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mercoledì 15 ottobre 2014

LAVORO

1. Necessità del lavoro. — 2. Utilità del lavoro.

1. Necessità del lavoro. — Dalla sacra Scrittura apertamente si rileva che la necessità del lavoro e la sua gravezza fu conseguenza del peccato. Quelle parole del Signore ad Adamo : « Per causa tua la terra è maledetta; d'ora in poi non ti darà che triboli e spine e se tu vorrai trarne il tuo sostentamento l'avrai da irrigare col sudore della tua fronte» (Gen. III, 17-19), suonano non solamente una maledizione e una condanna, ma un obbligo strettissimo al lavoro, imposto a tutti gli uomini come opera di penitenza e di espiazione.
E' vero che anche prima della sua caduta Adamo doveva lavorare, perché leggiamo che Dio collocò l'uomo in un giardino di delizie, assegnandogli per compito la custodia e la coltivazione del medesimo (Gen. II, 15). Ma questo, anziché un lavoro grave e penoso, era un’occupazione dilettevole e gradita; l’uomo lavorava non per guadagnarsi il vitto col sudore della fronte, ma per esercitare la sua intelligenza e le sue forze; egli non si affaticava, dice il Crisostomo, ma nello stesso tempo non stava in ozio (Homil. in Gen.).
Qui possiamo osservare: 1° l’antichità del lavoro e dell'agricoltura... 2° la sua dignità, sia perché stabilita e ordinata da Dio, sia perché tutti i patriarchi, cioè i primi personaggi del mondo antico, attesero a coltivare la terra... 3° il carattere tutto speciale dell’agricoltura che fu ordinata all'uomo nello stato d’innocenza a preferenza di ogni altro lavoro e impostagli dopo la caduta, in espiazione de’ suoi peccati... Perciò non fa meraviglia se Abele e gli altri figli e nipoti di Adamo, come anche di poi Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe e i suoi fratelli, Mosè, Giobbe, Davide attesero alla pastorizia ed all'agricoltura. Romolo e i primi Romani, furono pastori ed agricoltori. I re, scrive Plinio, lavoravano i campi e la terra si rallegrava di essere solcata dal vomero di quei coltivatori cinti d’alloro e splendidi per trionfi. Essi governavano le cose della campagna tanto diligentemente quanto quelle della guerra; preparavano il terreno a ricevere le semenze con quella cura con cui affilavano le armi per trionfare dei nemici.
S. Paolo esortava Timoteo a lavorare, come buon soldato' di Cristo (II, II, 13); S. Gerolamo scriveva a Rustico: « Impiegati continuamente in qualche lavoro, affinché il diavolo ti trovi sempre occupato; poiché l'ozioso è molestato dai cattivi desideri ».
« Non amare il sonno, dice il Savio, se non vuoi cadere nell'indigenza; apri gli occhi e ti procurerai cibo in abbondanza» (Prov. XX, 13). « Non rifiutarti ai lavori faticosi né all'agricoltura perché essa fu creata dall'altissimo » (Eccli. VII, 16). Per cinque ragioni lo Spirito Santo ci raccomanda il lavoro: 1° perché allontana l’ozio, sorgente e origine di tutti i vizi. 2° Perché il lavoro è occupazione così naturale e necessaria all'uomo, come il volare all'uccello (Iob. V, 7). 3° Perché il lavoro mantiene la sanità, fortifica l’anima e il corpo. 4° Perché in mezzo alle spine del lavoro germogliano le rose della virtù, come l'innocenza, la pazienza, ecc. 5° Perché Dio l'ha stabilito e ne ha fatto un dovere.

2. Utilità del lavoro. — Udiamo, a questo riguardo, l’opinione e l’insegnamento degli antichi sapienti pagani. « Di tutto ciò che l’uomo ricerca, non vi è cosa né più dilettevole, né più dolce, né più degna dell’uomo libero, che l’agricoltura », scrive Cicerone (Lib. I de Offic.). « La ragione è quella recata già da Massimo di Tiro, che il coltivatore della terra si esercita per mezzo di un continuo lavoro; gode l'aria più pura e, più di ogni altro, gusta le bellezze e le dolcezze della natura; la sua mano è agile, il piede saldo e la complessione è robusta: egli è già un soldato esercitato a difendere la patria» {Orat, XXIV).
Tra le cose necessarie a procurare la sapienza, Aristotile annoverava il lavoro (Plutarc.); Platone era di avviso che se non si può esercitare il corpo senza lo spirito, nemmeno si può raffinare lo spirito senza gli esercizi del corpo; che l’uno e l’altro devono lavorare d’accordo (Laert. lib. III). Catone poi rassomigliava l’uomo al ferro il quale è lucido se viene adoperato, altrimenti irrugginisce. Perciò leggiamo che Ercole per avvezzarsi al lavoro, si esercitava ogni giorno a schiantare siepi di rovi che ingombravano il paese da lui abitato (Pausan. lib. VI). Licurgo esercitava alle corse, alle finte battaglie, al tirare con l’arco, anche le donne, affinché si avvezzassero a sopportare i pesi, a soffrire i dolori ed anche a combattere per la patria, quando occorresse (Plutarc.).
« Come ogni arte si mantiene e si perfeziona per mezzo delle cure che vi si spendono attorno, così ogni grazia aumenta col lavoro e deperisce nell'ozio », predicava il Crisostomo. E S. Ambrogio scrive « Ogni cosa va crescendo in bene per mezzo del lavoro. Chi si procurerà mai nulla senza esercizio? Non si esercita forse il soldato, per diventare baluardo della patria? Non si addestra l'atleta per guadagnare il premio? » (Lib. I, de Offic.).
Leggete, pregate, lavorate e il tempo vi parrà sempre troppo breve... e voi sarete felici... « Figliuol mio, dice il Savio, sii spedito ne’ tuoi affari e terrai lontane da te molte malattie » (Eccli. XXXI, 27). L’attività nel lavoro vivifica e invigorisce l'anima non meno che il corpo... Col lavoro il sangue circola, si purifica, si rinnova; gli umori biliosi e nocivi si dissipano, la digestione si compie con più facilità, il sonno è calmo e ristora le forze, ecc. Dio benedice gli uomini laboriosi; essi guadagnano l'affetto dei loro simili; godono in sé la tranquillità e la pace; ottengono vittoria sui loro nemici; sono stimati, accarezzati e soccorsi nei loro bisogni o per dir meglio, il lavoro non lascia che patiscano penuria e tiene lontano da loro il bisogno.
Riguardo all'anima poi, il lavoro è efficacissimo mezzo a dissipare le tentazioni, a scacciare i cattivi pensieri, a tenere lontano il demonio, a domare la concupiscenza... Noi, noi medesimi siamo il campo del Signore e perciò dobbiamo coltivarci... Il campo che dobbiamo lavorare è l’anima nostra; gli alberi fruttiferi sono la sobrietà, la castità e le altre simili virtù; il coltivatore è l’uomo; la pioggia è la grazia di Dio; i venti sono le tentazioni; il calore del sole è l'influsso dello Spirito Santo, la messe è la ricompensa della vita eterna...
L’agricoltura è dunque nel senso mistico la coltivazione dell'anima nostra e di quella dei nostri fratelli. La campagna che Dio ci ordina in primo luogo di coltivare è l'anima, lo spirito, il cuore, secondo quelle parole di San Paolo ai Corinti: «Voi sete l’agricoltura di Dio» (I Cor. III, 9). Bisogna avere la massima diligenza per coltivare bene questo campo; non avere paura né di pene, né di sudori, né di veglie, sostenendoci la speranza di una messe abbondante, di una messe che più non ci verrà meno in eterno, secondo le parole del Salmista: «Andando spargevano tra il pianto la loro semenza, ma nel ritorno verranno lieti e giubilanti portando pesanti covoni » (Psalm. CXXV, 7-8). Bisogna innanzi tutto lavorare per l’anima, per la salute, per il cielo..., poi lavorare per il corpo, ma avendo l'occhio all'anima. Tutti i lavori del corpo e dello spirito dovrebbero essere fatti per l’eternità.

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