi, che chi fa tali cose non conseguirà il regno di Dio ». (Galat. V, 19-21). Ecco le opere dell’uomo vecchio e della concupiscenza, quando la volontà vi si piega...

« Quando la concupiscenza ha concepito, dice l’apostolo S. Giacomo, genera il peccato; il peccato poi quand’è consumato partorisce la, morte » (Iac. I, 15). « E donde vengono le dissensioni e le risse che tra voi si veggono? Non forse dalle vostre concupiscenze che combattono nelle vostre membra? Ah! voi siete pieni di voglie e non avete quello che desiderate » (Id. IV, 1-2).

« Quegli sul quale piove il fuoco della concupiscenza, dice S. Gregorio, non può più vedere il sole dell’intelligenza

». E se la concupiscenza non fosse fuoco, soggiunge il Crisostomo, non incendierebbe la casa (Homil. ad pop.).

« Ogni passione è una tempesta, scrive S. Agostino, per chi la fomenta. Ami tu l’oceano del secolo? t’inghiottirà; perché esso può annegare, ma non portare i suoi ».

Benché Adamo e la sua progenie siano stati feriti nell'intelletto, nella memoria, nella volontà, e nell'appetito irascibile, ben più profondamente però furono feriti nell’appetito concupiscibile. A quel modo che una belva affamata si avventa alla preda per sbranarla, così la concupiscenza si scaglia su l’uomo per afferrarlo, trascinarlo ai piaceri animaleschi e crudeli e abbandonarlo in balia del peccato.

« Se tu assecondi la tua anima nelle sue concupiscenze, ci avverte l’Ecclesiastico, darai motivo di rallegrarsi a’ tuoi nemici » (Eccli. XVIII, 31).

« Il corpo che si corrompe, aggrava l’anima », sta scritto nella Sapienza (Sap. IX, 15); e quindi l’uomo che si lascia vincere e dominare dalla concupiscenza, può applicale a se stesso quelle parole del Salmista: « Non ha sanità la mia carne, non hanno pace le ossa mie a cagione de’ miei peccati. Poiché le mie iniquità sormontano il mio capo e come peso grave mi premono. Si sono corrotte le piaghe mie a cagione della mia stoltezza.. Sono divenuto miserabile e sono fuor di misura incurvato; io n’andava tutto il dì carico di tristezza. Perchè sono pieni d’illusioni i miei reni e nella carne mia non è sanità. Sono abbattuto ed annichilito oltremodo, sfogava in ruggiti i gemiti del mio cuore. Signore, sotto i tuoi occhi è ogni mio desiderio e non t’è nascosto il mio gemere. Il mio cuore è turbato, la mia forza mi ha abbandonato, e lo stesso lume degli occhi miei non è più meco » (Psalm. XXXVII, 3-10).




11. La concupiscenza lascia l’anima vuota; l’obbedirle è una disgrazia. — « Passa il mondo e la sua concupiscenza » (I Ioann. II, 17), dice S. Giovanni, e l’apostolo San Giacomo ci avvisa che non giungeremo mai a saziare l’appetito che ci stimola (Iac. IV, 2).

La concupiscenza riduce la sventurata sua vittima alla deplorabile condizione del prodigo del Vangelo. La conduce in paese straniero dove gli fa dar fondo ad ogni suo avere in mezzo ad una vita voluttuosa. Ridotta poi alla miseria, quest’anima, ludibrio delle passioni., sopravviene la carestia e cade nell’indigenza. A questo punto, il tiranno a cui si è venduta, la manda al governo dei porci, dove non le è nemmeno permesso saziarsi del cibo di questi immondi animali (Luc. XV, 13-16). Ah sì! la concupiscenza è un male che tortura l’anima facendole bramare le cose di quaggiù incapaci di saziarla e dissetarla. La consegna in preda alle noie, ai disgusti, agl’inganni, ai timori e a mille dolori.

Desiderate e non giungete ad avere quello che bramate. 1° Voi desiderate perché non avete e questo desiderio prova che voi siete povero ed infelice...; 2° desiderate e non avete, perché insaziabile è la concupiscenza...; 3° desiderate e non avete, perché quel che avete più non vi basta, è divenuto per voi cosa insipida e nauseante...; 4° desiderate e non avete, perché nel punto medesimo in cui un oggetto, da voi ardentemente cercato, vi procura un diletto effimero, questo diletto rapidamente svanisce...;

5° desiderate e non avete, perché non siete propriamente voi che possedete la cosa bramata, ma è lei che possiede voi; essa vi afferra e voi non la tenete; 6° avviene spesso che non potete godere la cosa agognata; 7° sovente ancora non osate servirvene dopo di averla lungo tempo sospirata. L’avaro, p. es., ammassando ricchezze vive miseramente, si priva di ciò che si è procurato e soffre la fame; finché non ha, aspetta; quando arriva ad avere, non ha il coraggio di godere di ciò che possiede; ecco come la concupiscenza si prende giuoco delle sue vittime e le rende infelici...




12. Castighi che porta con sé il consenso alla concupiscenza. — La concupiscenza è un sogno che tormenta e chi di lei si fa schiavo, viene castigato da quelle cose medesime per le quali pecca (Sap. XI, 17). L’avaro brama le ricchezze, ed esse faranno il suo tormento... L’impudico brama i piaceri carnali ed essi formeranno lo strumento del suo supplizio; egli arrossirà di se medesimo, e per poche gocce di miele selvatico amareggerà tutto il calice a cui appressa le sitibonde labbra.

Chi cede all'impero della concupiscenza, trova nell’appagamento delle sue brame la perdita della ragione, della memoria, della volontà, della libertà, della sanità, della bellezza, della fama, della vita; vi trova le tenebre, la schiavitù, le malattie, i rimorsi, l’abbrutimento, la disperazione, una morte prematura e crudele, la maledizione di Dio e degli uomini, finalmente l’inferno eterno.

« Nell'inferno, dice S. Cipriano, i dannati saranno arsi in fiamme alimentate dalle loro medesime libidini lussuriose; entro prigioni infocate bruceranno i miseri loro corpi, in castigo degli ardori della concupiscenza a cui si abbandonarono in terra ». Dalla fonte donde nasce il peccato, sgorga ancora la punizione, scrive il Crisostomo; e S. Agostino esclama: « È vostra disposizione, o Signore, e non si muta, che ogni spirito sregolato sia punizione a se medesimo ».

« Essi s’abbandonarono alla concupiscenza nel deserto, dice il Salmista, si aperse la terra e li inghiottì vivi » (Psalm. CV, 15-18).




13. Quanti meriti procuri la concupiscenza a chi le resiste. — S. Paolo, parlando dei moti di concupiscenza che involontariamente sentiva, diceva: « Quello che io fo, non intendo; poiché non fo il bene che amo, ma quel male che odio quello fo... Adesso poi non lo fo già io, ma il peccato che abita in me » (Rom. VII, 15-17).

« Affinché l’eccellenza delle rivelazioni non mi levi in orgoglio, -dice altrove il medesimo Apostolo, mi fu dato lo stimolo della carne, come un angelo di Satana che mi schiaffeggi. Perciò io ho pregato tre volte il Signore che me ne liberasse; ma avendomi egli risposto: Ti basta la mia grazia, perché la forza nella debolezza si perfeziona, io andrò ben glorioso delle mie infermità affinché la virtù di Gesù Cristo trionfi in me » (II Cor. XII, 7-9).

« Ottimo autore della virtù, dice S. Gregorio, è il sentimento della propria fiacchezza in faccia alle avversità ed alle tentazioni; alle quali poi si va soggetto fino a un certo punto, affinché l’anima fedele, la quale si eleva interiormente alle più sublimi virtù, ma esteriormente è tentata, non abbia ragione né di disperare né d’insuperbire. Così noi arriviamo a conoscere quello che abbiamo ricevuto da Dio nella via del nostro progresso e dalle nostre mancanze impariamo che cosa siamo da noi medesimi ».

Dio permette, dice S. Bernardo, che la concupiscenza viva in noi e ci affligga profondamente per umiliarci, ed affinché, conoscendo per prova quello che la grazia ci fornisce, siamo spinti a domandarla incessantemente. Così fa Dio con noi nelle colpe leggere, che non ne siamo mai liberi del tutto, affinché impariamo che, se non ci è dato evitare tutti i peccati veniali, molto meno eviteremo, con le sole nostre forze, i peccati mortali ed affinché tenendoci sempre nella vigilanza e nel timore, usiamo ogni premura e precauzione per non perdere la grazia di cui conosciamo per continua esperienza, l’indispensabile necessità (Serm, in Coena Dom.).

« Io mi compiaccio delle mie infermità, diceva S. Paolo, perché quando sono debole, allora sono potente » (II Cor. XII, 10). «Vedete voi, dice S. Bernardo, come la debolezza della carne aumenta e invigorisce le forze dell’anima? Al contrario la forza della carne snerva lo spirito. E che meraviglia se, fiaccato il nemico, voi diventate più forti? a meno che trattiate stoltamente da amica quella carne la quale non cessa mai di congiurare e di ribellarsi contro lo spirito ».




14. Chi combatte da forte la concupiscenza è contento. — Tertulliano dimostra che riesce assai vantaggioso anche alla carne, che l’anima resista alle sue concupiscenze, affinché sia la carne anch’essa mondata da’ suoi vizi. « La carne non è nostra nemica e quando si resiste alle sue lusinghe, allora si ama, perché si guarisce ». La continenza e la mortificazione dei sensi, dice ancora questo grave autore, hanno qualche cosa d’infinitamente più dolce che non tutte le pretese dolcezze della concupiscenza; questa mortificazione arresta e guarisce la concupiscenza che si oppone alla carità ed alla sapienza. Essa pone la persona in grado di ripetere col grande Apostolo: Io vivo, non più io, ma è Gesù Cristo che vive in me. « Poiché se non sono più io che vivo, io sono più felice; e quando si leva all’infuori di .me qualche movimento conforme all’uomo vecchio, ed io, sottomesso lo spirito alla legge di Dio, non gli consento, ben posso dire col medesimo Apostolo: questi movimenti non sono miei, non mi appartengono, io non ne sono l’autore ».

Che contentezza non provano lo spirito, la carne, il cuore, la coscienza, nel combattere e vincere la concupiscenza!.,. Allora la carne è sottomessa allo spirito, lo spirito a Dio e Dio entrambi li benedice. Gesù Cristo fa del corpo sue membra, e lo Spirito Santo ne forma il suo tempio; questo spirito di amore stabilisce la sua dimora nell’anima; la divinizza...




15. A vincere la concupiscenza ci vuole energia. « La somma della professione cristiana, scrive S. Lorenzo Giustiniani, non consiste nel fare miracoli, nel predire il futuro, nel parlare eloquente, nel conoscere a fondo le sacre Scritture e spiegarle dottamente, ma nel combattere e soggiogare le proprie concupiscenze ».

Dice Tertulliano: «L’apostolica tromba infiamma alla battaglia i soldati cristiani, con far risuonare alle loro orecchie quelle parole: Non regni il peccato nelle vostre membra mortali sì che vi lasciate trarre ai loro appetiti» (Rom. VI, 12). Combattiamo da forti per abbattere i nostri nemici e per non essere da loro sconfitti. In questa lotta tutta la vittoria, sta nel non rimanere ferito.




16. Mezzi per vincere la concupiscenza. — I mezzi per vincere la concupiscenza sono: 1° Il timor di Dio. « Trafiggete la mia carne col vostro timore, o Signore» (Psalm. CXVIII, 120), diceva il Salmista. Questo salutare timore è spada potentissima per uccidere ogni disordinato desiderio della concupiscenza...

Il 2° mezzo è indicato da S. Paolo in quelle parole ai Galati: « Camminate secondo lo spirito » (Gal. V, 16). Voi siete impegnati in tal guerra, dice S. Agostino, in cui dovete combattere non solamente contro le diaboliche suggestioni, ma principalmente contro voi medesimi. — Come, direte voi, contro noi medesimi? — Sì, contro le vostre vecchie concupiscenze, contro le cattive abitudini che vi trascinano e v’impediscono di darvi ad una vita nuova. Una nuova vita si offre a voi dinanzi e voi siete invecchiati nel male. Sospesi tra la gioia che accompagna la vita dello spirito e le attrattive della vita sensuale, dovete lottare dentro e contro di voi. Ma dall’istante in cui dispiacerete a voi medesimi, sarete uniti a Dio, sarete in grado di vincervi, perché Colui che tutto vince sarà con voi. Udite quello che dice il grande Apostolo: io servo alla legge di Dio per lo spirito, e servo alla legge del peccato per la carne. Ora, come servite voi per lo spirito? Detestando la vostra vita malvagia. Come servite per la carne? per ciò che le cattive inclinazioni e le malnate passioni in voi abbondano; ma unendovi a Dio trionferete della ribellione della concupiscenza. Ah! volgetevi a Colui che v’innalza. Ma per qual motivo permette egli questo lungo combattimento in cui dovete lottare contro voi medesimi? Affinché comprendiate che questa pena deriva da voi. Voi siete gli autori della flagellazione che sopportate: vi combattete voi medesimi. Dio si vendica di colui che a lui si è ribellato permettendo che giacché non volle avere la pace con Dio, diventi a se stesso un fomite di guerra. Ponete le membra vostre in guardia contro le vostre malvagie passioni. La collera, per esempio, si accende; soffocatela, unendovi a Dio; ha potuto sorgere, ma almeno non troverà armi : vorrà avventarsi impetuosa, ma non avrà armi con cui ferire, perché la lascerete disarmata. E allora questo movimento senza forza e senza effetto sarà come non avvenuto (In Psalm. LXXV). Lo stesso accadrà di ogni altra passione: obbedendo allo spirito, ridurrete all’impotenza le passioni...

Regolatevi a norma dello spirito, dice S. Paolo, e voi non adempirete le voglie della carne. « Perchè la carne appetisce contro lo spirito e lo spirito contro la carne; di maniera che non fate punto quelle cose che desiderate » (Gal, V, 17).

« Le passioni, scrive S. Anselmo, non vi lasciano fare quello che volete, e voi dal canto vostro impedite toro di fare quello che esse desiderano; e cosi né voi né esse farete quello che volete. Ancorché vi siano in voi delle concupiscenze, esse non saranno vittoriose, perché voi non consentirete a fare ciò che vi suggeriscono. Ma le buone opere dello spirito a cui porrete mano, non potranno essere condotte a termine se non col soffrire, col combattere e col resistere alla concupiscenza e non si possono compiere nella gioia e nel riposo ».

Si leva. in te la concupiscenza? dice S. Agostino; non obbedirle; non tenerle dietro; è colpevole, è lasciva, è turpe; ti allontana da Dio.

3° Fuggire. « Fuggite, dice S. Pietro, la corruzione della concupiscenza che è nel mondo » (II Petr. 1, 4). Non affezionatevi al mondo scrive S. Giovanni, né a cosa nessuna del mondo, perché chi ama il mondo dà a vedere che non è in lui l’amore del Padre (I Ioann. II, 15).

4° Ricorrere a Gesù Cristo. «Per vincere la tua passione, quando si agita nel tuo cuore, bisogna invocare la divina potenza di Gesù Cristo », suggerisce S. Agostino.

5° Sperare e confidare in Dio. « In Dio ho posto le mie speranze, diceva il Profeta, e non temerò il potere della carne » (Psalm, LV, 4).

6° «Non andate dietro ai. vostri appetiti», leggiamo nell’Ecclesiastico. La concupiscenza è una sirena la quale mandando fuori un certo canto dolce, effeminato, ammaliante, cerca di trarre a sé gli uomini per divorarli. Atteniamoci dunque al consiglio di S. Agostino: «Si ribella, a te la concupiscenza? ribellati anche tu a lei; ti attacca? e tu assaltala; ti assedia? e tu assediala; bada solo che non ti vinca ».

7° Quando la concupiscenza con importune sollecitazioni vi preme, ricordatevi che essa non è, come si finge, vostra amica, ma capitale nemica, e diportatevi come prodi soldati all’appressarsi del nemico.




 



 

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