1. I buoni non possono essere uniti d’intenzione con i malvagi. — 2, In qual modo i cattivi sono mescolati con i buoni. — 3. Perchè Dio permette che vi siano dei cattivi? — 4. Perchè Dio permette che i tristi perseguitino i buoni? — 5. Perché Iddio permette che i cattivi prosperino, mentre spesso nega ogni fortuna ai buoni? — 6. Come si discernono i buoni dai cattivi.
1. I buoni non possono essere uniti d'intenzione con i malvagi. — «Avete udito che l’anticristo viene, ma già fin d’ora vi sono molti anticristi, scrive S. Giovanni. Essi uscirono dalle nostre schiere, ma non erano dei nostri : perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma ciò avvenne affinché si veda manifesto che a noi non appartenevano » (I Ioann. II, 19).
I buoni e i cattivi formano due eserciti: quelli, l’esercito di Dio; questi, la falange del demonio; e questa divisione avvenne fin dal principio in mezzo agli angeli. L’amaro, dice S. Cipriano, non si confonde col dolce; le tenebre non si uniscono con la luce, né la pioggia col bel tempo; né la guerra con la pace; né la sterilità con la fertilità; né la siccità con l’umidità; né la tempesta con la calma (Epist, VIII, lib. I). Così i malvagi non possono stare uniti di animo e di affetto con i buoni essendo troppo disparati e diversi d’indole, di fede, di lingua, di speranza, di desideri, di costumi, di condotta...
2. In qual modo i cattivi sono mescolati con i buoni. — Nel corpo di Gesù Cristo, che è la Chiesa, i cattivi, secondo il paragone di Sant’Agostino, sono mescolati e confusi con i buoni, come i maligni umori nel corpo dell’uomo : quando l’uomo li rigetta, non perde nulla di ciò che gli apparteneva e si trova bene in salute. Così pure, allorché i malvagi si separano dal corpo di Gesù Cristo, si conosce dove sia la vera Chiesa, e quali sono i buoni. La Chiesa, quando rigetta dalle sue viscere i cattivi, come cibo cattivo, dice: Costoro sono usciti da me, ma non erano dei miei (Serm. LXXVIII).
3. Perché Dio permette che vi siano dei cattivi? — « Non pensate, diceva S. Agostino, che senza ragione vi siano dei malvagi in questo mondo e che Dio non possa ricavarne alcun bene; ogni cattivo è al mondo, o perché finalmente si corregga, o perché serva di esercizio al buono. Perché Dio, essendo la bontà per essenza, non permetterebbe il male, se non fosse nel tempo stesso così potente da cavarne del bene ». Boezio scrive: « Alla sola onnipotenza divina appartiene il far sì che i mali medesimi si convertano in beni; infatti servendosene in modo conveniente, ne trae buon risultato ».
Dio permette il peccato, e la caduta di Adamo. Senza la potenza e la bontà del Creatore, tutto per l’uomo era perduto; ma spiegando questi due divini attributi, Dio promette un Redentore che riparerà oltre ogni misura l’ingiuria fatta alla divinità dal peccato; così cambia in felicità e gloria dell’uomo quello che era sua disgrazia e suo disonore. Perciò la Chiesa canta « O colpa fortunata, che valse a noi un tale e così grande Redentore! ».
Non vi fu né vi sarà mai un delitto così enorme come il deicidio commesso dai Giudei. Eppure; o abisso della sapienza e della benignità, divina! da questo orrendo misfatto, Dio ha ricavato la salute del genere umano e una gloria infinita... Atroci delitti commisero i giudici e i carnefici che tormentarono e fecero scempio dei corpi dei martiri; ma Dio li ha volti a sua gloria, a premio ed esaltazione dei martiri, a trionfo della religione.
Nell’Omelia XXIII sui Numeri, Origene dice: Quaggiù le cose sono così ordinate, che non vi è niente d’inutile per Iddio, nemmeno il male. Dio non fa il male; tuttavia non lo impedisce, ancorché facilmente lo possa; ma si serve del male e di chi lo fa, per cose vantaggiose. Infatti egli si serve dei cattivi per provare e mettere in onoranza coloro che si proposero di raggiungere l’incomparabile gloria della virtù. Se fosse distrutta la malizia dei tristi, le virtù dei buoni non apparirebbero così splendide né così eroiche; se la virtù non fosse posta nel crogiuolo delle prove, non sarebbe né così grande, né così imponente, né così meritoria; anzi non sarebbe più virtù. Origene cita Giuseppe a prova di quello che ha detto. Togliete, egli dice, la malizia dei fratelli di Giuseppe; togliete l’invidia, togliete i delitti coi quali amareggiarono il vecchio loro padre, e supponete che non lo avessero venduto, quante opere non togliete a Dio che resero celebre la potenza del suo braccio! Infatti, tolto questo, non vi è più nulla di tutto ciò che Dio ha fatto di stupendo in Egitto, non solamente per mezzo di Giuseppe, ma ancora per mezzo di Mosè, por procurare la salute e la gloria del suo popolo. Allora l’Egitto e le circostanti nazioni, ed Israele con esse, sarebbero perite dalla fame. Non si sarebbero vedute le grandi e prodigiose piaghe dell’Egitto, né la meravigliosa potenza dimostrata da Dio per mezzo di Mosè e di Aronne. Nessuno avrebbe passato il mar Rosso a piede asciutto; nessuno sarebbe entrato nella terra promessa; il cielo del deserto non avrebbe piovuto la manna, pane miracoloso; né dai macigni si sarebbero vedute sgorgare abbondanti acque, né sul monte Sinai si sarebbe promulgata la legge del Signore. Se voi togliete la malizia e il tradimento di Giuda, sopprimete la passione e la croce di Gesù Cristo. Se non esistesse la croce, le potenze dell’inferno non sarebbero vinte e spogliate, non trionferebbe su di loro il sacro vessillo della redenzione. Se Gesù non fosse morto, non avrebbe avuto luogo né la sua né la nostra risurrezione. Togliete il peccato, la malizia del demonio, e voi ci togliete la lotta contro le insidiose armi dell’inferno e, mancando il combattimento, manca a noi l’occasione e la speranza della vittoria e della corona. Se non avessimo avversari non ci sarebbero persecutori, e quindi neppure ricompense per i martiri; il cielo non si aprirebbe a ricevere i vincitori e quell’istante di tribolazioni di cui parla S. Paolo, non sarebbe più coronato da un peso immenso di gloria eterna. È dunque spettacolo veramente magnifico e infinitamente meraviglioso, il vedere Dio che si serve di strumenti cattivi per un’opera buona e perfetta.
« Il bene combatte contro il male, dice il Savio, la vita contro la morte, il peccatore contro il giusto » (Eccle. XXXIII, 15). Ma perché fra gli uomini Dio ne sceglie di quelli che benedice e santifica, ed altri lascia correre per la via della perdizione, atterrandoli col fulmine della sua maledizione e della sua vendetta? Per più ragioni Dio fa così: la affinché le persone pie si trovino in opposizione con gli empi e la pietà riesca trionfante dell’empietà, lasciando libero campo alla libertà individuale... 2a Acciocché alla vista del disonore e dell’infamia che accompagnano l’empio risalti meglio l’onore, la dignità, la bellezza, l’eccellenza e la gloria dell’uomo virtuoso... 3a Per manifestare nei buoni e nei santi le ricchezze della sua misericordia e della sua grazia e per mostrare nei cattivi la potenza della sua giustizia... È osservazione di S. Agostino che gli animali nocivi sono utili all'uomo, sia perché lo puniscono giustamente, sia perché lo esercitano salutarmente, e sia perché lo provano per il suo bene, sia perché lo ammaestrano senza saperlo. Il medesimo si può dire dei cattivi rispetto ai buoni. Anche S. Agostino è del parere di Origene, che il male del peccato torna a bene dell’uomo e dell’universo, perché la virtù messa a confronto del vizio, risplende di più; e perché il male della colpa diventa principio del castigo che è un bene; e perché questo male porta l’uomo a pentirsi e Dio a perdonargli (De lib. arb. lib. III, c. IX).
La morte di Gesù Cristo diventò rimedio alla nostra morte, perché la morte del Salvatore ha ucciso la morte dell’anima e ci ha dato la vita eterna. Secondo il medesimo principio, bisogna cercare il rimedio a ogni avversità e croce nell’avversità e nella croce, ma principalmente nella croce di Gesù Cristo...
«Dio non avrebbe creato, dice S. Agostino, né un solo angelo, né un solo uomo, che avesse preveduto dover riuscire cattivo se non avesse saputo come servirsene per utilità dei buoni, e non avesse preveduto che dell’ordine dei secoli avrebbe composto un ammirabile canto alla sua provvidenza ».
Quaggiù vediamo combattere, scrive S. Isidoro, la modestia contro la sfacciataggine; la purezza, contro l’impudicizia; la schiettezza, contro la finzione; la virtù contro il delitto; la costanza, contro la crudeltà; l’onestà, contro il disonore; la più riguardosa continenza, contro la più sfrenata dissolutezza; l’equità, la giustizia, la temperanza, l’eroismo ed ogni maniera di virtù, contro l’iniquità, l’ingiustizia, la virtù, la temerarietà, ed ogni genìa di vizi. Si vede lottare l’indigenza con l’abbondanza, il buon senso con la follia, la speranza con la disperazione. Spettacolo sublime, la lotta dei buoni contro i cattivi! Spettacolo vergognoso e crudele, la guerra dei cattivi contro i buoni! Gli assalti dei tristi temprano a vigorosa saldezza le virtù dei pii, loro procurano una morte che li conduce al cielo, meriti senza numero, ricchezze, corone e onori infiniti; danno ai buoni Dio medesimo per eredità in eterno (Orìgen. lib. II, c. 1).
Ci piace ripeterlo: se non ci fossero stati dei malvagi, Gesù Cristo non sarebbe morto...; se non vi fossero stati degli empi, milioni di martiri non sarebbero mai giunti alla gloria, all’onore, al premio a cui giunsero...; senza il peccato, la verginità non avrebbe merito... I mali si cambiano in beni per i buoni; i beni si convertono in mali per i cattivi. Il patibolo sul quale fu appeso Aman fu veramente per lui un male, ma fu la salvezza e la vita per gli Ebrei; tanto è ingegnosa, potente ed efficace la volontà di Dio! Questo fece dire a S. Agostino quelle ammirabili parole : « Grandi sono le opere del Signore e rispondenti ad ogni suo volere; di modo che non avviene nulla al di fuori di questa volontà, non escluso ciò che si fa contro di essa, poiché questo non succederebbe se essa non lo permettesse; né lo permette a suo malgrado, ma volendolo ».
Dio ha regolato, disposto, ordinato tutte le cose in modo che perfino i mali riescano a vantaggio dei buoni, e i beni di nocumento ai cattivi i quali ne abusano e ne fanno risultare la loro disgrazia... Nel libro delle Sentenze di S. Agostino si trova la seguente, veramente sensatissima: «La volontà di Dio è la causa prima e suprema dei movimenti di tutti gli esseri corporali e spirituali. E in fatti, nell'immensa ed universale repubblica degli esseri creati, nulla si fa in modo visibile e sensibile, che non sia già decretato e permesso nella invisibile e incomprensibile aula del sommo Signore e conforme all’ineffabile giustizia delle ricompense e dei castighi, delle grazie e delle retribuzioni. La ragione immutabile nella quale si trova simultaneamente al di fuori del tempo, ciò che avviene a diverse riprese nel tempo, conosce e dispone l’ordine di tutte le cose mutabili; intanto, per mezzo dei cattivi, Iddio forma ed ammaestra i buoni; impiega la potenza transitoria di coloro che saranno condannati all’inferno, a educare e perfezionare quelli che sono chiamati a godere dell’eterna liberazione ».
4. Perché Dio permette che i tristi perseguitino i buoni? — Impariamo innanzi tutto, che è nostro dovere ammirare e venerare, non già investigare da curiosi i segreti giudizi per i quali Dio permette ai malvagi di perseguitare i buoni. Senza tuttavia pretendere di penetrare i consigli dell’Altissimo, due ragioni ci possono illuminare su questo mistero.
1° Dio permette le malvagità degli empi per mostrare la sua longanimità, la sua impassibilità e l’elevazione sua al di sopra di tutte le cose terrene, cioè per far vedere come tutti i delitti dei perversi non possono né toccarlo, né conturbarlo, né recargli patimento; ma che essendo la dolcissima, suprema felicità, sta infinitamente al di sopra di tutte le ingiurie, delle ingiustizie e dei peccati degli uomini. Dio non resta macchiato dai vizi di coloro che egli nutre e mantiene in vita, come non si macchia il raggio solare che penetra in una fogna.
2° Dio tollera che i tristi perseguitino i buoni, per somministrare a costoro argomento alla pazienza, alla costanza, alla virtù... Dice a questo proposito S. Agostino : « Tutto ciò che i giusti soffrono dai malvagi, non è per castigo di delitti, ma per prova di virtù. Del resto, anche schiavo, il giusto è sempre libero; al contrario, anche re, il peccatore è sempre schiavo. Con questa differenza a danno di quest’ultimo, che egli è servo di tanti padroni, quanti sono i vizi di cui è schiavo ». Chiedendo in altro luogo a se stesso, il santo dottore, in che modo i cattivi servano ai buoni, risponde: che ciò fanno non con l’ossequiarli, ma col perseguitarli. I tristi giovano ai buoni, come i persecutori ai martiri; come la lima o il martello all’oro; come la macina al frumento. I cattivi si consumano per rendere perfetti i buoni; sono per i buoni come le legna per l’oro nel crogiuolo; le legna ardono e restano cenere; l’oro perde la scoria e acquista splendore.
Gli empi sono nelle mani di Dio la sferza, con la quale egli
come buon padre castiga e corregge le colpe de’ suoi figli. Così, per esempio, ci fa testimonianza Isaia che la collera di Dio si servì di Sennacherib come di strumento per flagellare il popolo prevaricatore (Isai. X, 5). Nabuccodonosor è Chiamato da Geremia, la verga vigilante di Dio, o la verga del Dio che vigila (Ierem. I, 11). Attila medesimo aveva tale sentimento della sua missione, e si chiamava Flagello di Dio.
5. Perché Iddio permette che i cattivi prosperino, mentre spesso nega ogni fortuna ai buoni? — « Veramente tu, o Signore, sei giusto, esclama Geremia, tuttavia per qual motivo tutto va bene per gli empi; sono felici tutti i prevaricatori e gli iniqui? Tu li piantasti e gettarono radici; crescono e fruttificano: tu sei vicino alla loro bocca, ma lontano dai loro affetti » (Ierem. XII, 1-2). Il profeta vede la risposta a questa sua domanda, e se la dà egli medesimo con le parole seguenti: « Radunali qual gregge al macello; e tienli a parte per il giorno dell’uccisione » (Ib. 3). Donde si vede che sembra, a giudicare dal di fuori, che Dio benedica i perversi, ma in sostanza li maledice. La loro prosperità apparente non è che un sogno il quale sparirà allo svegliarsi; è di più un castigo, perché li trattiene dal rivolgersi a Dio...
Anche Giobbe si lagnò con Dio della prosperità che godono i malvagi e dell’afflizione in cui vivono i buoni. Perché, domanda egli, perché dunque vivono gli empi? perché sono esaltati e godono l’abbondanza? Ma si risponde ben tosto : Ah! essi vivono nell’abbondanza dei beni, ma eccoli in un batter di ciglio piombare all’inferno. Essi non sono i padroni dei beni che godono. Quante volte la vita dell’empio si spegne come una fiamma su cui si soffia! quante volte la rovina cade loro addosso come fulmine e li annienta! quanto spesso i castighi della collera divina formano la loro porzione! Essi saranno come pula innanzi al vento, come polvere tra i vortici di un turbine. I loro occhi vedranno la loro rovina, ed essi tracanneranno il calice del furore dell’Onnipotente (Iob. XXI, 7, 13, 16-18, 20).
Simile a quello di Giobbe e di Geremia è il linguaggio di Davide : « I miei piedi vacillarono, egli dice, e poco mancò ch’io non mi sviassi, tanto fu lo sdegno che mi colse vedendo i peccatori godersela in pace. Per loro non vi sono acciacchi di morte, e tanto vigore è nelle loro membra che sembrano esenti dalle fatiche e dalle afflizioni umane. Perciò vanno superbi, vestiti d’iniquità; l’orgoglio e l’empietà trasuda da tutti i loro pori; ecco che le case di questi empi, di questi fortunati del secolo rigurgitano di ricchezze! E avrò io dunque purificato invano il mio cuore, avrà lavato inutilmente le mie mani con coloro che sono senza macchia?... Ma voi, o Signore, li avete collocati sopra un terreno sdrucciolevole e li avete abbattuti mentre s’innalzavano. Come mai, o Dio, caddero preda della desolazione! Vennero meno ad un tratto; la loro iniquità li trabalzò nell’abisso. Signore, voi scancellerete l’immagine loro dalla vostra città, li farete svanire come svaniscono i sogni di chi si sveglia (Psalm. LXXII, 2-7, 12-13, 18-20). Ho veduto l’empio levato in gloria e potenza più alto dei cedri del Libano; ripassai e non vi era più; domandai di lui e non se ne trovò nemmeno più la traccia. Guardate l’innocente, osservate il giusto; il suo ultimo giorno è la pace, ma il malvagio perisce coi malvagi, e il suo ultimo giorno è la rovina ».
« L’empio soverchia il giusto, dice Abacuc; ma le cose cambieranno, ed egli passerà e cadrà » (Habac. I,4, 11).
Molti, accasciati dalle disgrazie che la divina Provvidenza loro invia, perdono la fede vedendo come, ancorché servano Dio, la povertà e le afflizioni li perseguitano, mentre gli empi e i dissoluti sono floridi in mezzo ai loro vizi e incredulità. Imitano i pagani i quali vedendo la felicità dei tristi e l’infelicità dei buoni, erano caduti in tre errori grossolani: cioè, alcuni negavano a dirittura l’esistenza di Dio...; altri ammettendo che Dio esiste, sostenevano poi che egli non si prende nessun pensiero dell’uomo, né degli eventi umani...; i terzi finalmente concedevano che Dio esiste ed ha cura del mondo; ma questa cura, dicevano, si limita a governare le cose in grande senza punto impacciarsi delle particolari e individuali. Errori mostruosi dai quali però constatiamo con piacere che si tennero immuni alcuni filosofi. Seneca, per esempio, parlando della Provvidenza, insegna che nulla in questo mondo è opera del caso, ma che tutto ciò che pare fortuito, è segretamente disposto e governato dalla sapienza di Dio (De nat. Deor. 1. III).
La lunga e divina pazienza dell’Eterno aspetta gli empi a penitenza; ma finché non vi si risolvono, li punisce con i rimorsi i quali non sono un leggero castigo delle loro iniquità. Infatti, come avverte Pitagora, il malvagio soffre di più sotto i colpi della sua coscienza, che non chi è battuto con verghe e flagellato nel corpo. Si batte il figlio disobbediente perché si emendi; Dio flagella l’empio coi rimorsi, affinché muti vita e riformi i suoi depravati costumi. Se poi ricusa di pentirsi e di mettersi su la buona via, allora Dio lo punisce in modo che compensa con la gravità del supplizio, l’indugio del castigo, secondo l’osservazione di Zonara che lasciò scritto : « Benché la Provvidenza punisca tardi gli insulti degli empi, lasciando loro il tempo di fare penitenza, tuttavia se non lasciano la strada del male, a lento passo li segue, li afferra e li costringe a soddisfare ».
Dio concede le prosperità ai malvagi, per insegnarci che le ricchezze, le pompe, le felicità del mondo, devono essere tenute in nessun conto, come cose senza valore e un vero nulla. E questa la ragione per cui lo vediamo largheggiarne con i suoi nemici, e negarle agli amici... Dice S. Agostino: Quand’anche aveste la sapienza di Salomone, la bellezza di Assalonne, la fortezza di Sansone, la longevità di Enoc, i tesori di Creso, la felicità di Augusto, che cosa vi gioverà tutto questo, se alla fine sarete divorati dai vermi e tormentati col ricco malvagio nell’inferno perdendo l’anima vostra? (Sentent.). Ah! terribile castigo è per il malvagio la prosperità temporale! Costantino Manasse la paragona al piombo, perché spesso impedisce all’uomo di galleggiare su l’oceano del male, ma ve lo inabissa e inchioda al fondo.
Dio permette che gli empi navighino nel mondo col vento in poppa, per lasciarli liberi a se stessi e dimostrare come sia tremenda la forza della concupiscenza nata dalla colpa originale, forza che spinge gli uomini a tante rapine, violenze e delitti solo nocevoli all’uomo che li commette, non a Dio contro cui si commettono. Finalmente, questa condotta della Provvidenza mira a condurre gli uomini primieramente a riconoscere la loro miseria, debolezza, accecamento e follia; quindi a cercare la grazia e ricorrere alla sapienza del Redentore...
Inoltre Dio lascia che i malvagi facciano quello che loro talenta, perché si veda che il tempo presente è il tempo del merito o del demerito, e che l’eternità è destinata per il premio o per il castigo. Allora Dio riformerà gli storti giudizi degli uomini; allora correggerà le loro colpe e ristabilirà la giustizia, secondo quelle parole del profeta : « Quando sarà giunto il tempo, io giudicherò le sentenze degli uomini » (Psalm. LXXIV, 2). Ecco perché S. Ambrogio dice: « Nessuno si congratuli con l’uomo per il quale tutto va bene, le cui iniquità non sono riprese da nessuno, ma sono invece lodate da tutti. Guai a questo tale! appunto allora la collera del Signore tocca il suo colmo; e bisogna ben dire che abbia irritato oltre ogni misura la giustizia di Dio, se giunse ad attirarsi questo terribile castigo, di non essere più punito in questo mondo ». Ascoltate ancora la risposta di S. Gregorio : « Dio quaggiù punisce alcune colpe e altre ne lascia invendicate; perché se non ne punisce nessuna, si potrebbe credere che non si curi punto delle cose umane; se poi tutto e tutti castigasse, potrebbe nascere il sospetto che non vi fosse più l’estremo giudizio ».
Così grande è la gloria riservata ai giusti, ai santi, che fa meraviglia come i demoni, gli empi, gli elementi stessi non congiurino tutti insieme nell’opprimerli e tormentarli, per impedire la loro gloria futura. Al contrario, le torture che stanno preparate per i cattivi e per gli empi sono tali, che c’è da meravigliare che non affoghino tra le gioie di questa terra, e che tutto non si cambi per loro in rose e miele, per compensare un poco con qualche stilla di felicità, le pene eterne che li aspettano. Poiché come tutti i patimenti e i dolori di quaggiù non hanno proporzione con la gloria dei santi, così tutte le gioie, le ricchezze, i piaceri della terra sono un bel nulla, paragonate ai dolori, ai tormenti che proveranno i dannati. Dunque, piuttosto che invidiare la prosperità dei tristi, l’uomo prudente e savio gemerà su la felicità e su l’impunità che godono.
Ai servi evangelici che lagnandosi col padrone perché, avendo egli seminato buon seme nel campo, vi fosse cresciuta l’erba cattiva, si offersero pronti ad estirparla, questi rispose : No : vi sarebbe pericolo che nell’estirpare la zizzania, si guasti il grano; lasciate che l’una e l’altro cresca sino alla mietitura; allora io ordinerò ai mietitori: Raccogliete prima le zizzanie e, legatele in fasci, gettatele nel fuoco; il frumento poi portatelo nel mio granaio (Matth. XIII, 28-30). Si vede chiaro da queste parole con quanta pazienza Dio tolleri e sopporti i cattivi; ma si vede anche come si prepari a schiacciarli più tardi sotto il peso di una rigorosa giustizia...
5. Agostino, commentando queste parole, dice: Noi sappiamo che vi sono nella Chiesa dei buoni e dei cattivi che chiamiamo frumento e paglia. Nessuno lasci l’aia prima di tempo, ma sopporti la paglia nell’aia e nel vaglio, con certezza di non averla più a fianco nel granaio. Verrà il vagliatore che scevererà i buoni dai malvagi. Già fin dal presente tra gli uni e gli altri vi è la separazione spirituale; si farà un dì anche la corporale. Per ora sia vostro studio di non avere simiglfanza di condotta con gli empi, ma non toglietevi dal loro consorzio, procurando di correggere quelli che da voi in qualche modo dipendono, con l’avvertirli, istruirli, esortarli. Il cattivo non può nuocervi quando voi anzitutto non approviate la sua condotta, e poi lo riprendiate. Chi si regola in tal modo non comunica coi tristi, né li approva. Non prendete parte alle opere sterili delle tenebre, dice S. Paolo, anzi condannatele. Che cosa significano queste parole? È come se l’Apostolo dicesse: non appoggiate le opere dei cattivi, non lodatele, non approvatele, non abbiatevi parte col vostro assenso, non siate così negligenti che non le biasimiate, ma nemmeno così orgogliosi di rivestire con l’ingiuria il vostro biasimo (Serm. LXXVIII).
Non si rallegrino gli empi e i cattivi, della prosperità in cui vivono, né di quella specie d’impunità di cui pare loro di godere; Dio li pagherà secondo i loro fatti. « Ancora un poco di tempo, dice il Salmista, e l’empio non sarà più; cercherete del suo luogo e non ne troverete più la traccia » (Psalm. XXXVI, 10).
6. Come si discernono i buoni dai cattivi. — Due cose, dice il Cardinal Bellarmino, fanno vedere ciò che avviene nell’interno dell’uomo: l’occasione di operare in secreto, e il tempo dell’avversità. Vi sono parecchi i quali sono interiormente guasti e mostrano all’esterno di essere assai sani. Se loro si porge il destro di fare il male di nascosto, se non corrono rischio di venire scoperti, allora
la malvagità loro trapela. All’opposto i buoni si mantengono sempre i medesimi, in pubblico e in segreto. Nelle prosperità, talora riesce difficile differenziare il buono dal cattivo; ma quando avvampa e crepita il fuoco della tribolazione e della persecuzione, allora l’oro splende e la paglia fuma. Dei buoni il Salmista dice: « Voi, o Signore, avete messo alle prove il mio cuore e mi avete visitato la notte (cioè quando potevo peccare in segreto); voi mi avete saggiato al fuoco della tribolazione, e non fu trovata in me iniquitade » (Psalm. XVI, 4). Quale poi sia l’interiore dei tristi, lo palesò Dio al profeta Ezechiele (VIII, 8, 10) quando gli ordinò di atterrare la muraglia e di entrare dentro. Avendolo egli fatto, gli si pararono allo sguardo, grandi immagini di ogni specie di rettili e di animali, e l’abbominazione e gli idoli (Bellarm. Comment. in Psalm.).
Il pilota si conosce in mezzo alla tempesta, dice S. Cipriano, e il soldato sul campo di battaglia. L’albero che getta profonde le radici nel suolo, resiste all'urto dei venti; la nave i cui fianchi sono solidamente costrutti, è flagellata dalle onde e dai marosi, ma non sommersa (Serm. IV de Immort.). Così nelle tribolazioni i giusti si mantengono pazienti, rassegnati alla volontà di Dio e crescono in virtù; i cattivi al contrario brontolano, mormorano, bestemmiano, maledicono, e spesso cedono ai funesti consigli della disperazione!
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