1. Il cielo è il capolavoro di Dio. — 2. Differenza tra il cielo e la terra. — 3. Il cielo è la vera patria. — 4. Bellezze e ricchezze del cielo. — 5. Chiarezza e splendore degli eletti: prima fonte della loro felicità in cielo. — 6. Unione degli eletti con Dio : seconda fonte della loro felicità nel cielo. — 7. L’unione degli eletti tra di loro e la vicendevole partecipazione dei beni: terza fonte della loro felicità. — 8. Nel cielo Dio farà la volontà degli eletti, e gli eletti faranno la volontà di Dio: quarta fonte della loro felicità. — 9. Nel cielo gli eletti saranno re: quinta fonte della loro felicità. — 10. Nel cielo gli eletti saranno quali dèi: sesta fonte della loro felicità. — 11. Nel cielo i beati toccheranno il sommo della felicità, godranno tutti, i beni. — 12. I corpi degli eletti parteciperanno, dopo la risurrezione, della loro gloria. — 13. Il cielo durerà in eterno. — 14. È facile andare in cielo. — 15. Mezzi per guadagnare il cielo : 1° Bisogna desiderarlo; 2° Mantenersi puri; 3° Farsi violenza; 4° Vincere e perseverare con pazienza; 5° Studiare negli esempi dei santi e particolarmente dei martiri; 6° Usare del mondo come se non ne usassimo; 7° Meditare su quello che è il cielo; 8° Santificarsi.
1. Il cielo è il capolavoro di Dio. — La voce paradiso viene dalla parola ebraica Pard.es o Para, che vuol dire giardino dei Mirti e da essa i Latini foggiarono il loro Paradisus, paradiso.
Vi sono tre cieli : l’atmosferico, l’astronomico, l’angelico che è la sede della divinità e a cui si dà il nome di paradiso.
S. Tommaso, cercando se Dio potrebbe fare cose più grandi, più perfette di tutte le già fatte, risponde che sì, eccetto però tre: Gesù Cristo, la Beata Vergine Maria, la felicità degli eletti, ossia il paradiso. L’umanità di Gesù Cristo, ha da essere eccettuata, dice, perchè unita a Dio in ipostasi; la Beata Vergine, perchè madre di Dio; la beatitudine creata, perchè è il godimento di Dio. Queste tre cose rilevano dal bene infinito, Dio, una certa infinità di perfezione; e sotto questo riguardo, Dio non può fare cosa migliore di queste, come nulla vi può essere migliore di Dio (1ª lªe q. 2, art. 6). In queste tre cose Dio ha dato fondo, possiamo dire con S. Agostino, ai tesori della scienza, potenza e bontà sua.
2. Differenza tra il cielo e la terra. — A formarci un’idea del cielo e della felicità degli eletti, consideriamo l’immensa distanza che corre tra la terra e il cielo.
Che cosa è la vita su la terra, se non una lenta morte?... Io non so, diceva S. Agostino, se devo chiamare questa vita una morte che vive, o una vita che muore (Medit. c. XIX).
« I padri nostri, scriveva S. Paolo agli Ebrei, si confessavano stranieri e viaggiatori su la terra » (Hebr. XI, 13). « Come brutta mi appare la terra, quando guardo il cielo! », esclamava S. Ignazio di Loiola. E S. Agostino domanda: « Quale delle due volete? Vi gusta amare le cose temporali e perire col tempo, ovvero non affezionarvi al mondo e vivere in eterno con Dio? ».
Quanto esiste sulla terra, è vano, mutabile, breve, corruttibile, ingannatore: nel cielo, al contrario, tutto è reale, eterno, immutabile, incorruttibile, vero e sicuro. La vanità delle cose terrestri sta in piena opposizione con la realtà delle celesti : in quelle tutto è fragilità, in queste solidezza; quelle passano in poco d’ora, queste durano eterne; le prime mutano, le seconde non cangiano; là è morte, qui è vita e vita imperitura. Su la terra è la menzogna, nel cielo la verità; sulla terra l’illusione, in cielo la sincerità; quaggiù i sudori, il lavoro, le pene, il timore; in cielo il riposo, la gioia, la sicurezza, la pace.
O suprema realtà, verità che non inganna, amore durevole, preziosa e cara eternità del cielo!
Prodigioso accecamento è il nostro adunque, dice S. Bernardo: aver sete d’amarezze e di peccati, tuffarci nel naufragio del mondo, cercare i mali d’una vita che fugge, dilettarci di languire infermi, piuttosto che anelare alla felicità dei santi, alla società degli angeli, alle delizie della vita contemplativa, dove rifulge la potenza di Dio e si aprono i tesori inesauribili della sua bontà infinita! (Medit.). « Ogni pagina della Scrittura, dice S. Agostino, ci esorta a staccarci dalla terra e sollevarci al cielo, sede della vera e somma beatitudine ». Quaggiù, continua il medesimo santo (Med. c. XIX), si vive nell’incertezza inquieta, lassù nel tranquillo possesso; quaggiù le amarezze, lassù l’eterna dolcezza; qua le grandezze pericolose, là una gloria ed una potenza che non inganna; in terra il timore che l’amico d’oggi sia il nostro nemico di domani, in cielo l’amico non cessa mai d’essere tale, perchè l’inimicizia è sconosciuta e impossibile; su la terra si teme perdere quello che ci fa gola, nel cielo Dio, autore dell’eterna ricompensa, la conserva inalterata e perpetua a chi ne gode. Nel mondo noi siamo disgraziati, navighiamo tra i fiotti di un mare burrascoso, esposti alle tempeste ed ai naufragi, incerti se afferreremo il porto. La nostra vita è un esilio, il nostro cammino corre tra rischi, e alla morte non sappiamo se arriveremo in cielo. Nel paradiso non v’ha nè esilio, nè pericoli, nè incertezze, nè naufragi.
Sette cose, al dire del Venerabile Beda, sono richieste alla felicità, dell'uomo, e non ci è dato trovare altrove fuorché in cielo: 1° una vita che non sia recisa dalla morte; 2° una gioventù non minacciata dalla vecchiaia; 3° una luce che mai non cessi di risplendere; 4° una gioia non mai amareggiata da tristezza; 5° una pace non soggetta a turbamenti; 6° una volontà non impedita da ostacoli; 7° un regno che non si possa più perdere... La terra non è che una prigione: ora « se così bella e gradevole è la prigione qual sarà la patria? » dice S. Agostino.
3. Il cielo è la vera patria. — Vi è, scrive il Nazianzeno, una patria per i grandi uomini, per le persone veramente virtuose: e questa è la Gerusalemme celeste che si comprende coll'intelletto, non queste città che vediamo chiuse in angusti recinti ed abitate da cittadini che passano e scompaiono. Ah! queste dimore terrestri, queste pretese patrie rassomigliano ad una scena di teatro (In Distich.).
S. Gregorio di Nissa diceva che S. Basilio non aveva mai temuto l’esilio, convinto che la vera patria, dell’umanità è il paradiso e la terra intera un luogo di comune esilio (Orat,.). E questa idea di considerare la terra qual luogo di bando, e guardare il paradiso come l’unica e vera patria, fu l’idea dei santi di tutti i secoli e paesi...
4. Bellezze e ricchezze del cielo. — « Nè occhio mai vide, nè “orecchio mai udì, nè cuore umano mai comprese quello che Dio ha preparato a coloro che l'amano», dice S. Paolo ai Corinti (1 Cor. II; 9). Nè occhio d'uomo mai vide; eppure che cosa non ha veduto l’occhio umano? Le bellezze del firmamento, le meraviglie della natura, le grazie della primavera, città immense, feste meravigliose, ecc. Orecchio non udì; e intanto da quali armonie non fu già deliziato? canti soavissimi, voci incantevoli, sinfonie dolcissime, il gorgheggio degli uccelli, l’eloquenza degli oratori, e cento altri meravigliosi suoni esso ha udito. Cuor d'uomo non comprese; eppure che cosa non comprende il cuore dell’uomo?... O grande e avventurato Apostolo, voi che rapito dalla terra e sollevato fino al terzo cielo avete veduto, inteso e concepito tante meraviglie, voi che avete contemplato Dio stesso, ci sapreste voi dare un saggio delle visioni vostre? — No, io non posso, perchè «ho udite arcane parole che l’uomo non può dire » (Il Cor. XII, 4).
A chi poi ne voglia un saggio, ecco come l’estatico di Patmos designa il cielo nuovo e la nuova terra da lui contemplata: «Uno dei sette angeli venne a me e disse : Vieni meco e ti farò vedere la Sposa dell’Agnello. E mi portò in ispirito sopra un monte alto e sublime, e mi fece vedere la città santa, Gerusalemme...; la quale avea la chiarezza di Dio; e la luce di lei era simile ad una pietra preziosa... e avea una muraglia alta e grande con dodici porte, tre ad oriente, tre a settentrione, tre a mezzogiorno, tre ad occidente, ed alle porte dodici
angeli. La muraglia della Città aveva dodici fondamenti, sui quali erano scritti i dodici nomi degli apostoli dell'Agnello; essa era costrutta di pietra jaspide; la città poi, tutta quanta era oro puro simile al cristallo. E i fondamenti delle mura della città ornati d'ogni sorta di pietre preziose. Il primo fondamento, jaspide; il secondo, zaffiro; il terzo, calcedonio; il quarto, smeraldo; il quinto, sardonico; il sesto, sardio; il settimo, crisolito; l'ottavo, berillo; il nono, topazio; il decimo, crisopraso; l'undecimo, giacinto; il duodecimo, ametista. E le dodici porte con dodici perle... e la piazza della città oro puro, trasparente come il cristallo. In essa non vidi tempio, perchè suo tempio è il Signore Dio onnipotente e l’Agnello. La città non abbisogna nè di sole, nè di luna che la rischiarino, perchè lo splendore di Dio la illumina, e sua lampada è l’Agnello... Non entrerà in essa nulla d’immondo, o chi fa, l’abbominazione e menzogna, ma quelli solamente che sono descritti nel libro della vita dell’Agnello. Poi mi mostrò un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio o dell'Agnello. Nel mezzo della piazza, e da ambo le parti del fiume, l'albero della vita che porta dodici frutti... Nè vi sarà più maledizione; ma la sede di Dio e dell'Agnello sarà in essa, e i servi di lui lo serviranno, e vedranno la faccia di lui, e ne porteranno il nome su le fronti. Nè vi sarà più notte. E mi disse: Oneste parole sono fedelissime e vere... Ed io Giovanni son quegli che vidi ed udii queste cose» (Apoc. XXI, XXII).
Considerate a parte le belle e ricche meraviglie che della città santa descrive Giovanni: 1° È la Gerusalemme novella in un cielo nuovo, ed in una, nuova terra. 2° E' il padiglione dove Iddio abita alla famigliare con gli uomini. 3° Dio asciugherà per sempre tutte le loro lagrime. 4° Dio rinnoverà ogni cosa. 5° La Gerusalemme celeste splende della luce di Dio; là non mai notte, ma giorno continuo; non bisogno di sole, di luna, di stelle, di lampade, perchè lo splendore della luce divina l’inonda e la chiarezza dell'Agnello vi lampeggia. 6° Ha un muro di jaspide; esso significa la forza e la sicurezza degli eletti. 7° Le sue dodici porte che mai non si chiudono, indicano che il cielo è aperto da tulle le parti e ad ogni ora, ai giusti ed ai santi senza distinzione di persone. 8° I dodici fondamenti denotano ch’essa riposa su la santità e su la dottrina dei dodici articoli del Simbolo apostolico. 9° E' quadrata per simboleggiare l’esatta e perfetta architettura e l’ammirabile unione de’ suoi abitatori. 10° La vastità e ampiezza accenna alla sua magnificenza ed al numero immenso degli abitanti, 11° D'oro puro com, cristallo sono gli edifizi e le piazze, perchè nel cielo tutto è puro e prezioso e agli eletti ogni cosa è manifesta. 12° Dio ne è il tempio, poiché gli eletti vedono, rispettano, onorano, adorano e lodano Dio e l’Agnello. 13° Le nazioni cammineranno allo splendore della sua luce e i re della terra le apporteranno nel seno la loro gloria, cioè nel cielo campeggeranno la pompa e la gloria di tutti i re, i principi, i pontefici, 14° Il fiume d’acqua viva adombra l’abbondanza della sapienza e di tutti i più puri diletti. Gli alberi così belli e fruttiferi designano l’immortalità e l’eternità.
« Quale non dev’essere, dice S. Bernardo, l’abbondanza di un luogo dove non si trova niente di ciò che non si vuole e si trova tutto ciò che si desidera? ». La mercede degli eletti, scrive altrove il detto Padre, è un torrente di delizie, un fiume straripante di godimenti. È un fiume che scorre sempre traboccante e non mai asciutto: si paragona ad un fiume non già perchè scorre, ma perchè ne ha la profondità (Serm. Error. huius saec.).
Fabbricato dalla mano medesima di Dio, che ne è l’impareggiabile ornamento, qual bellezza, quale splendore, quali ricchezze non deve avere il cielo! Infinitamente bello ha pur da essere il seggio degli eletti, preparato da Gesù Cristo medesimo, avendo egli affermato (Ioann. XIV, 2). Egli ha comprato e pagato a Dio Padre, col prezzo del suo sangue e della morte sua, le celesti dimore per darle a noi e se volete conoscerne il prezzo, stimate, se potete, quanto vale il sangue di Gesù Cristo...
« O buon Dio, esclama S. Agostino, che mai dobbiamo aspettarci dalle ricchezze di Colui la cui povertà medesima ci fe’ ricchi? Ah, il cielo è una città il cui re è la verità, la legge è la carità, la durata è l’eternità: ivi ogni maniera di beni abbonda, e non v’è mai penetrata ombra di male. Il regno dei cieli sopravvanza tutto ciò che se ne può dire, è superiore ad ogni elogio, ed ogni gloria immaginabile si lascia, dietro ».
« Di quanti e quali beni non colmerà nel cielo i suoi eletti quel Dio che di così grandi ne concede agli ingrati della terra? » nota S. Bucherici; e soggiunge che la fede non vale a comprendere, la speranza non basta ad abbracciare, nè la carità a capire quel che prepara Dio a’ suoi amanti: questo oltrepassa ogni voto e brama; si può acquistare, ma non stimare al giusto valore.
« Sia benedetto, dice S. Pietro, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il quale ci ha rigenerati nell’infinita sua, misericordia e ci ha dato la speranza della vita, di quell’eredità pura, immortale, incorruttibile che ci sta riservata in cielo » (1 Petr. I, 4); cioè in quella Sionne beata, dove Iddio sfoggia, per parlare col Salmista, tutta la grandezza e potenza sua (Psalm. XCVIII, 2). E con ragione, perchè se la gloria del Signore riempiva il tempio di Salomone, di quale sfarzo di gloria, direm così, non sarà pieno il cielo, luogo di sua dimora? Perciò Isaia annunziava che gli eletti avrebbero veduto il loro re in tutto lo splendore della maestà sua (Isai. XXXIII, 17).
Quindi il medesimo profeta chiamava i popoli del mondo a considerare ed ammirare Sionne la città delle feste, Gerusalemme soggiorno dell’abbondanza e della pace, tabernacolo inamovibile (Isai. XXXIII, 20); a cui onore, soggiunge Davide, molte glorie, meraviglie infinite furono narrate (Psalm. LXXXVI, 2); sebbene, come ripiglia Isaia, gli uomini non abbiano mai potuto farsi un’adeguata idea di ciò che il Signore tiene apparecchiato per coloro che l'amano: (LXIV, 4).
5. Chiarezza e splendore degli eletti: prima fonte della loro felicità in cielo. — Il Crisostomo, trattando della gloria e dello splendore dei santi nel cielo, dice che l’ultimo dei beati in paradiso è circondato da una luce più splendente di quella in mezzo a cui apparve Gesù Cristo nella sua trasfigurazione sul Tabor, perchè questa Egli dovette temperare in modo che la vista degli Apostoli potesse sostenerla, mentre l’anima può fissare uno splendore che agli ocelli del corpo è intollerabile. Di più, gli Apostoli non videro che la gloria esteriore, mentre nel cielo si vedrà a un tempo lo splendore interno ed esterno di Dio e di ciascuno degli eletti (Homil. ad pop.). Questi poi, dice S. Agostino, « vedono Iddio senza interruzione; lo conoscono senza tema di andar soggetti a illusione; l’amano senza pericolo d’offenderlo; lo lodano senza mai stancarsi ».
« Al presente, diceva S. Paolo, noi non vediamo Dio che in uno specchio ed a traverso di nebbiose imagini, ma allora lo contempleremo faccia a faccia. Adesso lo conosco solo imperfettamente, ma allora conoscerò lui a quel modo che io son ora da lui conosciuto » (I Cor. XVII, 12). Infatti Dio sarà tutto in tutti (Ib. XV, 28). Inoltre Dio è la luce e nel cielo, al dire del medesimo Apostolo, gli eletti saranno trasformati nella sua medesima imagine (II Cor. III, 18). « Miei carissimi, scrive S. Giovanni, noi siamo ora figli di Dio; ma quel che saremo un giorno, non si vede ancora; sappiamo però che quando si manifesterà nella gloria, saremo simili a lui, perchè lo vedremo tal qual è » (I Ioann. IlI, 2).
« Nel vostro lume noi vedremo la luce » (Psalm. XXXV, 9), diceva il Salmista. Infatti nel cielo la ragione è totalmente illuminata e l’intelligenza non ha da temere d’errore. Nel cielo i beati desiderano di vedere e vedono quanto desiderano... Vedono l’essenza di Dio in se stessa; comprendono i misteri della Santissima Trinità, dell'Incarnazione, ecc... Tutti gli attributi divini si fanno loro aperti e chiari... La divinità, di Gesù Cristo, dice S. Agostino, è come il grande sole che presiede al giorno della celeste beatitudine e la sua umanità è come la luna che presiede alla notte di questo secolo (De cìvit.).
Narra S. Teresa che Gesù Cristo le mostrò un dì la mano sua glorificata. Ora la santa, per darci un’idea del raggiante splendore di quella mano, dice: Figuratevi un limpidissimo fiume, le cui acque dolcemente scorrano sopra un letto di tersissimo cristallo; poi supponete che cinquecento mila soli, più splendenti del nostro, dardeggino riuniti su questo fiume tutti i loro raggi riflessi dal cristallo sul quale esso scorre; ebbene, questa smagliantissima luce non vi offre che un’oscura notte in confronto allo splendore della mano di Gesù Cristo. Ora chi può figurarsi l’immenso abisso di luce, che deve raggiare dall'umanità e dalla divinità di Gesù Cristo insieme congiunte, quando è tanto splendida una sola mano? Aggiungete allo splendore del Figlio quello del Padre e dello Spirito Santo, quello di Maria, degli angeli, dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei martiri, dei confessoli, delle vergini...
Ah! dice bene la Sapienza quando dà ai santi il massimo della luce (Sap. XVIII, 1); e para-
gona il loro splendore a quello di una fiamma appresasi ad un canneto (Ib. IlI, 7). E Tobia, guardando alla Gerusalemme celeste, la vedeva risplendere di vivissima luce (Tob. XIII, 13). E non fa meraviglia, poiché sopra di lei si riversa tutta la chiarezza di Dio (Psalm. LXXXIX, 17).
« Fortunati abitatori della città eterna, dice Isaia, il sole che splenderà sopra di voi non verrà mai a mancare, nè vi abbisognerà luce di luna: il Signore sarà egli medesimo vostro lume in eterno, e i giorni del vostro lutto saranno passati per sempre » (Isai. IX, 19-20). Il Signore ha promesso di dare a’ suoi eletti una terra degna dei desideri dell'uomo, uno splendido retaggio (Duini, 19). E S. Tommaso commenta così queste parole : «La patria celeste, eredità nostra, è illuminata dallo splendore della visione divina ». Che più? non è forse Gesù Cristo medesimo che disse: « Splenderanno i giusti, come sole, nel regno del Padre loro?» (Matth. XIII, 73).
A proposito di quelle parole di Gesù agli Apostoli: «Ancora poco tempo e mi vedrete» (Ioann. XVI, 16), S. Agostino dice: « Dio non ritarda molto l'adempimento delle sue promesse; ancora breve tempo e noi lo vedremo in luogo dove non avremo più nulla da domandare, perchè non ci rimarrà più nulla da desiderare o da cercare ».
« Gli eletti, scrive il citato Padre, sempre vedono Dio e sempre desiderano vederlo, tanto la vista di Dio è desiderabile. In questo piacere essi riposano pieni di Dio; sempre congiunti alla beatitudine sono beati; sempre contemplando l’eternità sono eterni; uniti al lume vero sono fatti luce. O beata visione che è quella di vedere nella sua magnificenza il Re degli angeli, contemplare il Santo dei santi, a cui tutti devono l’esistenza! Gioite ed esultate, o giusti; perchè vedete colui che amaste, avete quello che lungamente avete desiderato, possedete quello che più non temete di perdere; egli è la salute, la vita, la pace ed ogni bene ».
« Nel cielo, dice S. Bernardo, noi vedremo il decoro della gloria, lo splendore dei santi, la maestà di una potenza, veramente regale; conosceremo la potenza del Padre, la sapienza del Figlio, la bontà infinita delio Spirito Santo.
O gioconda visione; vedere Dio in lui stesso, vederlo in noi, e noi in lui giocondamente felici e felicemente giocondi ».
I santi sono illuminati dallo splendore di Dio e dal proprio, che è il riflesso di quello di Dio. Dio, l’eterno sole di giustizia, riempie il cielo ed i beati del suo divin decoro. Gli eletti figurano altrettanti soli tutt’intorno investiti dai raggi del sommo sole da cui traggono tutto il loro fulgore, mentre ciascuno di essi partecipa altresì alla chiarezza dei compagni di gloria. Tutti vedono Dio tutt’intero in tutti gli eletti, tutti si vedono in Dio, Dio è tutto quanto in tutti ed in ciascuno. O bel cielo, quante magnifiche cosi' di te si sono dette!
6. Unione degli eletti con Dio: seconda fonte della loro felicità nel cielo. — Nel cielo trova il suo pieno compimento la preghiera di Gesù Cristo al Padre riguardo agli apostoli: « Fa, che siano tutti una sola cosa, come tu sei in me, o Padre, e io in te, che siano anch’essi una sola cosa in noi... Io in essi, e tu in me, affinchè siano consumati nell'unità» (Ioann. XVII, 21-23). «Ecco, dice S. Bernardo, il fine, ecco la consumazione, ecco la perfezione, ecco la pace, ecco la gioia nello Spirito Santo, ecco il silenzio dell’estasi nel cielo ».
Dio è tutto in tutti i suoi eletti per spiegar in essi tutta la sua potenza; affinchè vi sia la vita, la salute, la virtù, l’abbondanza, la gloria, l’onore, la pace, tutti insomma i beni. Quelle parole dell’Apostolo, — Dio è tutto in tutti, — così si devono intendere, nota S. Gerolamo : il Signor nostro Salvatore non è quaggiù tutto in tutti, ma solo partitamente in ciascheduno. Egli è per esempio in Salomone con la sapienza, in Davide con la potenza, in Giobbe ed in Tobia con la pazienza, in Daniele con la conoscenza delle cose future, in Pietro con la fede, in Paolo con lo zelo, in Giovanni con la verginità, in altri con altri favori; ma giunta la fine del mondo, allora sarà tutto in tutti: ciascun santo avrà tutte le virtù e Gesù Cristo sarà tutt’intero in ciascuno di loro (Epl. ad Annuiti.).
Dio è tutto in tutti: 1° a quel modo che alcune gocce d’acqua cadute nell’oceano vi si perdono incorporandosi con la massa delle onde, cosi tutti i beati si perdono in Dio per la visione beatifica e per l’amore, restano assorbiti e incorporati in Dio, sommo bene e degno di essere sommamente amato. 2° Quest’unione degli eletti con Dio è simile alla luce del sole, la quale per tal modo penetra l’atmosfera, che questa sembra essere essa medesima la luce; e Dio riempie talmente del suo splendore e della gloria sua gli eletti, che essi somigliano più a dèi che a uomini. 3° È simile all’unione del ferro col fuoco. Al calore del fuoco il ferro si arroventa e par divenuto carbone acceso o più veramente fuoco; amando e possedendo Dio, i beati avvampano per tal guisa d’amore divino, che restano in certo qual modo trasformati in Dio. 4° Lo zuccaro stemprato nell’acqua si cangia in zuccaro; così Dio nutrisce e bea talmente di sua dolcezza i santi, da farli parer essi medesimi la dolcezza per essenza; poiché Dio è un oceano infinito di delizie, di gioia, di consolazione. 5° Le armoniose sinfonie dilettano soavemente le orecchie di quanti le odono; così gli eletti aspirano e respirano le armonie di Dio. 6° Uno specchio senza neo riceve e riflette al naturale le figure che gli si presentano, dimodoché pare ch’esse vivano e vi si muovano dentro; così i santi esistono, vivono e si muovono in Dio.
Chi varrà a comprendere, esclama S. Bernardo, la moltitudine e l’immensità dei godimenti racchiusi in queste due parole: Dio è tutto in tutti? Egli è la pienezza della luce per la ragione; la pace perfetta per la volontà; l’eternità per la memoria. O verità! o carità! o eternità! o Trinità beata e che rendi beato, la miserabile mia trinità dietro di te sospira, perchè è sventuratamente da te lontana. Sperate in Dio, ed ogni errore svanirà dalla vostra intelligenza, la vostra volontà cesserà da ogni resistenza, ogni terrore si partirà dalla vostra memoria, ed una luce ammirabile, una serenità perfetta, una sicurezza eterna, nostra gioia e nostro voto, ne prenderanno il luogo. Dio, in quanto è verità, farà la prima meraviglia; in quanto è carità, opererà la seconda; in quanto è somma potenza, produrrà la terza (Serm. XI, in Cantic.).
Nel cielo si verificheranno alla lettera le parole dell'Apocalisse: « Ecco che il padiglione di Dio sta eretto in mezzo agli uomini, ed egli abiterà con loro; essi saranno suo popolo, e Dio in seno a loro sarà loro Dio » (XXI, 3).
Si portano tra le mani i fiori per gustarne i soavi profumi che ne esalano; così tiene Dio nella sua mano, o meglio nel cuor suo, tutti i beati, e gode del soave profumo , delle loro virtù.
7. L’unione degli eletti tra di loro e la vicendevole partecipazione dei beni: terza fonte della loro felicità. — Sarà per gli eletti fonte di felicità indicibile l’amore che proveranno gli uni per gli altri, la loro unione e la comunicazione dei beni di tutti a ciascuno, e di ciascuno a tutti. « Nel cielo, dice S. Agostino, non vi sarà ombra di gelosia proveniente da ineguaglianza di amore; tutti si amano ugualmente ». Il cielo, dice ancora il medesimo Dottore, vedrà uno spettacolo non mai pria veduto ed è che ni un inferiore invidierà la sorte di coloro che a lui soprasteranno, a quel modo che nel corpo umano il dito non invidia l’occhio, nè l’occhio la lingua, nè il piede la testa. Eppure non dovrebbero gli eletti di un grado inferiore, ingelosire dei maggiori? No; perchè un piccolo vaso che sia riempito è tanto pieno quanto uno grande; un serbatoio che ribocca è tanto pieno quanto il mare; e nè gli invidia, nè potrebbe invidiargli nulla, posto che non può ricevere una goccia di più di quello che contiene. Così avviene degli eletti : « Dio è ugualmente in tutti; con questa sola differenza che ha maggiore capacità relativamente a Dio, colui il quale avrà portato non più argento, ma più fede ».
Una tenera madre si rallegra e gode delle carezze e dei doni fatti ad un suo bambino non altrimenti che se fossero stati fatti a lei; ora così appunto e in più eccellente modo avviene in cielo, dove la forza d’amore, dice S. Gregorio, la quale unisce i beati, è tanta che quel bene il quale un eletto non riceve direttamente egli medesimo, lo riceve in qualche modo per la felicità che prova nel vederlo ricevere da un altro; egli gode del bene de’ suoi compagni come se fosse suo proprio. Tutti possiedono Dio che è l’unità perfetta, ed in questa unità essi formano un solo. Un simile spettacolo diedero già su la terra i primi cristiani dei quali sta scritto : « La moltitudine dei credenti non aveva che un cuore solo ed un’anima sola, nessuno considerava come suo proprio quello che possedeva, ma tutto era in comune ».
Questa mutua unione e carità forma la gioia e l’allegrezza dei santi; ciascuno di essi gioisce e della propria e dell’altrui felicità; ciascuno di essi è felice della fortuna di tutti; e tutti lo sono della fortuna di ciascuno. Come un'inessiccabile polla disseta non meno cento mila uomini che un solo, e come nessuno di loro è geloso dell’acqua che bevono gli altri, posto che ve n’é abbondanza e non si inaridirà per quanta se ne attinga, così avviene per l'appunto degli
eletti. Vi è tra di loro tale unione, che di tutti fa uno solo, unione infinitamente perfetta ed intima che non sarà giammai nè spezzata, nè turbata. Essi sono consumati nell’unità, cioè in Dio.
« Vi sani, dice S. Anseimo, tanto amore tra Dio e i Santi e dei Santi tra di loro, che questi si ameranno tutti l'un l’altro vicendevolmente come se stessi, e tutti ameranno Dio più di se stessi ». A tutti, soggiunge San Bernardo, lo stesso godimento, la stessa affezione, la medesima gioia, la medesima volontà, il medesimo pensiero, ed un amor eterno (Medit. c. IV).
Gli eletti sono gli eredi di Dio, afferma S. Paolo (Rom. VIII, 17). Ma questa eredità, dice S. Agostino, non è come le eredità terrestri che tanto più si assottigliano quanti più sono quelli che vi hanno diritto; qui ve ne ha lauto per molti come se fossero pochi, tanto per uno come se fossero tutti. Riceve ciascuno tutta l’eredità, poiché egli ha Dio tutto intero; e la ricevono tutti interamente, essendo Dio tutto in tutti. Dio non costituisce gli eletti, eredi di un bene da acquistarsi dopo la morte del possessore, ma egli dà loro se stesso in eredità e li destina a vivere con lui eternamente. Quaggiù bisogna attendere la morte del possessore per ereditare; in cielo bisogna che il donatore, il quale è Dio, viva sempre, affinché coloro che sono chiamati a possederlo, possano ricevere e conservare l'eredità loro. Su la terra manca ad uno quello che ha l’altro; nel cielo ciascuno possiede quello che possiedono gli altri, e fruiscono tutti il bene di ciascuno, che è Dio. Dio non ha tracciato dei limiti in se stesso, nè dintorno a sé, e niuno può designarne. Egli dice a ciascuno degli eletti, come a tutti : Eccomi, io sono l’oceano senza confini e senza lidi; io mi do a voi, affinché godiate di me (In Psal. CXXXVI, (CXLIX).
Tutti possiedono l'eredità per intero senza che le ricchezze di Dio patiscano diminuzione, scrive S. Ambrogio: e tanto più pingue riesce l’eredità per ciascuno, quanto più numerosi sono gli eredi (In Psalm. CXYIII).
O città coleste! meravigliose cose di te si sono dette.
8. Nel cielo Dio farà la volontà degli eletti e gli eletti faranno la volontà di Dio: quarta fonte della loro felicità. — Dio farà eternamente la volontà dei giusti, e questi faranno eternamente il volere di Dio. Udite come parla a questo riguardo Ugo da S. Vittore:
Nel cielo altri trova quanto può amare e desiderare; se bellezza, ecco che i giusti risplenderonuo al pari del sole (Matth. XIII, 13); se agilità e forza, saranno simili agli angeli; se lungo vivere, avranno l’eternità; se la sanità, la godranno perfetta. Vogliono essere satollati? lo saranno a sazietà, dicendo il Profeta: « Sarò sazio allora che m’apparirà la vostra gloria» — (Psalm. XVI, 15). Hanno sete di felicità? saranno inebbriati per l’abbondanza che troveranno nella casa del Signore (Psalm. XXXV, 9). Vanno loro a genio i piaceri e le gioie? Berranno al torrente delle delizie divine (Psalm. XXXV, 9). Preferiscono la sapienza? l’attingeranno da Dio medesimo (Ioann. VI, 45). Desiderano potenza? parteciperanno alla potenza medesima di Dio (Psalm. LXX, 10). Saranno onnipotenti su la loro volontà e su la volontà di Dio, come Dio lo sarà su la loro: poiché come Dio può per se stesso quanto vuole, cosi gli eletti possono per mezzo di Dio tutto ciò che vogliono. Piacciono loro le ricchezze e gli onori? dirà loro il padrone del cielo: « Suvvia, servo buono e leale, perché nel poco ti mantenesti fedele, d’immensi beni ti fo signore; entra nel gaudio del tuo Dio » (Matth. XXV, 21). Desiderano ricca mercede? e qual più grande che avere Dio medesimo? (Gen. XV, 1). Cercano la pace? saranno tuffati nel fiume medesimo della pace, nell’oceano divino; la gioia? tutto in cielo, dice Isaia, traspira la giocondità e l’allegria, sempre vi suonano gli inni di grazie, i cantici di lode (Isai. LI, 3): l’incorruttibilità, l’agilità, l’impassibilità, la spiritualità? S. Paolo ne dà loro l’assicurazione anche per i corpi medesimi (7 Cor. XV, 42-44); e infatti possiedono Dio che è la forza, la bellezza, la durata, la sanità, la sapienza, la potenza, la ricchezza, la pace, la gioia per essenza. Tendono alla perfezione di ogni sorta di beni? l’hanno avendo Dio; bramano l'allontanamento di ogni male? li assicura S. Giovanni che in Paradiso non si darà puntura di dolore (Apoc. XXI, 4). Dio tergerà gli occhi loro di ogni lacrima e più non vi sarà per loro né morte, né duolo, né grida, né patimento, tutto questo sarà scomparso (Id Ibid.). Per essi la morte è vinta, essi cantano in eterno l’inno del trionfo, gridando (1 Cor. XV, 55). Né di tentazioni avranno a temere, perchè il tentatore fu di là scacciato e bandito per sempre.
Perciò come Dio può fare di per se stesso quello che vuole, così i beati possono in Dio e per Iddio fare ciò che loro talenta. In cielo non vi è che una legge, ed è la legge dell’amor di Dio: legge alla quale tutti gli eletti vogliono e vorranno in eterno conformarsi, perchè vi trovano la loro somma felicità. Essi non vogliono se non quello che Dio vuole; e quello che Dio vuole anche gli eletti lo vogliono; e ciò che vuole un eletto, lo vogliono ancora tutti gli eletti e lo vuole Iddio. Tutti vogliono la stesso cosa, amare Dio ed esserne amati. Ciò che essi vogliono è conforme ai loro desideri e i loro desideri sono conformi alla volontà di Dio. Essi hanno tutto ciò che vogliono, che amano, che desiderano; e Dio, per parte sua, trova in loro tutto ciò che vuole ed ama. Essi desiderano e i loro desideri sono soddisfatti: vengono saziati e non cessano di desiderare. « Affinché l’ansietà i loro desideri non punga, dice S. Gregorio, ricevono sull’istante quanto bramano, e perchè alla sazietà non sottentri il fastidio, di desiderare non cessano ancorché satolli. Desiderano senza penare, perché l’effetto non è mai disgiunto dal desiderio; si satollano a sazietà senza provare nausea, perchè il desiderio sempre rinasce dalla sazietà medesima ».
Quindi, da una parte, desiderio eterno di essere saziati, dall'altra adempimento eterno dei loro desideri eterni; avverandosi il detto del Salmista: «Riempiti saremo dei beni infiniti della casa di Dio» (Psalm. LXIV, 5).
Oh Dio, quale ineffabile felicità non godiamo in paradiso! Dio sarà tutto in tutti. Ah! ben con ragione si decantano di te, o città di Dio, meraviglie inaudite.
9. Nel cielo gli eletti saranno re: quinta fonte della loro felicità. — Quale felicità è quella dei beati: essi saranno re. Quello che vorrà ciascuno di loro, sia riguardo a sé, sia riguardo ai compagni, sia, riguardo a Dio, esisterà, ad un loro cenno. Grande e più che reale potenza è questa, a cui non vi è in terra cosa che le si possa paragonare! Tutti insieme con Dio saranno re, e non formeranno che un re solo e come un solo potere. Ciascun eletto sarà veramente re, perché tutto quello che gli piacerà se lo vedrà su l’istante dinanzi. Volete voi essere re nel cielo? amate Dio e il prossimo come dovete, e meriterete d’essere quello che desiderate.
Ho veduto, dice S. Giovanni nell'apocalisse, innumerevole turba di ogni nazione e popolo e tribù e lignaggio che stava, vestita in bianco e con le palme in mano, dinanzi al trono in faccia all’Agnello (Apoc. VII, 9). Queste palme sono il simbolo della vittoria; ora non si prestano forse ai vincitori gli omaggi e gli onori dei re? essi saranno portati, dice il profeta Baruch, con l’onore che conviene a figli di re (Baruch V, 6).
« Riceveranno, leggiamo nella Sapienza, un regno illustre ed un bel diadema dalla mano del Signore » (Sap. V, 17). Che cosa significa il diadema, se non che gli incoronati con esso sono re e vincitori? re del regno di Gesù Cristo e partecipi della sua gloria, quali vincitori del mondo, di Satana e della carne. Se non servi, ma amici e famigliari suoi chiama Gesù Cristo i giusti sulla terra, non saranno principi e re i giusti nel cielo?
« Oh! come glorioso, esclama S. Agostino, è il regno nel quale con voi, o Signore, regnano tutti i santi, ammantati di splendida luce e cinti il capo di una corona di preziosissime gemme! O regno di beatitudine sempiterna, dove voi, o Signore, siete la speranza dei santi e il diadema di gloria ».
I vocaboli trono, diadema, corona che sì frequenti ricorrono nel linguaggio della Chiesa a riguardo dei santi, dicono chiaramente che essi in cielo son re. O meravigliose cose che di te si dicono, città santa di Dio!
10. Nel cielo gli eletti saranno quali dèi : sesta fonte della loro felicità. — I beati saranno trasformati e come incorporati con Dio per mezzo della sua visione e del suo amore. Talmente riempirà Dio della sua gloria i santi, che sembreranno dèi, più che semplici creature: perciò dice S. Agostino che tutti quelli i quali sono nel cielo, sono dèi.
La gloria è la consumazione della grazia; gli eletti, dice S. Pietro, partecipano della natura di Dio (II Petr. I, 4). Essi vi partecipano pienamente e perfettamente, perchè mostrandosi Dio, per mezzo della luce della sua gloria, in modo chiaro e manifesto ai beati, li cangia in se stesso per renderli simili a sè, cioè felici, gloriosi, e quali dèi. Il termine di tutte le azioni e di tutte le contemplazioni degli eletti, è la deificazione: essi diventano in Dio, quello che diventa il ferro nel fuoco. «Noi sappiamo, dice S. Giovanni, che quando Dio verrà nella sua gloria, noi saremo simili a lui perchè lo vedremo qual è » (I Ioann. III, 2).
Un triplice principio di rassomiglianza esiste tra noi e Dio: 1° la natura, perchè noi siamo, a somiglianza di Dio, di una natura ragionevole ed intelligente; 2° la grazia, che fa nascere in noi le virtù, come osserva S. Bernardo; 3° la gloria beatifica, che nel cielo si avvicina, quanto è possibile a Dio.
« In cielo, dice S. Agostino, l’anima umana sarà come assorbita e perduta, e diventerà divina »; e S. Bernardo ci assicura che tutto fu quaggiù regolato da Dio in numero e peso e misura, ma che lassù tutto è senza peso, senza numero, senza misura (Serm. in Cantic.). Il Salmista, appunto per questo, dice: «Voi siete dèi» (Psalm.. LXXXI, 6).
Gli eletti vedono Dio in se stesso, lo vedono in loro medesimi, e veggono se stessi in lui... Dimodoché là veramente si compie la profezia di Satana ai nostri primi padri: «Voi sarete altrettanti dèi» (Gen. III, 5). E dopo ciò, chi non esclamerà: Meraviglie e prodigi furono di te. profetati, o città santa di Dio!
11. Nel cielo i beati toccheranno il sommo della felicità, godranno tutti i beni. — I beati in cielo contemplano l'incomprensibile maestà di Dio; si beano delle sue delizie, l’ammirano, lo lodano, lo amano. È veramente ricco e felice colui al quale non manca nulla; ora, solo i beati nel cielo si trovano in tal condizione che loro non manca nulla; essi pertanto sono i soli ricchi e felici.
Quanto grande è la felicità degli eletti!, dice S. Agostino. Nel cielo non si trova traccia di mali e vi abbondano tutti i beni; là s’inneggia, a colui che è tutto in tutti. Fortunati quelli che abitano nella vostra casa, o Signore, essi vi loderanno per i secoli dei secoli. Tutti i membri dell’assemblea degli eletti attendono a lodare Dio. Là soltanto è la gloria vera dove non vi è pericolo di adulazione verso chi è lodato, nè di errore per parte di chi loda. Nel cielo è il vero onore che non è negato a nessuno di coloro che se lo meritano; non viene dato se non a chi ne è degno (De Civit. Dei, lib. X, c. 7). Nel cielo, dice il medesimo santo, splende colui che luogo nessuno non può capire; si ode un’armonia non misurata da tempo; si respira un profumo non dissipato dai venti; si gusta una dolcezza che la sazietà non guasta. Là si vede Dio senza sforzi, si conosce senza timore d’ingannarsi, si loda senza posa (De Spiritu et Anima.). Insomma, nel cielo è il colmo della felicità, la gloria suprema, la gioia infinita, l’affluenza di tutti i beni. E come non beerete voi, o Signore, ch’un torrente di piaceri i vostri eletti, dice S. Bernardo, voi che sui vostri crocefissori medesimi avete sparso l’olio delle vostre misericordie? (Serm. in Cant.).
Affrettiamoci dunque a entrare in quella requie, dice S. Paolo (llebr. IV, 11). E con ragione, ripiglia il Crisostomo, requie è chiamato il paradiso, perchè là è riposo vero e durevole dove nè lavoro, nè sollecitudine, nè angustia, nè melanconia, n'è dolori, nè affanno ci premono. Non per quel beato luogo fu detto: Tu mangerai il tuo pane bagnato nel sudore della tua fronte. Tutto colà è pace, allegria, felicità, delizie; non invidia, non gelosia, non malattie, non morte, non tenebre, ma giorno e serenità continua; non nausea, nè stanchezza (Homil. VI). « Nel cielo, dice S. Gregorio, è luce che non vien meno, gaudio senza gemito, desiderio senza pena, amore senz’affanno, sazietà senza nausea, vita senza morte, sanità senza languori. Vi regna una perfetta carità; una è, la gioia, una la letizia di tutti ».
« Il premio che ci aspetta in cielo, predica S. Bernardo, è vedere Dio, vivere con Dio e di Dio, essere con Dio e in Dio, il quale sarà tutto in tutti; dove vi è il sommo bene, si trova la felicità suprema, la gioia somma, la libertà vera, la carità perfetta, la sicurezza eterna e l’eternità sicura: quivi è vera allegrezza, scienza compiuta, ogni bellezza e beatitudine. Quivi è la pace, la pietà, la bontà, la luce, la virtù, l’onestà, il gaudio, la dolcezza, la gloria, la lode, la requie, l’amore, la dolce concordia, la vita perenne ».
Udite ancora S. Agostino: «Il regno di Dio è pieno di luce, di pace, di carità, di dolcezza, di felicità infinita, di un bene ineffabile, che nè mente può capire, nè lingua esprimere. La vita futura è eterna ed eternamente felice, vi si gode sicurezza inalterabile, tranquillità sicura, giocondità tranquilla, eternità felice e felicità eterna; l’amore v’è perfetto, il giorno vi splende eterno, senza nessun timore ». E altrove: «L’uomo diventa felice giungendo al possesso dell’essere che è sempre beato : ed ecco la beatitudine eterna; ecco per l’uomo il principio di una vita che mai non mancherà, di una sapienza che non conoscerà limite; la luce che lo rischiara è la luce eterna ».
« I santi, leggiamo nell'Apocalisse, stanno dinanzi al trono di Dio e lo servono dì e notte nel tempio; e colui che siede sul trono li coprirà con la sua ombra. Non avranno più nè fame, nè sete, nè li molesterà il sole nè il caldo perché l’Agnello che siede sul trono li governerà, li guiderà alle fonti d’acqua di vita, e asciugherà tutte le lagrime degli occhi loro (Apoc. VII, 15-17). Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine, dice il Signore per bocca di Giovanni; io darò gratuitamente da bere a chi ha sete del fonte dell’acqua di vita. Chi vincerà, avrà questi beni ed io sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio (Ib. XXI, 0-7). Facciamo festa e godiamo, dicono i beati, e rendiamo gloria a Dio, perchè le nozze dell’Agnello sono venute e la sposa vi si è acconciala. O fortunati coloro che sono chiamati al banchetto delle nozze dell’Agnello! » (Ib. XIX, 7-9).
« Tu mi facesti, o Signore, dice il Salmista, conoscere le vie della vita, mi colmerai d’allegrezza con la tua faccia, delizie eterne sono alla tua destra (Psalm. XV, 11). Beato quegli che tu hai eletto e chiamato ad abitare nel tuo santuario; noi saremo ripieni dei beni della tua casa (Psalm. LXIV, 5). Felici coloro che abitano nella vostra dimora, essi vi loderanno per tutti i secoli (Psalm. LXXXIII, 5), e canteranno in eterno le vostre misericordie (Psalm. LXXXVIII, 1). Gli eletti trionferanno nella gloria, trionferanno nel luogo del riposo (Psalm. CXLIX, 5). I tuoi muri, o Sionne, sono il soggiorno di tutti quelli che sono nell’allegrezza » (Psalm. LXXXVI, 7).
« Il santo, scrive S. Bernardo, vedrà Dio a suo piacimento, ne farà sue delizie, lo possederà per la sua felicità. Sarà pieno di forza nell’eternità, risplenderà nella verità, gioirà nella bontà. Come avrà l’eternità per misura della sua esistenza, così avrà la facilità del sapere, e la felicità del riposo. Sarà, al pari degli angeli, cittadino eli quella città santa di cui il Padre è il tempio, Gesù Cristo il sole, lo Spirito Santo l’amore ».
Nel cielo si avverano in tutta la loro ampiezza le parole di Dio a Mosè : « Io ti mostrerò tutto il bene » (Exod. XXXIII, 19). E che vi è lassù? « Vi è una festa continua, risponde S. Agostino, un’eternità senza difetto, una serenità senza nube ».
L’Angelo, prima di partire dai Tobia, disse loro : «Pareva che con voi mangiassi e bevessi, ma io mi cibo di nutrimento invisibile » (Tob. XII, 19).
« In cielo, scrive S. Bernardo, si trova la consumazione della gioia e della felicità, ma si potrà perciò dire consumato il desiderio? No mai; che anzi è l’olio alla fiamma. Il beato sarà ricolmo di gioia, ma non avrà fine il suo desiderio, nè per conseguenza il suo slancio verso Dio. Di qui quella sazietà che non prova nausea, quella insaziabile curiosità che non sente inquietezza, quell’eterna, inesplicabile brama che non proviene da bisogno, quella sobria ebbrezza che si alimenta non di vino, ma di verità e anelando verso Dio, sospira di amore ». Lassù, dice il medesimo santo, noi vedremo come è dolce il Signore; contempleremo la magnificenza della sua gloria, lo splendore dei santi e l’onore della potenza del gran re. Conosceremo la potenza del Padre, la sapienza del Figlio, l’ammirabile clemenza dello Spirito Santo, e perciò avremo dell’augusta Trinità cognizione perfetta (De proemio coelcst. pale.).
Le delizie celesti aguzzano l’appetito mentre Io soddisfano, perchè, quanto più si godono, tanto più se ne pregia l’eccellenza, secondo quelle parole dell'Ecclesiastico.- « Chi mangia me, avrà ancor fame; chi di me si abbevera, avrà ancora sete » (Eccli. XXIV, 29). « Dio ha dato a ciascun eletto quel che vi è di buono; e chi si sazierà vedendo la sua gloria?» (Ib. XLII, 26).
Fissiamo l’occhio su l’ammirabile società degli angeli e dei santi.
Di quale ineffabile dolcezza non riempie gli eletti l’eterna visione di Dio! Tutto ciò che piace, che è vantaggioso, ricchezze, piaceri, riposo, consolazione, tutto in cielo si trova, poiché può esservi difetto di qualche cosa là dove si vede e si gode Dio, a cui nulla manca? I beati vedono Dio e desiderano di non mai cessare dal vederlo, tanto è bello; l'amano e desiderano di non mai lasciare d’amarlo, tanto è degno di amore. Possedendo Dio, riposano in questa felicità; uniti alla vera beatitudine sono sommamente felici; contemplando l’essere eterno, sono eterni essi medesimi; congiunti alla vera luce divengono luminosi.
S. Tommaso, interrogato in fine di vita se abbisognasse di nulla, rispose: Non ho bisogno di nulla, perchè ben presto avrò tutto, godendo dell’unico, sommo bene. L’eternità forma la corona degli eletti nel cielo, la felicità è il loro vestimento, i loro discorsi sono un’armonia; essi abbracciano il bene infinito che li sazia.
Giubilate adunque, o avventurati eletti, perchè voi vedete colui che amate, avete ottenuto colui che lungamente sospiraste. Scuotiti, anima mia e ravviva la tua intelligenza nella meditazione di quel gran bene che è Dio; poiché se qualunque bene è dilettevole, come non l’ha da essere immensamente di più quel bene che tutti i beni racchiude; quel bene che tanto si differenzia da ogni altro bene creato, quanto è distante dalla creatura il Creatore? Se buona è la vita creata, che eccellenza non deve avere la vita creatrice! se preziosa è la sanità, come non lo sarà cento volte di più quella che guarisce ogni male! Se ci stupisce la sapienza, che scopriamo in questo mondo visibile, come ammirabile dev’essere la sapienza che ha fatto tutto dal nulla! Se finalmente noi gustiamo innumerevoli piaceri nei beni terrestri, qual delizia infinita non proveremo nel possedere colui che ha prodotto tutto ciò che piace?
Godere Dio è naturalmente una felicità sì smisurata, che cuore umano non la può naturalmente capire; esso scoppierebbe e si spezzerebbe se Dio non lo conservasse. Con tanto impeto dell’anima e con tanta tensione di forze amano gli eletti Iddio, che il loro cuore è insufficiente al loro amore; sono così felici, che la loro anima non può contenere la sovrabbondanza della gioia. In tre modi, nell'eterna e perfetta beatitudine, gioiscono i beati di Dio: 1° contemplandolo nelle creature; 2° contemplandolo in se medesimi, il che è soavità molto più gioconda; 3° contemplando la Trinità in se stessa, nel che sta la felicità suprema; perchè la vita eterna consiste nel vedere Dio com’è in se stesso...
La pace di Dio, quella pace che supera ogni pensiero ed è inesprimibile ad ogni linguaggio, risiede nel dolce soggiorno del cielo. Nessuno dunque tenti di esprimere con parole ciò che a persona non fu dato di provare. Una misura colma, pigiata, riboccante fu promessa da Gesù Cristo a’ suoi eletti (Luc. VI, 38).
A quel modo che delle cose temporali gode l’uomo con i suoi cinque sensi, vista, odorato, udito, gusto e tatto, così in cinque maniere
egli gode ineffabilmente di Dio nel cielo: io vede, l’intende, lo gusta,
lo sente e a lui si abbraccia con un amplesso eterno.
Mirando al cielo, Isaia dice: Guardate la città delle solennità, la Gerusalemme celeste, il soggiorno dell’opulenza (Isai. XXXIII, 20). II profeta chiama la Chiesa trionfante, 1° città delle feste, perchè vi è in cielo una festa continua e perpetua; una gioia, un canto, un’armonia che dureranno per tutti i secoli; 2° Gerusalemme che significa visione della pace; 3° soggiorno dell’opulenza, perchè là si trovano in abbondanza tutti gli splendori, tutte le ricchezze, tutte le glorie.
« O città santa, l’iniquità e la violenza non passeggeranno mai le tue vie, la sicurezza abiterà tra le tue mura, di canti d’allegrezza risoneranno le tue porte » (Isai. LX, 18). Nel cielo non avrà luogo nè iniquità, nè distruzione, nè violenza, ma regneranno in tutti gli eletti l’equità, la santità, la carità al sommo grado. Bene spesso quaggiù i nemici assaltano le nostre mura, s’impadroniscono delle nostre porte; spesso la tribolazione ci angustia, la fame ci punge, le infermità ci travagliano, le lagrime ci solcano le gote, ecc... ma nel cielo regnano la pace, la gioia, la felicità, l’allegrezza; si odono risuonare le lodi e i canti di amore, ecc.
Ascoltate S. Bernardo: Diteci voi, o Signore che lo sapete, quello che ci tenete preparato! Noi avremo in abbondanza i beni della vostra casa; ma quali beni? forse il vino, l’olio, il grano? Ma questi beni già
li conosciamo, li vediamo e ne siamo nauseati. Ah! noi cerchiamo quello che occhio umano non mai vide, nè orecchio udì, nè mente mai comprese. Quaggiù, la ragione sovente sbaglia nei giudizi che porta, la volontà è fatta giuoco a mille agitazioni, la memoria è afflitta da molte dimenticanze; la vostra creatura, o Dio, pure sì nobile ed eccellente, va soggetta, malgrado suo, sebbene colla speranza d’es-serne liberata, a questa triplice vanità e miseria. Ma nel cielo, appagherà i desideri dell'anima la pienezza della luce per l’intelletto, la pienezza della pace per la volontà, il ricordo eterno per la memoria. O verità, o eternità, o carità! Deh, in quali angosciose pene, in quali timori non cade chi da voi si allontana! Noi sventurati, quale trinità abbiamo sostituito alla Trinità santa! Il mio cuore fu agitato da contrarie tendenze e quindi mi venne il dolore; mi ricordai che in molte circostanze le forze mi vennero meno, e quindi nacque in me il timore; la luce mi si è più volte ecclissata, e quindi nacque l’errore. O trinità della mia anima, tu hai offeso la Trinità suprema; non conturbarti però, non perderti d’animo : io spero in Dio, poiché io lo loderò ancora quando la mia intelligenza si sottrarrà per sempre all’errore, la mia volontà al dolore, la mia memoria al dolore (Serm. II in Cantic.).
Ecco quello che dice il Signore per bocca d’Isaia: Saranno saziati e dissetati i miei servi; danzeranno e canteranno inni di lode nell’esultanza del loro cuore. La loro gioia sarà in colui a cui andranno debitori del glorioso loro nome; delle primiere loro tribolazioni non rimarrà traccia nè ombra. Io creerò nuovi cieli e terra nuova; rallegratevi, fate festa in eterno, perchè io formerò una nuova Gerusalemme tutta delizie, ed un popolo per la gioia. Io amerò il mio popolò e troverò la mia gioia in Gerusalemme dove non si udranno più nè grida nè pianto (Isai. LXV. 13-17). Tessendo l’elogio di Santa Paola, S. Gerolamo dice: Paola ha terminato la sua corsa, ha conservato la fede; al presente ella è cinta della corona di giustizia, ed accompagna l’Agnello dovunque ei vada. È sazia, perchè ha avuto fame, e raggiante di gioia va cantando : Quello che avevamo udito dire, lo vediamo effettuato nella città, del nostro Dio. Cambio felice! Ella ha pianto per acquistarsi una gioia eterna; ha schifato le acque melmose e avvelenate per dissetarsi al fonte del Signore; ha indossato il cilicio per essere fatta degna di portare l’immacolata veste degli eletti e poter dire: Voi, o mio Dio, mi avete spogliata de’ miei cenci, e vestita di allegrezza. Mangiava la cenere mista al pane e l’acqua alle lagrime, ripetendo : Mi sono abbeverata di pianto giorno e notte per nutrirmi eternamente del pane degli angeli e per poter cantare: Gustate come dolce e soave è il Signore.
Rallegratevi, dice Isaia, e tripudiate con Gerusalemme, o voi tutti che l’amate; unitevi a lei nell’esultare. Voi sarete riempiti delle sue consolazioni, inondati dal torrente delle sue delizie, investiti dallo splendore della sua gloria. Udite quello che dice il Signore: Verserò sopra di voi la pace come un fiume, e la gloria come un torrente; vi porterò nelle mie braccia, e vi carezzerò su le ginocchia come bambini da latte. Come una madre consola suo figlio, così io consolerò voi, e voi sarete consolati in Gerusalemme. Voi vedrete, ed il cuore vostro ne sarà rallegrato (Isai. LXVI, 10-11).
Li novererò tra i miei figli, dice il Signore per bocca di Geremia, darò loro una terra desiderabile, una splendida eredità. Essi mi chiameranno padre e non cesseranno di amarmi (Ier. Ili, 19). L’eredità della patria celeste è ammirabile, dice S. Tommaso, 1° per lo splendore della visione divina, perchè, dice il Salmista, « nel vostro lume vedremo la luce» (Psalm. XXXV, 9); 2° per la dolcezza, del divino amore, secondo quelle parole di Davide: «Come soave è il calice che m’inebbria » (Psalm.. XXII, 5); 3° per la familiarità del divino trattenimento, dicendo la Sequenza che « nell’essere a parte de’ suoi ragionamenti è acquisto di gloria» (Sap. Vili, 18); 4° per la magnificenza delle opere di Dio, secondo le parole delL'Ecclesiastico: «Ivi opere grandi ed ammirabili» (Eccli. XLIII, 27); 5° per l’altezza a cui saremo innalzati, come attesta Zaccaria,: «lo vi salverò, e voi sarete benedetti» (Zach. VIII, 13); 6° per la dolcezza che si gusta nella società dei santi (3a p. q. I, art,. 3).
santi.
« Nel cielo, dice S. Agostino, tutto è grandezza, tutto è verità, tutto è santità, tutto è eternità ». 1° In paradiso noi godremo di una felicità eterna, di una gioia immensa e senza fine. « Spoglia, Gerusalemme, esclama il profeta Baruch, la veste del lutto e della mestizia, e vesti il manto di decoro, di onore e di sempiterna gloria che ti viene da Dio » (Baruch V, 1). 2° Gli eletti nuoteranno nello splendore della gloria... 3° Assumeranno un nome nuovo... 4° In cielo sono gli eserciti dei santi.
« Quali saranno le vostre delizie, o amanti di Dio? domandava S. Agostino: Vi diletterete nell’abbondanza della pace. Il vostro oro sarà la pace; il vostro argento la pace, i vostri poderi la pace; la vostra vita la pace; il vostro Dio la pace; tutto ciò che desidererete, sarà pace. Ivi il vostro Dio sarà per voi ogni cosa, ve ne ciberete per non aver fame; ve ne abbevererete per non aver sete; sarete da lui illuminati per non divenire ciechi; sarete sorretti perchè non cadiate. Egli vi possederà tutto, e voi possederete lui interamente, poiché voi e lui formerete una sola cosa ».
O vita, esclama il medesimo Dottore, o vita che Dio ha preparato a coloro che l'amano, vita che è veramente la vita; vita felice, vita sicura, vita tranquilla, vita desiderabile, vita pura, vita casta, vita santa, vita che non conosce la morte, vita senza tristezza, senza macchia, senza dolore, senza inquietudine, senza alterazione, senza cangiamento, senza affanno; vita piena di bellezza, di dignità, più li medito e più ti sospiro! (Medit. c. XXII). Vita in cui «Dio sarà nostra dimora e noi saremo la dimora, di Dio ».
Nel cielo si trova: 1° una gioia inenarrabile che non può mai venir meno per la noia, ecc. 2° l’integrità di tutte le facoltà dell’anima. L’anima va soggetta, per conseguenza del peccato di Adamo, nella sua intelligenza, all’oscurità e all’ignoranza; nella sua volontà, alla debolezza ed alla tendenza verso le cose periture; nella sua sensibilità a timori e spaventi diversi; nella sua concupiscenza, all’appetito del male; nella sua memoria, alla dimenticanza, che va ricoprendo il passato come la ruggine il ferro. Nel paradiso Gesù Cristo guarisce tutti questi mali, dando all’intelligenza la luce e la scienza, alla volontà la costanza nel bene, alla sensibilità una forza eroica, alla concupiscenza la onestà e la rettitudine, con cui l’uomo non tende che al bene, alla memoria il ricordo eterno del bene e l’eterno oblio del male. 3° La sanità dell’anima, che sarà la gloria, la visione ed il possesso di Dio...
12. I CORPI DEGLI ELETTI PARTECIPERANNO, DOPO LA RISURREZIONE, DELLA LORO GLORIA. — « Il corpo, dice S. Paolo, si semina corruttibile e risorgerà incorruttibile; si semina ignobile e sorgerà glorioso; si semina inerte e risorgerà robusto; si semina un corpo animale e risorgerà un corpo spirituale » (I Cor. XV, 42-44).
Quattro qualità ha la luce e di esse parteciperanno i corpi gloriosi: la chiarezza, l’incorruttibilità, l’agilità, la penetrazione... I corpi dei beati, dice S. Agostino, non saranno più soggetti nè alla deformità, nè alla pesantezza, nè alle infermità, nè alla corruzione. La loro chiarezza o splendore li preserverà da ogni deformità; si sottrarranno, per la loro agilità, ad ogni peso; andranno, per la sottigliezza o penetrazione, immuni da ogni malattia; per l’impassibilità, non conosceranno corruzione (De Civ. Dei).
13. Il cielo durerà in eterno. — « Il Signore abita in mezzo a lui, non sarà scosso » (Psalm. XLV, 6). «I giusti vivranno in eterno», soggiunge la Sapienza (Sap. V, 16); « ed il loro Dio regnerà in essi in eterno » (Ib. III, 8).
La vita eterna, scrive S. Bernardo, è pienezza: è un giorno che non conosce tramonto, ma si mantiene sempre in pieno meriggio; è la vera gloria in tutto il suo splendore, l’eterna verità, la vera eternità, l’eterna e vera sazietà; la sua durata non misura termine, il suo splendore non è adombrato da nuvola; quelli che la godranno, non temeranno mai di esserne privi (Semi, in Psalm.).
« Se desideriamo dei beni, dice S. Gregorio, amiamo quelli che possederemo per sempre; e se temiamo i mali, temiamo quelli dei riprovati che non avranno fine ».
« Una gioia eterna aleggerà intorno al capo dei santi, dice Isaia, ed i loro occhi vedranno il tabernacolo che non sarà mai più mosso di luogo » (Isai. XXXIII, 20).
L’eternità è l’intero, perfetto ed infinito possesso della vita. L’eternità è, 1° senza fine; 2° non mai interrotta; 3° tutta intera in ciascun istante della sua durata; 4° è il perfetto godimento della vita e di tutti i beni. Nei beni di quaggiù vi sono molte imperfezioni e mancanze: voi avete, per esempio, le ricchezze, ma vi mancano gli onori; siete onorato, ma non godete sanità; fiorite per robustezza, ma siete un ignorante; possedete la scienza, ma difettate d’eloquenza. Sedete ad un convito e, quando avete mangiato, eccovi sazi, senza gusto, senz’appetito. Il vigore, la forza dell’anima e del corpo si fiaccano e scompaiono ben presto. Nell’eterna vita al contrario, i beati godono di tutti i beni a un tempo: possiedono le ricchezze di Dio, gli onori di Dio, la scienza di Dio, la forza di Dio, i diletti di Dio; hanno tutti questi beni insieme e così li avranno per tutta l’eternità. Non cesseranno dunque mai un istante di essere felici (Isai. XXXV, 10).
Che cosa è la beatitudine eterna? Domandiamone a coloro che la raggiunsero e ne godono. Pietro, Paolo, Giovanni, santi apostoli, diteci voi che cosa è l’eternità felice? — Non ci è possibile l’esprimerla cosi da essere compresi, eppure sono più di mille ottocent’anni che ne godiamo. — Avete voi perduto qualche giorno della vostra felicità eterna? — Non un’ora, non un istante; essa è come cominciasse adesso, sempre nuova, sempre dilettevole, sempre la medesima, e ci rimane una eternità per gioirne. — Ma che cosa dunque è questa felicità sì grande? — E l'abisso dei godimenti, l’abisso dei secoli; gioie, tempi, secoli nè termine nè limite vedranno; è la lunghezza, Ja larghezza, la profondità senza misura. Per saggi e sapienti che siamo, non possiamo comprendere la nostra eternità, nè misurarla; il regno, la gioia, la gloria, la felicità nostra non vedran mai fine. Insomma « un eterno sopra ogni misura smisurato peso di gloria opera in noi » (II Cor. IV, 17).
Martiri, confessori, vergini, ecc., diteci quanto tempo ha durato la vostra prova e quanto avete sofferto; qual è ora la vostra felicità e fino a quando durerà? - Le prove, i patimenti nostri non durarono che un istante; la grazia ce li ha fatti parere lievi, e la ricompensa che ce n’è toccata non avrà fine nè misura.
Nel cielo vi è una gioventù eterna, una bellezza eterna, una vita eterna, una pace eterna, un amore eterno; e solo allora cesseranno gli eletti di essere beati, quando Dio vedrà la fine della sua eternità... O città di Dio, quante gloriose cose di te si dicono!
14. E' facile andare in ciELO. — « Le afflizioni cosi leggere e brevi della presente vita, dice S. Paolo, produrranno in noi di sublime e incomparabile gloria un eterno, immenso frutto » (II Cor. IV, 17).
Sopra queste confortanti parole del grande Apostolo, così ragiona San Bernardo: Con che fronte continuerete a dire: Le pene sono troppo lunghe, troppo accascianti, l’animo non può durarla a lungo sotto tanto grave peso? L’Apostolo afferma che leggero e momentaneo è quello che soffre, e intanto voi non avete ancora di certo provato per cinque volte quaranta colpi di verga; non lavorato più di tutti gli altri; non resistito da forti fino allo spargimento del sangue. Pensate che le pene sono un nulla in paragone della gloria. Infatti, primieramente, perchè nell’incertezza in cui vivete, voi contate i giorni e le ore? L’ora passa e il patimento con essa; le pene non sono già legate insieme così da formare un tutto; esse si succedono e scompaiono. Così non è della gloria e della ricompensa; esse non conoscono nè diminuzione nè fine ed esistono tutte intiere in ogni istante, perchè eterne. Secondariamente, la pena si esaurisce goccia a goccia, si beve a sorsi, passa e non dura che un istante; nella rimunerazione, all'incontro, è un torrente di voluttà, un fiume impetuoso che c’inonda di gioia; è un mare di letizia, di pace, di prosperità. In terzo luogo, non ricche vesti, non magnifici palazzi ci sono promessi, ma la gloria in se stessa; infatti, i giusti non sperano alcuni godimenti, ma la gioia in se stessa e tutta quanta essi l’aspettano. Gli uomini cercano la loro felicità in seno alle pompe, alle ricchezze, ai festini ed ai piaceri fallaci; ma lacrime amare segnano il termine di queste supposte e d'altronde così brevi gioie. Dio, invece, riserva ai suoi eletti non già un assaggio, ma un favo intero di puro e dolcissimo miele; tien loro serbata la gioia, la vita, la gloria, la pace, il diletto, la grandezza e tutto ciò da godersi in un medesimo istante e per tutta l’eternità! Vedi la mercede, vedi la corona che possiamo guadagnarci a prezzo di brevi e leggere pene (Serm. 1).
« Tanto è il bene che m’aspetto, cantava S. Francesco d’Assisi, che ogni pena m’è diletto ».
« Il regno dei cieli è in vendita, dice S. Agostino; se lo volete, comperatelo. Nè dovrete sopportare molte pene, nè dovrete fare troppo grandi cose per procacciarvi un bene così eccelso; no, non supera le vostre forze, e voi avete precisamente quello che vi bisogna per pagarlo. Non guardate a quello che avete, ma a quello che siete. Il paradiso vale quello che voi valete. Date voi medesimi e lo avrete. Se voi mi dite che siete cattivi e Dio non sa che farsene di voi, io vi soggiungo: dandovi a lui diventerete buoni, e quando sarete tali, sarete prezzo degno del cielo ».
Amare non è punto difficile cosa, poiché il cuore è fatto per amare. Ora noi ci meritiamo il cielo coll’amore; l'amor di Dio è la moneta con cui possiamo comprarci la corona di gloria. Perchè siamo così stolti? domanda il Crisologo; che è questo sonno che ci opprime; quest’oblìo letale che c’istupidisce? Perchè non cambiare la terra col cielo? perchè non comprare le ricchezze eterne a prezzo delle transitorie e fugaci? perchè non acquistare i beni imperituri, cambiandoli con i caduchi? (Serm. CXXIV).
Ascoltate ancora S. Agostino che mette in bocca al Signore queste parole : Quello ch’io possiedo è in vendita, compratelo. Ma che cosa è quello che Dio vende? il riposo, il paradiso. Come si fa pagare? Un riposo eterno si dovrebbe comprare con un eterno lavoro; ma, o grandezza della misericordia di Dio! Egli non dice: lavorate un milione d’anni; nemmeno, mille anni; neppure, cinquantanni; ma solamente, lavorate durante il poco tempo che vivete su la terra, e voi vi procaccerete così il riposo che non avrà fine (In Psalm. XCIII).
« Le pene presenti, nota S. Bernardo, sono un bel nulla in proporzione delle colpe che ci sono rimesse, delle grazie e delle consolazioni che ci sono date, e finalmente della gloria che ci è promessa ».
Chiedete agli eletti se il ciclo è loro costato caro, i patimenti da loro sofferti si possono paragonare alla felicità, alla gloria, alla loro corona eterna... Chiedete ai riprovati, caso mai Dio loro permettesse di ritornare su la terra pei' farvi penitenza e guadagnare il cielo, se loro sembrerebbe troppo duro questo permesso...
15. Mezzi per guadagnare il cielo. 1° Bisogna desiderarlo. — Il primo mezzo per arrivare al cielo sta nel desiderarlo. « Quando mai, esclamava il Dottore d’Ippona, io giungerò a presentarmi al cospetto del mio Dio, a mirarlo nella santità de’ suoi eletti, a letiziarmi in mezzo al suo popolo, per lodarlo nel suo regno? Quando mai vedrò quella città di cui è scritto: D’oro puro sono lastricate le tue piazze, Gerusalemme, i tuoi abitanti canteranno il cantico della gioia e per le tue contrade si udirà un osannare eterno? O città santa, o città bella, da lontano io ti saluto, ti sospiro, a te grido: desidero vederti e riposarmi in te; ma il fardello della carne me ne impaccia! O città desiderabile, i tuoi muri sono d'una sola pietra, il tuo guardiano è Dio, i tuoi cittadini sempre in festa, perchè sempre beati della visione di Dio ».
« Io ho combattuto da prode, diceva l’Apostolo, ho finito la mia corsa, ho mantenuto la fede. Non mi resta che aspettare la corona di giustizia, che il Signore, giusto giudice, mi ha promesso e mi darà nel gran giorno: non però solamente a me, ma anche a quanti amano e invocano la sua venuta » (II Tim. IV, 8).
« Noi aspettiamo con impazienza ed affrettiamo coi voti il giorno del Signore, scriveva S. Pietro: attendiamo, Udenti alla sua promessa, nuovi cieli e nuova terra, dove è il seggio della giustizia. Perciò, o carissimi, stando nell’aspettazione di queste cose, provvediamo a che il Signore ci trovi puri, irreprensibili ed in pace » (II Petr. III, 12-14).
« Chi mi presterà l’ali? esclama il Salmista, ed io volerò come colomba al nido » (Psalm. LXXII, 24-25). « Come sono amabili i vostri tabernacoli, o Signore! l’anima mia muore dalla voglia di trovarsi nella casa di Dio. Il mio corpo e la carne mia tripudiarono nel Dio vivo. Il passero e la tortorella trovano un nido dove ricoverare i loro pulcini; la mia dimora e il mio asilo sono i vostri altari, o mio Re e mio Dio! Beati quelli che abitano la vostra casa, e che vi loderanno pe’ secoli » (Psalm. LXXXIII, 1-5).
« Ora se tanto è dolce sperare il cielo, che sarà il possederlo! » esclama S. Agostino. « Ah! i desideri terreni, soggiunge S. Leone non tengano inchiodate a terra le nostre anime chiamate al cielo; nè le periture cose allaccino quelli che sono destinati alle eterne ».
2° Mantenersi puri. — Il secondo mezzo per arrivare al paradiso consiste nel mantenersi puri. I figli di questo secolo, dice il Salvatore, prendono moglie e le figlie vanno a marito; ma coloro che saranno degni del secolo avvenire e della risurrezione gloriosa, non contrarranno più nozze e più non morranno, perchè simili agli angeli (Luc. XX, 34-36).
Perchè la vita è quaggiù falciata dalla morte, si cerca di avere dei discendenti: il padre vuole perpetuare la sua vita in quella dei figli; ma nel cielo, dice il Crisostomo, non essendovi più morte, non vi sarà per conseguenza nemmeno più il matrimonio (4-2).
« Niente di macchiato entrerà nei cieli », dice S. Giovanni, e San Paolo scriveva che « nè gli impudici conseguiranno il regno dei cieli, nè la corruzione si affratellerà con l’incorruttibilità» (Apoc. XXI, 27).
« Beati quelli che hanno il cuore mondo » — disse Gesù Cristo, « perchè essi vedranno Dio » (Matth. V, 8); e S. Giovanni vide l’Agnello su la montagna di Sion attorniato da coloro che portavano il nome di lui e del Padre scritto su le loro fronti. E udì una voce dal cielo che era come il suono di molti arpeggiatori; ed essi cantavano dinanzi al trono un cantico nuovo, che nessuno poteva cantare, eccetto coloro che sono senza macchia, perchè vergini; e questi seguono l’Agnello dovunque ei vada (Apoc. XIV, 1-5).
3° Farsi violenza. — È sentenza di Gesù Cristo che « il regno dei cieli patisce violenza e che solo i violenti lo rapiscono » (Matth. XI, 12). 1) Si tende al cielo e si acquista per la forza, e questa forza è la forza della grazia, non quella della natura; 2) vi si giunge frenando le passioni con l'esercizio delle virtù; 3) si arriva con il combattimento seguito dalla vittoria; 4) vi si arriva vivendo come gli angeli, perchè la dimora degli angeli è il cielo e noi non l’otterremo che divenendo simili a loro.
« Facciamo violenza al Signore, dice S. Ambrogio, col pianto, non con le mani; supplicandolo con lagrime, non provocandolo con ingiurie; gemendo per umiltà, non bestemmiando per orgoglio. O beata violenza, che non attira lo sdegno, ma concilia la misericordia! Beata, dico, perchè trae prove di bontà da colui al quale viene fatta e cede a profitto di chi la fa.; poiché chi più violento si mostra cosi con Cristo, tanto più pio sarà tenuto da Cristo. Assaltiamo per via il Signore, essendo egli la strada, e a guisa di malandrini sforziamoci di derubarlo de’ suoi beni; vediamo di rapirgli il regno, i tesori, la vita. Ed egli è si ricco e generoso che non oppone nè rifiuto, nè resistenza; e dopo di averci tutto ceduto, tutto ancora interamente possiede. Noi l’assaliamo non con le armi, col bastone, coi sassi, ma con la mansuetudine, con le buone opere, con la castità: queste sono le armi che la nostra fede deve adoperare nell’assalto. Ma perchè possiamo giovarcene e maneggiarle con buon esito, dobbiamo violentare anzi tutto i nostri corpi, soggiogare i vizi delle membra per conseguire il premio delle virtù; dobbiamo prima regnare su noi medesimi, se vogliamo impadronirci del regno del Salvatore ».
Il regno dei cieli si deve prendere d’assalto, e non se ne impadronisce se non chi gli dà a forza la scalata. Il paradiso sta in alto..., la strada ne è stretta..., spinosa..., piena di pericoli..., di nemici..., d’agguati...; guarda a picco in voragini spaventose... ecc. Osservate quello che hanno fatto i martiri... Se per un fumo di ambizione, di gloria, di onore, il soldato spiega un’energia, un coraggio eroico, se per conquistare una corona peritura egli affronta mille generi di morte, con quanto zelo e forza e costanza non deve adoperarsi il cristiano, per ottenere una gloria eterna, una immarcescibile corona?
La celeste Gerusalemme è chiamata da Isaia « la città della forza » (Isai. XXVI, 1) : 1) perchè ci vuole forza e coraggio a entrarvi; nessuno vi entra senza queste due virtù; il cielo è la patria degli uomini forti e robusti; 2) perchè è minutissima essa medesima; e volete sapere com’è difesa? udite Isaia che vi dice come il Signore in persona ne sia il muro di cinta ed il bastione (Isai. XXVI, 1): essa è come la torre di Davide, incoronala di merli e vestita di ogni sorta d’armatura di finissima tempra (Cant. IV, 4). Ci vuole dunque un coraggio a tutta prova per darle l’assalto e penetrarvi dentro. « Alle grandi ricompense non si giunge, dice S. Gregorio, se non passando per grandi fatiche; perciò S. Paolo, valoroso atleta, predicava: Coronato non sarà se non chi avrà strenuamente combattuto. Alletti adunque l’anima nostra la grandezza del premio, ma non la scoraggi la durezza della faticosa lotta ». Sforzatevi, diceva anche Gesù, di entrare per la porta angusta (Luc. XIII, 24). Sforzatevi, cioè armatevi, correte, sudate, trafelate, lottate finché abbiate sforzato l’entrata e siate giunti al porto della felicità suprema, della vita eterna.
4° Vincere e perseverare con pazienza. — « Siate fedeli fino alla morte, io vi cingerò la corona di vita », dice Gesù Cristo nell’Apocalisse (Apoc. II, 10). « A chi vincerà, io darò per premio di sedersi con me sul trono; come io, che ho vinto, mi sono seduto colPadre mio sul suo trono » (Apoc. III, 21).
Gesù Cristo ci offre la corona della gloria celeste; ce la mette sott’occhi, e per eccitarci a procurarcela, la chiama con diversi nomi e titoli: ora è l’albero della vita, ora la manna nascosta; qua una pietra preziosa, là un candido vestimento; talvolta un nome nuovo, talaltra la stella del mattino, ecc... Su via dunque, atleti di Gesù Cristo, combattete da prodi, rubatevi il cielo. Dimenticate, a imitazione del grande Apostolo, quello che vi siete lasciato dietro, e slanciatevi verso lo scopo della, vostra vocazione divina. Nessun lavoro vi sembri. troppo lungo, nessun dolore troppo cocente, poiché vi è promesso il cielo, la corona celeste, l’eternità beata... Di Gesù Cristo dice l’Apocalisse, che aveva un arco e una corona, e se ne partì andando di vittoria in vittoria (Apoc. VI, 2). Ecco quello che ha da fare ogni cristiano, se gli sta a cuore ottenere il cielo.
« Abbiate pazienza, disse ancora Gesù Cristo, ed io vi rimunererò di tutto », cioè, vi pagherò tutte le vostre pene (Matth. XVIII, 26); e negli Atti Apostolici leggiamo che S. Paolo ravvalorava i discepoli e li incuorava alla pazienza, « poiché per molte tribolazioni, diceva loro, deve camminare chi vuol entrare nel regno dei cieli » (Ad. XIV, 24).
5° Studiare negli esempi dei Santi e particolarmente dei marliri. — Che gran bene è il cielo, che la speranza ci assicura! esclama S. Agostino; gloriosa cosa è meritarselo, dolce il possederlo, poiché per meritarselo i martiri disprezzano gli ordini ingiusti de’ persecutori e non temono nè la spada, nè il fuoco, nè ogni genere di più ignominiosa morte! (De civìt. Dei).
« Chi sono costoro, dice l’Apocalisse, che compaiono vestiti in bianche stole, e donde vengono essi? Sono coloro che vennero passando in mezzo a grande tribolazione, e lavarono e imbiancarono le loro stole nel sangue dell’Agnello; perciò stanno innanzi al trono di Dio » (Apoc. VII, 13-15).
Noi soffriamo per Gesù Cristo, dicevano i martiri, noi siamo lacerati da pettini di ferro, sbranati dai denti delle bestie feroci, lacerati da fruste armate di acute punte, recisi dalla spada, bruciati vivi dal fuoco, le nostre membra sono torturate, le ossa slogate, i nervi stirati; ma verrà ben presto il sole di giustizia, il giudice pieno di equità il quale raddrizzerà, guarirà, e circonderà di gloria eterna le nostre carni abbrustolite, squarciate, fatte a brani, divorate; in un attimo l’anima nostra va a godere di Dio. Tal era il tuo pensiero, o S. Lorenzo, quando steso sopra una graticola di ferro arroventata, ti ridevi de’ tuoi carnefici. Tu pensavi al cielo, o S. Vincenzo, quando trionfasti, con la pazienza, la dolcezza e la generosità, non solamente dei tormenti, ma del crudele Daciano medesimo tuo tiranno e manigoldo. Avevi l’occhio alla gloria eterna, o S. Cristina, quando torturata dal tuo padre idolatra, gli dicevi, gettandogli i brandelli delle tue carni : Ripigliati, o tiranno, la carne che hai generato.
Per voi, o Gesù, dicono i penitenti, noi amiamo i digiuni, le vigilie, i cilizi, la disciplina; per voi ci mortifichiamo notte e giorno, perchè speriamo la risurrezione della carne e sappiamo che questa carne oggidì magra, livida, malmenata e quasi morta, ci sarà restituita sana, bella, florida e risplendente. Allora voi riformerete, o Signore, questi corpi che noi mortifichiamo e li farete simili al vostro; allora direte alle anime nostre: «Perchè vi siete mantenute fedeli nel poco, ecco che vi stabilisco padrone d’immensi beni; entrate nel gaudio del vostro Signore » (Matth. XXV, 21).
Noi piangiamo, dicono i veri fedeli, fatti quaggiù bersaglio alle tribolazioni, esposti ai cimenti, sempre con le armi in pugno contro gli assalti della carne, del mondo, del demonio; le prove ci tentano, le afflizioni ci assediano; noi sospiriamo e gemiamo. Ah! Signore, splenda finalmente su di noi l’aurora della salute; scompaiano come ombre le infermità presenti;, si levi su l’orizzonte il sole dell’eternità e cessi la notte del tempo, affinchè noi siamo liberi per sempre dagli scrupoli, dai timori, dalle angosce, dalle debolezze, dalle tentazioni, dai dolori, dagli affanni, e la serenità, la pace, la forza, la gioia, la felicità succedano loro per i secoli de’ secoli...
6° Usare del mondo come se non ne usassimo. — Paolo Orosio, uno degli amici di S. Agostino, diceva: Io mi servo pel momento della terra, non però come mia patria, perchè la vera patria che io amo non è la terrena. Io non ho legame a cosa nessuna di quaggiù, e credo di possedere tutto, quando ho con me colui che amo: égli è il
medesimo con tutti, e non abbandona persona; egli è dappertutto e tutto gli appartiene (In Vita).
Bisogna morire a tutte le cose presenti; vivere di Dio, calpestare tutto ciò che è vanità, aspirare a quello che è sodo e reale, guardare con occhio indifferente i beni terrestri, aver il cuore ai celesti, morire al mondo e vivere a Dio, morire al tempo e vivere per l’eternità... O uomini, grida S. Pier Crisologo, se pensate di vivere eternamente su la terra, spendeteci pure ogni lavoro; ma se o per amore o per forza ve ne dovete andare, perchè logorarvi attorno, e lasciarvi quello che vi spetta, l’anima, il cuore, la volontà, la memoria, ecc.? (Serm. CXXIV).
7° Meditare su. quello che è il cielo. — Levale lo sguardo al cielo, dice S. Cirillo, vivete del suo ricordo, come un viaggiatore che tende alla mèta; sia esso lo scopo dei vostri sospiri, dei vostri voti, degli sforzi vostri; siano i pensieri e le opere vostre degne del paradiso. Se pena vi contrista, se tentazione vi molesta, se pesante croce vi aggrava, alzate l'occhio alla città celeste e dite: Sopporterò ogni prova, quanto grande ella sia, e ne uscirò vittorioso. In questo modo si va al cielo (Catech. III, 4).
Anche Seneca esortava ad innalzare l’anima verso le cose celesti, ad ammirare ciò che è veramente sublime.
Ah! il pensiero del cielo ristora il coraggio affranto, fa perseverare i buoni, e porta i peccatori al pentimento...
8° Santificarsi. — Chi vuol somigliare a Gesù Cristo nella gloria, cerchi (Limitarlo nella santità, nella virtù, nell’amore... « Miei cari, dice S. Giovanni, noi siamo ora i figli di Dio; ma di quel che poi saremo un giorno, non abbiamo ancora idea. Noi sappiamo che quando Gesù Cristo verrà nella sua gloria, noi saremo simili a lui, perchè lo vedremo qual è. E chiunque ha questa speranza in lui, si santifica, come è santo Egli medesimo » (I Ioann. III, 2-3). Quindi bellamente scrive S. Agostino: «I giusti ascendono al sommo bene per mezzo di una catena di virtù fatta così. La fede innanzi tutto abbraccia, quasi prezioso anello, l’anima; la fede si nutre di speranza, la speranza si unisce all’amore, l’amore si esercita nelle opere, l’opera si unisce al sommo bene per mezzo dell’intenzione, la buona intenzione si compie con la perseveranza e la perseveranza fa capo a Dio, fonte e mèta di tutti i beni ».
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