8. L’avarizia è un peso che opprime. — 9. Accecamento prodotto dall’avarizia. — 10. Nullità delle ricchezze. — 11. Quanto vile e spregevole sia l’avaro. — 12. L’avaro è diffidente, invidioso, ingrato, traditore, crudele, dèspota.
8. L’avarizia è un peso che opprime. — Pesante è l’oro di natura sua; l’avarizia poi ne forma un carico opprimente, che pesa su l’anima più ancora che non sul corpo. « Vedete, dice S. Agostino, quest’uomo sotto il peso dell’avarizia? osservate come sbuffa, anela, si riposa, trafela, e lavora per aggiungere carico a carico. E che cosa ti prometti, o avaro, dal peso di cui ti carichi? A che miri? Che cosa brami? Perchè ti spossi in fatiche? Ah! tu vuoi saziare l’avarizia: ma ohimè! essa ti può consumare senza che tu arrivi a saziarla. Mi dirai che l’avarizia è un peso leggero? ma perchè dunque ne sei oppresso fino al punto di morirne? Una cosa da nulla è l’avarizia? e perchè dunque non ti lascia chiudere palpebra; perchè ti disturba il sonno? ». ce Pensa, soggiunge S. Girolamo, che il non avere nulla, è essere libero da un peso enorme; segui nudo Gesù Cristo nudo ».
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S. Prospero dice: «Non vi è giogo nè più pesante nè più duro a rompersi, che l’avarizia. Perchè andate voi cercando felicità altrove che in Pio che è tutto bene? che cosa può bastare a colui al quale non basta Dio? Questo bene infinito possedeva il reai Profeta, e n’era da lui posseduto, quando esclamava : Dio è la porzione di mia eredità » (De vita comtempl. c. XIII).
9. Accecamento prodotto dall’avarizia. — Chi viene incatenato mentre dorme, non si accorge de’ suoi iegami se non quando si sveglia e cerca di levarsi; così coloro, che hanno il cuore alle ricchezze, sono legati ad esse con una segreta affezione di cui si accorgono soltanto quando o le perdono o vi rinunziano.
Non l’avaro possiede l’oro, ma l’oro possiede l’avaro, e in modo tale che se lo rende servo e schiavo... Ben lo sapeva quel Curio romano il quale rifiutando sdegnoso l’oro dei Sanniti diceva: Preferisco governare io l’argento e quei che l’hanno, anziché lasciarmi da lui governare. A questo proposito Seneca argutamente osservava : Gli avari hanno le ricchezze a quel modo che noi diciamo di aver la febbre, perchè veramente è lei che possiedo e padroneggia noi. Dovremmo correggere il nostro linguaggio e dire: la febbre lo domina: le ricchezze lo tiranneggiano »; e in altro luogo esce in questa sentenza: « Il denaro a chi sa usarlo, serve; a chi non sa, comanda »; quindi conchiude che bisogna comandare, non servire al denaro.
« Quello che non prende Cristo, diceva S. Agostino, se lo incamera il fisco: l’avaro è colto mentre coglie: diventa preda nell’atto di predare ».
« Chi è schiavo delle ricchezze, dice S. Gerolamo, le custodisce come un servo : chi invece ha scosso il giogo di tale servitù, le maneggia, da padrone ».
Udite ancora S. Giovanni Crisostomo: «L’avaro è custode, non padrone; schiavo, non possessore del denaro: perchè darebbe più facilmente un brandello delle proprie carni che non una moneta del suo tesoro, si astiene daH’usare il suo, come si. guarderebbe dal toccare la roba d’altri. E infatti anche il suo avere non appartiene a lui, perchè essendo disposto a sopportare piuttosto qualunque privazione che spendere o dare un soldo, si può dire ch’egli abbia qualche cosa del proprio?... L’avaro non ricava nessun vantaggio dalle sue ricchezze; egli vive e agisce come se nulla possedesse. Se lavora, lo fa per gli eredi, con grande pericolo c discapito dell’anima propria. I suoi sudori e le sue veglie sono per lui inutili, e perfino la morte, che agli, avari viene anticipata dalle privazioni, non gli torna di profìt-
to ». In altro luogo il medesimo Dottore, scrive: «Le ricchezze sono, per coloro che non sanno servirsene, una pesante catena, un tiranno crudele e inumano che impone alle sue vittime tutto ciò che può loro nuocere. Ma se si volesse si potrebbe romperne il giogo, sottrarsi alla loro tirannia, ed in che modo? facendo larghe elemosine. Finché vi trovate da solo con Plutone, come in faccia a un ladro ed in luogo solitario e appartato, egli vi fa molto male e v’abbatte; ma se è condotto in piazza, cede, si lascia vincere e offre i polsi alle catene con cui lo legano i poveri, dandosi l’un l’altro la mano » (Homil XIII, in I ad Cor.).
S. Agostino così fa parlare Iddio: L’avarizia v’impone obbligazioni difficili ed io vi assegno doveri facili, il suo giogo è pesante ed il suo peso opprime, il mio è leggero e delizioso. L’avarizia vi ordina di valicare i mari, d’esporvi alle tempeste ed ai naufragi, io non esigo se non che diate ai poveri che bussano alla vostra porta quello che potete: e sarà vero che voi, i quali, v’avventurate intrepidi sull’oceano per obbedire all’avarizia, non abbiate cuore di fare una buona azione che sta nelle vostre mani? L’avarizia comanda e voi siete pieni di zelo per servirla; Dio comanda e voi non fate caso nè di Lui, nè de’ suoi comandi... (In Psalm. CXVI1I). Voi obbedite all’avarizia la quale ben lungi dal recarvi qualche vantaggio, vi infesta di mali e vi rifiutate di obbedire a Dio che vi colmerebbe di ogni bene e vi preserverebbe da ogni male!...
« L’avaro sì lascia prendere dall’oro, come l’uccello nella pania », sentenzia S. Gregorio Nazianzeno il quale osserva ancora che il denaro è un occulto tiranno che quando ha fatto udire la sua voce, copre o rende inutile ogni altra, benché supplichevole e commovente preghiera.
Ora non è il caso di esclamare con Diogene : « Quale vergogna che possieda molto, chi non possiede se stesso? ».
« Tutti gii avari periscono incatenati dal denaro », ha detto So-fonia: Disperierunt omnes involuti argento (Soph. I, 11). Ma è forse da meravigliare che così periscano, mentre essi, al dire di S. Ambrogio, sono del continuo tra lacci, sempre in catene, non sou mai liberi, perchè vìvono sempre nel peccato? (De Caìn.).
S. Agostino giustamente osserva che « l’avaro perde se stesso prima di guadagnare una moneta; rimane preso prima di prendere ». Chi sa adoperare il suo denaro, scrive il medesimo Dottore, ne è il padrone; ma chi non. sa usarne ha l’oro per despota. Siate i padroni del denaro, non gli schiavi; perchè quel Dio che ha creato l’oro, ha creato voi ben superiori a questo metallo: ha creato l’oro per vostro
uso ed ha creato voi a. sua imagine e per Lui solo. Tenete l’occhio a quello che sta al disopra di voi e calpestate quello che vi sta al disotto (In Psalm,. CXXXII). Altrove poi dice che chi è interamente volto alle cose terrene, per forza si ritira dalle celesti. L’avarizia ci lega alla terra e al fango, perchè l’oro non è altro che terra e fango, e non ci lascia nemmeno dormire in pace.
« Non vi prendete affanno, dice Gesù Cristo in S. Matteo, nè di quello che dovete mangiare nè di quello con cui dovete vestirvi. La vita non vale più dell’alimento e il corpo più del vestito? » — Ne solleciti sitis animae vestrae quid manducetis, ncque corpori vestro quid induamini. Nonne anima plus est quarn esca, et corpus plus quam vestimentum? (Matth. VI, 25). Ora l’avaro trascura e dimentica totalmente l’anima e la vita, e non si occupa che del suo tesoro. Che cecità!... O stolti che vi logorate ad ammassar ricchezze, questa notte medesima morrete! e a chi toccherà il vostro tesoro? — Quae parasti cuius erunt? (Lue. XII, 20). Ah! molte volte non sapete nemmeno voi medesimi per chi lavorate; ad ogni modo lavorate per altri e non per voi...; ma che dico? voi lavorate contro di voi... E non è questo un vivere tra le tenebre? E infatti il Vangelo nota che quando Giuda uscì a vendere per avarizia il suo Maestro, era notte: — Erat autem nox (Ioann. XIII, 30).
« L’oro che si cerca nelle cieche viscere delia terra, dice a proposito S. Agostino, si custodisce nei ciechi ripostigli del cuore. Il cercarlo- fa dei dannati, come ramarlo ha prodotto un Giuda: poiché l’avaro preferisce l’oro a Cristo ».
Voi cercate la vostra felicità nelle ricchezze, dice S. Bernardo, ma Dio non ci ha scacciati dal paradiso terrestre per provvedercene un altro (Serm. in Cantic.). Che cecità cercare la propria felicità là dove nessuno la trovò mai, nè troverà in eterno!
Che cosa preferite, dice S. Agostino, amare le cose temporali e passare con esse, o il non amarle e vivere eternamente con Dio? Il Signore vi ha dato tutte le cose create, siategli adunque riconoscenti amandolo. Anziché l’oro Egli vuole darvi se stesso. Ora se voi mettete il cuore nei beni di quaggiù, sebbene vi vengano da Lui, e di Lui non vi curate, il vostro amore non è forse adultero? Le sostanze che Dio vi dà sono un invito ad amarlo; se voi preferite a Lui i suoi doni, rassomigliate ad una sposa che si tiene più caro l’anello d’oro regalatole dal suo sposo- che non lo sposo stesso, e questo affetto sa certamente di adultero (Servi. XXVIII, de veri). Domini).
Per le ricchezze periture, soggiunge S. Cirillo, l’avaro sacrifica le celesti e imperiture. Ha occhi e non vede; abbandona i veri beni per i fallaci, quello che dura per quello che passa, il Cielo per la terra; cambia tesori infuriti con la povertà, la gloria con la miseria, il certo con l’incerto, il bene col male, la gioia sincera con l’afflizione. Raduna
al di fuori di sè bagatelle e ninnoli, al di dentro si spoglia e immiserisce; si attacca a bioccoli che una folata di vento disperde; possiede la terra e dimora nell’Inferno. Egli divora e il suo stomaco non può smaltire il cibo di cui è troppo ripieno; ama chi l’uccide, acquista per perdere, studiosamente conserva quello che gli cagionerà un eterno rimorso, si addossa carichi per precipitare più presto nell’abisso eterno (Homil. VII).
Tra le altre miserie che l'Ecclesiaste afferma di aver veduto nel mondo, novera fra le più deplorabili quella di ricchezze conservate a tormento del loro possessore; perchè esse periscono e non lasciano che calamità e affanno. Profonda miseria! L’avaro, com’è venuto, così se n’andrà; e che cosa gli giova l’aver tanto lavorato? « Egli ha mangiato per tutta la sua vita nelle tenebre, tormentato da una infinità di cure, tra l’ambascia e la melanconia » — Cunctis diebus vitae suae comedit in tenebris, et in curis rnultis, et in aerumna atque tristitia (Eccle. V, 12-16). Queste tenebre indicano l’iniquità dell’avaro, il suo vivere misero, tapino, schifoso.
L’avaro vive nelle tenebre, cioè nella ignoranza, nelle sollecitudini, portando il segno e la pena del peccato che del continuo commette. Per lui è sempre notte fìtta; e la prova palpabile del suo accecamento si è, che egli vuol vivere nella povertà per morire neU’abbon-danza.
Chi si lusinga di poter conoscere la verità, vivendo viziosamente, s’inganna a partito, scrive S. Agostino. Ora che cosa è il vivere viziosamente se non amare il mondo e quello che il mondo contiene? mettere il cuore in ciò che passa, considerarlo come cosa d’alto valore, desiderarlo, affaticarsi per acquistarlo, gioire quando si giunge alle ricchezze, tremare al pensiero di una perdita, corrucciarsi oltremodo allo smarrirsi di un oggetto che si possiede? « Che stranezza, che cecità è mai questa delle anime nostre! perdere là vita, desiderare la morte! acquistare l’oro, far getto del Paradiso ».
È certo, scrive S. Gregorio, che chi brama di arricchire, non si cura di evitare il peccato : come uccello abbarbagliato dallo specchio del cacciatore, getta l’occhio avido su lo splendore delle ricchezze, e più non vede nè schiva la rete del peccato (Pastor. admon. XXI).
Gli avari sono talmente ciechi, che non vedono neppure quanto sono colpevoli; agli occhi loro l’avarizia è una virtù, ne fanno un elemento di ordine, e perciò non si convertono mai. E facile trovare chi resista alle altre inclinazioni, chi freni le altre passioni; ma non si trova quasi mai chi vinca l’avarizia: al contrario, essa va sempre aumentando con l’avvicinarsi della morte la quale spoglia, in un istante, di tutto ciò che si era radunato. La vita dell’avaro comincia nelle tenebre, si consuma nelle tenebre, e passa dalle tenebre temporali alle eterne dell’Inferno.
A ragione adunque Demostene, vedendo portare al sepolcro un avaro, esclamava: «Egli non ha saputo vivere» (Maxim.).
10. Nullità delle ricchezze. — « Se voi mi mostraste le vostre magnificile dimore, fossero pur anche palazzi tempestati d’oro e di diamanti, predicava S. Giovanni Crisostomo, io non troverei nessuna differenza tra essi e il nido d’una rondine; è tutto fango che al giungere dell’inverno si stacca e cade {Homil.).
Ma udite la Sacra Scrittura: «Su via, o ricchi, dice S. Giacomo, piangete, alzate le strida a motivo delle miserie che verranno sopra di voi » — Agite nunc, divites, plorate ululantes in miseriis vestris quae advenient vobis (Iacob. V, 1). « Le vostre ricchezze si sono imputridite e le vostre vestimenta sono state rose dalle tignuole. L’oro e l’argento vostro si è irrugginito, e questa ruggine sarà una testimonianza contro di voi e come fuoco divorerà le vostre carni. Vi siete adunato tesori d ira per gli ultimi giorni » (id. ibìd., 2-3).
« L’uomo passa come ombra, dice il Salmista; e di più si conturba senza fondamento: tesoreggia, e non sa per chi egli metta da parte» — In imagine pertransit nomo, sed et frusta conturbatur : tnesau-rizat, et ignorat cui congregabit ea (Psalm. XXXV11I, 5). E nei Proverbi sta scritto che « colui il quale pone la sua fiducia nelle ricchezze, stramazzerà per terra » —- Qui conlidit in divitiis suis, corruet (Prov. XI, 28). Le ricchezze sono per l’avaro un idolo, la felicità, la forza, ogni suo bene, tutta la sua speranza, tunica sua gioia: ma anche tutto ciò non è che ombra, vanita, inganno. « Guai, esclama il profeta Abacuc, guai a chi moltiplica, i beni non suoi! e fino a quando accumulerà contro di sè mucchi di fango? » — Vae ei qui muitipli-cat non sua! usquequo et aggravat contra se densum lutum? (Habac. II, 6).
Le ricchezze sono chiamate mucchio di fango : 1° perchè sono cosa vile; 2° perchè imbrattano l’anima, la opprimono e la trascinano all’abisso. Le ricchezze sono fango che guasta il cuore e lo trasforma in una pozzanghera d’iniquità... sono una minaccia o una rovina per l'anima, sono un alimento di peccato.
L’avaro porta i suoi tesori chiusi nei pugni, o nascosti negli abiti, ma il suo cuore è vuoto... La morte risparmia forse le ricchezze?... si astiene forse dal colpire chi possiede l’oro?
11. Quanto vile e spregevole sia l’avaro. — Se, come dice S. Cipriano, è più grande del mondo chi non brama nè chiede nulla dal mondo , possiamo pensare quanto è vile e abbietto chi desidera le ricchezze, le quali non sono che un pugno di fango. Quindi a ragione il Crisostomo asserisce : « La maggior prova di debolezza è quella di lasciarvi vincere dall’avarizia »; e S. Pier Damiani afferma che « nessuna piaga esala un fetore più intollerabile a Dio, che quello delle piaghe cagionate all’anima dall’avarizia. L’avaro aumentando i frutti d’un sordido denaro, cangia le sue casse in una fogna »; ed il Crisologo sentenzia che « l’avaro sacrifica la sua riputazione, rinunzia ad ogni gloria (48) ». E quando una persona ha perduto Dio, coscienza, fama, onore, carità e il proprio cuore, non è forse l’essere più vile ed abbietto del mondo? Tale appunto è l’avaro.
12. L’avaro è diffidente, invidioso, ingrato, traditore, crudele, despota. — « Affida alle mani del Signore la cura de’ tuoi bisogni, dice il Salmista, ed Egli sosterrà l’anima tua » — Iacta super Dominum curarti tuam, et ipse et enutriet (.Psctlm. LIV, 22). Poi in altro luogo esprime la sua fiducia, che essendo il Signore quel che lo regge, non gli potrà mancare mai nulla; anzi confessa che già lo ha messo nell’abbondanza : — Dominus regit me, et nil mihi deerit : in loco pasquae ibi me collocavit (Psalm. XXII, 1-2). L’avaro invece non dimostra forse che egli diffida di Dio, della Provvidenza, degli uomini e di tutto ciò che lo circonda?
L’avaro guarda con occhio d’invidia tutto e tutti... La prosperità degli altri è per lui un pruno agli occhi, e una spada al cuore. Ma pensate che l’invidia ha rovinato gli Angeli... Adamo ed Èva...; osservate a quali eccessi condusse Caino...; i fratelli di Giuseppe, ecc...; considerate che l’invidia è, secondo l’espressione di S. Bernardo, il verme roditore dell’anima; ella affatica i sensi, brucia i visceri, intacca lo spirito, corrompe il cuore. L’invidioso vuole quel che non gli appartiene e non raccoglie altro che peccati (De Considerai.).
Nell’universo ogni creatura rende grazie a Dio, eccetto l’avaro... Egli dimentica i benefizi di Dio e degli uomini; mormora contro la Provvidenza; non è mai pago... Ora l’ingratitudine,'dice S. Bernardo, è la nemica dell’anima, distrugge i meriti, scaccia le virtù, inaridisce la fonte dei benefizi (De Considerai.).
Chi ha fatto di Giuda un traditore? L’avarizia... Quel disgraziato era, come dice San Girolamo, « ubbriaco di avarizia (49) ». Era talmente dominato dal vizio, che temeva che Gesù . sfuggisse a coloro ch’erano venuti ad arrestarlo; temeva di perdere i trenta denari... Egli stesso ordinò che lo tenessero stretto e lo legassero : — Ipse est, tenete eum (Matth. XXVI).
L’oro è un servo che ci tradisce... L’avaro venderebbe perfino Dio... E infatti dice Giuda ai principi dei sacerdoti: « Che cosa mi volete dare, perchè io ve lo consegni? » — Quid vùltis mihi dare, et ego eum vobis tradam? (Matth. XXVI, 15).
L’avaro tradisce la sua coscienza..., gli uomini..., i suoi amici..., la sua famiglia... Nulla vi è per lui di sacro... La caduta di Giuda ci dice come l’avarizia sia un male enorme, ed a quali eccessi trascini. Essa fu la causa del tradimento di quest’apostolo, della sua ipocrisia, della sua disperazione, del suo suicidio, della sua morte eterna e della condanna di Gesù Cristo.
L’avaro volge il superfluo in necessario..., non sente nel suo cuore nè compassione, nè carità, nè benevolezza... Non ha pietà, ma è una specie di tigre domestica... « Come mai, esclama S. Giovanni, può esserci la carità di Dio in un uomo che, ricco de’ beni di questo mondo, vede un suo fratello languire per la fame senza sentirne compassione? » — Qui habuerit substant i am huius mundi, ed viderit fratrem suum necessitatem habere et clauserit viscera sua ab eo, quomodo charitas Dei manet in eo? (Ioann. Zip. I, III, 17).
Appoggiato alla sentenza dei Proverbi: « Chi è crudele, respinge perfino i suoi parenti » —- Qui crudeljs est etiam propinquo» abiicit (Prov. XI, 17), il Crisostomo asserisce, che « l’avarizia rende crudeli ed atroci tutti coloro che la servono »; e la giudica una «grave malattia che rende ciechi, sordi, ed efferati come bestie ».
L’avaro è crudele verso la sua anima, il suo corpo, i parenti, il prossimo, Iddio. L’avaro somiglia al ragno; consuma le sue viscere per produrre dell’oro; ordisce una tela imitile, la quale raccoglie soltanto delle inezie.
« Non sono forse i ricchi (avari), grida l’apostolo S. Giacomo, che abusano contro di voi della loro potenza, e vi traggono in giudizio? — Nonne divites per potentiam opprimunt vos, et ipsi trahunt vos ad iudicia? (Iacob. II, 6). Le ricchezze infatti travolgono talmente lo spirito dell’avaro, che egli si crede lecita ogni cosa, pensa che gli appartenga di diritto il comando sui poveri i quali egli considera come suoi servi e schiavi, ed istrumenti di cui servirsi impunemente, per accrescere il suo fasto e i suoi tesori. Il ricco avaro ingoia il povero come il pesce grosso ingoia il più piccolo e se trova ostacoli monta in furore e non perdona: si stima superiore a quanti lo circondano, e mal per loro se tentano di resistergli : tutto attira a sè non lasciando nulla agli altri. « L’asino selvatico è la preda del leone nel deserto, e i poveri sono l’ingrasso dei ricchi», dice l'Ecclesiastico: — Venatio leonis onager in eremo, sic et pascua divitum sunt pau-peres (Ecc'li. XIII, 23).
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