13. Errori, pericoli, ingiustizie dell’avaro. — 14. L’avaro è un idolatra. — 15. L’avaro è mortale nemico di se medesimo. — 16. L’avaro è detestato, disprezzato, maledetto. — 17. Quanto sia infelice l’avaro. — 18. L’avarizia è un delitto. — 19. L’avarizia è origine di tutti i mali e di tutti i peccati. — 20. L’avarizia è un segno di riprovazione. — 21. Condanna dell’avarizia. — 22. Castighi che attira l’avarizia. — 23. Dannazione dell’avaro. — 24. Giudizi di pagani intorno all’avarizia. — 25. Perchè ci sono date le ricchezze? — 26. Bisogna imitare il soldato. — 27. Bisogna fuggire l’avarizia. — 28. Avarizia spirituale.
13. Errori, pericoli, ingiustizie dell’avaro. — L’avaro s’inganna, 1° lusingandosi di vivere lunghi anni...; 2° non occupandosi che di cose terrene...; 3° vivendo una vita animalesca...; quindi è che S. Basilio così apostrofa un avaro : « Vi regolereste voi diversamente, se aveste non un’anima d’uomo, ma di maiale? » (Homil. in Evang.); e S. Francesco d’Ass.isi chiamava l’oro strumento del diavolo, vipera il cui veleno uccide (San Bonav., In Vita).
L’avaro butta l’oro e lo perde perchè lo sotterra e lo lascia irrugginire...
Dice S. Basilio : « Il pane che voi nascondete nella madia, appartiene a chi ha fame; le vesti che tenete sotto chiave sono dovute a chi è nudo; quella calzatura, che lasciate muffire tra il ciarpame, è la calzatura del povero; l’argento che sotterrate è la sostanza dei poveri ». E altrove: « Cercate voi de’ granai, o avari? Eccoveli belli e pronti nello stomaco dei mendicanti »!
« Venne a morte il ricco, leggiamo nel Vangelo, e fu sepolto nell’Inferno » — Mortuus est cìives et sepultus est in inferno (Lue. XVI, 22). Fu la sua avarizia, la durezza, il disprezzo suo per Lazzaro, la sua colpevole ingiustizia verso questo miserabile pitocco, che lo fece seppellire nell’Inferno.
« È un errore, dice S. Giovanni Crisostomo, il credere che le cose di quaggiù ci appartengano in modo che possiamo disporne da padroni assoluti. Nessuna cosa è assolutamente nostra, ma tutto è di Dio, da cui proviene... Perciò è reo di furto chi delle sostanze che maneggia non fa parte ad altri... Ed il ricco del Vangelo, era tormentato nell’Inferno, non perchè era stato ricco, ma perchè non aveva avuto pietà di Lazzaro ».
« L’anima vostra non appartiene a voi, dice ancora il citato Padre, ora come vi apparterranno i vostri denari? Non dire adunque: Io mangio il fatto mio: non è già tuo, ma di altri ». E in altro luogo osserva che l’avaro è depositario, non padrone delle sostanze sue; è schiavo, non possessore. Le custodisce con cura sollecita, se ne priva come di cosa non sua: e in fatti non sono sue le ricchezze sue (Homil. XVI, in Matth.).
Sta scritto nel libro III de' Re (XXI, 4), che Acabbo, vinto dalla stizza e dalla malinconia, perchè Naboth non cedeva alle sue voglie, cessò dal mangiare; e a questo proposito S. Ambrogio osserva: «Lasciò di mangiare il pane suo perchè appetiva quello di altri. Infatti, vivendo i ricchi avari di furti e di rapine, si cibano più del pane altrui che non del proprio ».
Oh! come facilmente cade nell’ingiustizia chi dà libero sfogo agli appetiti disordinati! L’avarizia è un male e un’ingiustizia, 1° perchè è un male che l’uomo, questa creatura sì nobile e sublime, s’attacchi con ardore alle ricchezze e ai beni della terra, e loro consacri lo spirito ed il cuore; 2° perchè l’avarizia trascina alle frodi, alle usure e ad altri somiglianti peccati; 3° perchè riesce difficile acquistare e conservare la ricchezza senza far torto a qualcuno, principalmente in mezzo ad una società che conta a migliaia i pezzenti; 4° perchè Gesù Gristo ha minacciato d’anatema i doviziosi: Vae vobis divitibus (Luc. VI, 24); 5° finalmente perchè Dio concede bene spesso le ricchezze ai cattivi, per esempio agli infedeli, ai Giudei, agli usurai.
« Chi cerca di arricchire non bada a nessun’altra cosa », dice l’Ecclesiastico : — Qui quaerit completari avertit oculum suoni — (Eceli. XXVII, 1).
Il forziere d’un avaro è la tomba dove giace la vita degl’indigenti. Avari, voi seppellite vivi i poveri, ma vi seppellite voi medesimi con essi: il vostro tesoro è il vostro sepolcro. Udite che cosa vi dice S. Agostino: «Voi avete lucrato, ma per ciò fare avete offeso Dio: avete acquistato dell’oro e perduta la fede: vi rallegrate d’aver empiuto la borsa, e non vi addolorate di aver dato morte al cuore? Ohimè! la perdita è stata ben più grande del guadagno ed avete perduto quello che neppure un naufragio v’avrebbe tolto. Avete acquistato? bell’acquisto davvero! provatevi a portarlo con voi nell'Inferno. Il vostro cuore se ne va, privo di fede, ai tormenti, mentre andrebbe alla corona, se fosse pieno di fede ».
Da quelle parole del profeta Aggeo : « Mio è l’oro e mio l’argento, dice il Signore degli eserciti » — Meum est argentum et meum est aurum, dicit Dominus exercituum (Agg. II, 9), prende, il medesimo Dottore, argomento per stimolare gii avari e dice loro : « Sì, l’oro e l’argento appartengono a Dio e quand’Egli vi ordina di distribuirli ai poveri, vi ordina di dare del suo; e la elemosina che voi fate non è di beni vostri, ma di colui che vi comanda di farla... Dio somministra il denaro alle persone caritatevoli, affinchè obbediscano alla voce dell’umanità, ed esercitino la carità; agli avari poi lo concede per castigarli della loro cupidigia. Se vi studiate di diventare ricchi, state certi che offenderete la giustizia; se invece amate di conservarvi nella giustizia, sacrificherete le ricchezze ».
Udite come S. Basilio dialogizza con l’avaro: « A chi fo io ingiuria tenendo e conservando quello che mi appartiene? — Ma che cosa è quello che vi appartiene? Non siete forse voi uscito nudo come tutti gli altri dal seno della madre? e non ritornerete nudo nel seno della terra? Di grazia, da chi riconoscete voi ' queste sostanze? Dal caso, dalla fortuna? Ma allora voi siete un empio, che disconoscete Colui che vi ha creato e siete ingrato verso chi vi ha colmato di doni. Confessate invece di averle ricevute da Dio? Ma in questo caso, ditemi, perchè le avete voi ricevute?... Che cosa è che forma l’avaro? Non è forse il ritenere per sè solo quel che appartiene a tutti? Oh! quali ricchezze stanno chiuse in quelle parole : Venite, o benedetti dal Padre mio, al possesso del regno che per voi è stato preparato fin dall’origine del mondo. Io ebbi fame e voi mi deste da mangiare; patii sete e voi» mi deste da bere! ecc. Di che povertà spaventosa, di che calamità orrenda non è gravida, al contrario, quella sentenza : Partitevi da me, o maledetti, e andate al fuoco eterno!... io era affamato e voi m’avete negato un tozzo di pane; io era assetato e non m’avete offerto un bicchiere d’acqua, ecc. Ripiglierete che avete fatto uso del vostro? ebbene, anche Dio usa del suo: Partitevi da me, o maledetti; Infelici, che cosa risponderete voi al vostro giudice? » {Semi, in verb. Evang. : Destruam horrea).
14. L’avaro è un idolatra. — « Io sono divenuto ricco, mi sono acquistato un idolo » — « Dives factus sum, inveni idolum mihi (Ose. XII, 8), diceva Efraim, e così ripete l’avaro. E qual è questo suo idolo? uditelo dal medesimo profeta Osea: « Del loro oro e del loro argento si fecero- degli idoli che li condurranno a perdizione» — Argentum suum et aurum suum fecerunt sibi idola, ut interirent (Ose. VIII, 4).
« Sappiate, scriveva S. Paolo agli Efesini, e tenete bene a mente che nessun... avaro, che vuol dire idolatra, sarà erede nel regno di Cristo e di Dio ». — Hoc scitote intelligentes quod omnis... avai'us, quod est idolorum servitus, non habet haereditatem in regno Christi et Dei (Epli. V, 5). E perchè piuttosto l’avaro, che non lo schiavo d’un altro vizio, si chiama idolatra? Queste ne sono le ragioni: la che gli avari ripongono nel denaro tutte le speranze della loro vita; l’hanno adunque in conto di loro Dio...; 2a gl’idolatri adorano statue d’oro, d’argento o d’altro metallo; fanno essi, gli avari, diversamente? 3a l’avarizia è insaziabile...; 4a essa occupa l’uomo tutt’intero e del continuo...
L’idolatra adora un vano simulacro; l’avaro- si prostra innanzi al suo oro. L’idolatra serve un idolo : l’avaro si fa schiavo del suo tesoro. L’idolatra fa inchini e riverenze all’oggetto del suo culto; l’avaro sta vegliando scrupolosamente sul suo tesoro. L’idolatra confida nel suo idolo : l’avaro nelle sue ricchezze. Quegli non mutilerebbe per cosa del mondo il suo idolo: questi non toccherebbe, n’avesse a perire .il mondo, il suo tesoro.
Gli avari amano e adorano le ricchezze, perchè ogni loro pensiero ed azione volgono al fine di- procacciarsene e di conservarle; ad esse consacrano il corpo, il cuore, l’anima, le sollecitudini, le fatiche, i sudori, i sonni, le veglie, la vita. Obbediscono interamente e ciecamente alla lor passione, e pongono in essa ogni felicità e l’ultimo fine. Per lei trascurano il culto di Dio, ne violano i precetti, ne negano la provvidenza... I Giudei adorarono il vitello d’oro, gli avari li imitano.-
Sta scritto nel libro di Daniele, che il re Nabucco innalzò una statua d’oro; il popolo le si tenea ritto in piè dinanzi; ma ad un cenno dei banditori si prostrò a terra e l’adorò (Dan. Ili, 1). Così fa l’avaro... Il vitello d’oro è il dio di questo secolo.
15. L’avaro è mortale nemico di se medesimo. — « L’avaro non è buono per nessuno, ma per sè è pessimo», sentenzia Seneca.
Nessuno non perde mai tanto, dice S. Cirillo, quanto colui che perde se stesso. Qual cosa possedete voi quando l’avarizia vi domina? Un cuore di pietra {Homil. VI). 1° L’avaro s’interdice l’uso dei propri suoi tesori e si fa perciò persecutore e carnefice di se medesimo : si condanna alla fame, alla sete, al freddo, al caldo, al sudore, alla nudità, In nullum avarus bonus est, in se pessimus (Lift, de Remed.).
ad ogni privazione, alla morte. Nessun anacoreta non si è mai sottoposto, per andare al Cielo, a mortificazioni più penose di quelle a cui si assoggetta l’avaro per andare all’Inferno. Oh! quanti meriti e titoli potentissimi non raccoglierebbe per il Cielo se facesse per Iddio una parte dei sacrifizi che fa per il demonio! E intanto non solamente non acquista nessun titolo alle ricompense divine, ma anzi si aggrava di peccati e di maledizioni. 2° L’avaro si propone di accumulare per sè, invece accumula per gli altri e talora proprio per coloro ai quali non vorrebbe dare neppur un centesimo'. 3° È agitato dalla paura di perdere le sue ricchezze e di vederle passare in mani straniere. Prova del continuo la trafittura di qualche spina: si direbbe che delle ortiche e dei rovi, che schianta da’ suoi poderi, se ne faccia sedili e letti.
L’avaro incrudelisce contro di sè con le incessanti privazioni: gli torna perfino doloroso che si consumi il pane di veccia di cui ciba i servi.
Serbando il denaro, l’avaro perde se stesso; e mentre si siede tra i mucchi d’oro, vede la più squallida miseria nell’anima sua. Gli piange il cuore quando è sforzato a dare qualche cosa; non dà se non a malincuore, perdendo in questa guisa i doni e il merito della cortesia. L’avaro uccide il suo corpo e la sua anima; perde 11 tempo e l’eternità...
« La casa dell’avaro è ricolma, la coscienza è vuota », dice S. Agostino.
16. L’avaro è detestato, ni sprezzato, maledetto. — « Chi nasconde il frumento, dicono i Proverbi (XI, 25), sarà maledetto dal popolo: e chi apre i suoi granai, ne riceve le benedizioni »; altrove si legge che, « l’avaro mette in scompiglio la sua casa » — Conturbai domum suam qui seetatur avaritiam (Prov. XV, 27). Ed in che modo la scompiglia? 1° Costringendo i famigliari, i figli, la moglie e perfino i suoi animali a lavorare oltre le loro forze, e qualche volta anche la domenica e le leste : 11 consuma tenendoli a stecchetto : se li rende nemici trattandoli con durezza, parlando loro con alterigia, sgarbatezza, collera, insolenza. Li costringe, così diportandosi, a mormorare contro di lui, a disprezzarlo, abbonirlo, odiarlo, maledirlo, a litigare tra loro e fare a gara di riversare l’uno su l’altro l’enorme peso che loro impone. 2" L’avaro suole arricchire per mezzo di frodi, di usura, d’ingiustizia: e ciò non può avvenire senza mettere il turbamento nella casa e senza attirarle contro le maledizioni e le imprecazioni di tutti.
« Chi vuole arricchire in fretta non si mantiene nell’innocenza », dicono i. Proverbi: — Qui festina! ditari, non erit innocens (Prov. XXVIII, 20); e avrà nel mondo fama di ladro e malfattore. Dio, gli uomini, i demoni medesimi malediscono l’avaro, l’uomo senza cuore: Dio lo rigetta, gli uomini l’odiano, e che ne faranno i demoni di quest’essere mutile? « L’avaro è il nemico comune del genere umano », scrive il Crisostomo; ed a che cosa, intatti, può essere buono, si legge nell'Ecclesiastico, colui che nuoce anche a se stesso? — Qui sibi nequam est, cui alii bonus erit? (Eccli. XIV, 5). « Ah! che non si dà persona peggiore di quella che porta invidia a se medesima » — Qui sibi invidet, nihil est nequius (Eceli. XIV, 6); e non è questo veramente il caso ed il castigo dell’avaro?
Leggiamo che j Parti, trovato sul campo di battaglia il cadavere del vinto M. Crasso, per indicare in quale disprezzo tenevano queiresoso ed avaro generale romano, gli versarono in bocca oro- fuso, dicendogli: «Avesti sete di oro-: ora bevilo! ».
L’uccello si accompagna all’uccello, il pesce al pesce, la pecora alla pecora; soltanto l’avaro- si apparta da ogni società e se ne sta solo...
Detestato e maledetto mentre è in vita, l’avaro lo è ancora in morte. Al suo spirare i vivi si rallegrano-; non una lagrima ne bagna la bara, non un sospiro ne segue il feretro... In su le prime se ne parla con disprezzo, poi se ne lascia cadere il ricordo nel più profondo oblìo-. La sua sepoltura sarà senza onori, perchè non se ne volle occupare, per avarizia, nè in vita nè sul letto di morte, nè a viva voce nè per testamento, e i suoi eredi, che ad altro non pensano che alle ricchezze loro toccate, non se ne danno pensiero. Ecco una giusta punizione che Dio infligge all’avaro: per aver sepolto il denaro, egli è seppellito senza onore. Tutti lo abbominano, e gli si rifiuta una tomba; si vuole perfino ignorare il luogo della sepoltura, per non pensare più a lui. Sul sepolcro dell’uomo benefico si scrive: «Beato chi ha cura de’ poveri; Dio lo salverà nel giorno cattivo » — Bèatus qui intelligit super egenum et pauperern; in die mala liberabit eum Dominus {Psalm. XL, 1): su la pietra sepolcrale dell’avaro si potrebbero incidere quelle parole di S. Pietro-: «Troia ravvoltolata nel fango » — Sus Iota in volutabro luti (II, II, 22).
17. Quanto sia infelice l’avaro. — L’oro che tanto fa gola all’avaro e' di cui tiene la più sollecita cura, forma, al dire di S. Agostino-, lo scopo di molti lavori, il pericolo di quelli che lo posseggono, l’indebolimento delle virtù; è un padrone cattivo, un servo perfido (Homil.. XI).
L’amore delle ricchezze, predicava già il Crisostomo, è un veleno, una malattia incurabile, un fuoco inestinguibile, un tiranno. Le ricchezze sono- periture, ingrate, omicide, crudeli’, implacabili, bestie feroci. Sono un baratro che ingoia, un luogo pieno d’insidie e di pericoli, un mare in tempesta e agitato da mille venti. L’amore del denaro genera implacabili inimicizie, è un avversario terribile che ferisce chi l’ama, spoglia chi lo- veste, ottenebra l’intelletto, distrugge la fede, tradisce l’affezione, turba il riposo-, uccide la carità e l’innocenza, insegna il furto, comanda la bugia, ordina le rapine {Homil. LXIV, in Ioan.). Considerate, dice altrove il medesimo Santo, e meditate, o avari, che cosa toccò a Giuda: perdette il denaro, si rese colpevole di spaventoso delitto, dannò l’anima sua. Così suole trattare l’avarizia con coloro che la servono. Giuda non potè godere del denaro ricevuto, non godette della vita presente, non godrà della fu-
tura; ha dunque perduto' tutto a un tratto e, disprezzato da que’ medesimi a cui aveva venduto Gesù Cristo, per disperazione si strangolò (In Psalm.). Non deve dunque chiamarsi infelice l’avaro?
L’avarizia è, per sentenza di S. Paolo, il principio di tutti i mali, l’origine d’immense pene (I Tim. VI, 10). Gli avari non indietreggiano in faccia ai rimorsi, alle perdite temporali, alle inquietudini; non rifuggono dall’usura, dalia frode, dalla maldicenza; non li scuote la maledizione nè di Dio nè degli uomini; e in fine si precipitano nell’Inferno... Non lasciatevi dunque sedurre dalle ricchezze, esclama S. Bernardo, perchè l’amarle imbratta, il possederle inquieta, il perderle tormenta (Conv. ad Cler. cap. XII).
« Ecco che i peccatori, diceva già il Samista, e i fortunati del secolo guadagnarono immensi tesori... Ma Voi, o Signore, li avete posti sopra un pendìo sdrucciolevole e precipitati nell’istante medesimo in cui si credevano salvi. Come mai caddero in un punto nell’abisso di tanta desolazione? Mancò loro il sostegno, l’iniquità fu la cagione della loro perdita. Essi non compariranno', o Signore, nella vostra città santa; svaniranno come il sogno d’un uomo che si sveglia (Psalm. LXXII, 12, 18-20). Ah! liberatemi, o Signore, dai figli dello straniero: la loro bocca dice menzogne, le loro mani sono piene d’iniquità. I loro tigli prosperano come pianticelle nella loro giovinezza, e le loro figlie vengono su abbigliate come l’idolo d’un tempio. Le loro dispense sono ripiene e ridondanti; feconde le loro pecore escono fuori in branchi copiosi: pingui le loro vacche. Da ruina sono esenti le loro mura e da incursione : nè flebile grido si ode nelle loro piazze. Beato hanno detto il popolo che ha tali cose! Ah no! ma beato il popolo che per suo Dio ha il Signore » (Psalm. CXLIII, 11-15).
« Guai a voi, esclama Isaia, che unite case a case, aggiungete poderi a poderi! » — Va.e, qui coniungitis domum ad domum; et agrum agro copulatisi (Isai. V, 8). Guai, ripete Gesù Cristo, a voi, ricchi: — Vae vobis divitibus! (Lue. VI, 24).
Per quanto dolce sia l’acqua de’ fiumi, diventa amara sboccando nel mare: ecco l’imagine delle ricchezze mondane. Coloro che le posseggono se ne rallegrano nei giorni della loro vita, ma giunti al vortice della morte, dove ogni cosa viene ingoiata, non trovano altro che amarezza e vanità...
18. L’avarizia è un delitto. — « Nulla vi è di più scellerato che l’avaro... nulla di più iniquo, che colui il quale ama il denaro; perchè questi mette in vendita anche l’anima sua ». —: Avaro nihil est scelestìus... Nihil est iniquius quam amare pecuniam: hic enim et animam suam venalem habet (E celi. X, 9-10). Nel commentare questa sentenza dell’Ecclesiastico, Salviano scrive: È incohtestabilmente vero che non v’ha persona più malvagia dell’avaro; poiché si può forse dare cosa peggiore che quella di convertire i beni presenti in principio' di mali futuri, e d’impiegare, a comprarci la morte e l’eterna dannazione, quelle ricchezze che Dio ci ha dato affinchè ci procuriamo un bene eterno?
Non vi è cosa più scellerata dell’avaro: perchè 1° l’avarizia è una grave ingiuria che si fa a Dio a cui si prepone l’oro. 2° È un torto fatto
allo Stato che essa inonda di usure, di furti, di frodi, di processi, di sedizioni, di uccisioni, di odi, ecc... 3° Nuoce alla persona medesima dell’avaro, ch’essa macchia e corrompe, e che infine precipita nell’Inferno. 4° È un delitto verso i poveri. 5° Fa violenza all’oro stesso perchè la destinazione e, se così si può dire, l’onore del denaro sta nel soddisfare ai bisogni comuni degli uomini : per ciò Dio l’ha creato. L’avaro lo distorna da questo fine perchè lo nasconde e lo annichila. Ma quello che rifiuta agli uomini, lo concede all’Inferno che ne compra l’anima. 6° L’avarizia insulta tutti gli elementi, i cieli e la terra...
7° Disprezza tutte le leggi e tutte le virtù.
19. L’avarizia è origine di tutti i mali e di tutti i peccati. — È dottrina di S. Paolo che l’avarizia è radice di ogni male e peccato, perciò raccomandava a Timoteo di fuggirla a tutto potere (I Tim. VI, 10; XI, 11); avvertendolo che chi desidera le ricchezze, cade nei lacci del diavolo e s’impiglia in mille nocivi desideri che lo conducono a perdizione (Ibid. VI, 9). Con ciò viene anche a dire che corrompe il cuore e, questo corrotto, vi pullulano mali e peccati d’ogni ragione.
Oh quanti poveri, quanti uomini in mediocre stato erano fiore d’one-
stà, si corruppero non appena ebbero la sventura d’arricchire! Avendo Alessandro Magno inviato cento talenti a Focione che viveva povero, questi dimandò perchè il re gli mandasse tale somma, e venendogli risposto: — Perchè Alessandro non conosce altro di buono e d’onesto fra gli ateniesi fuori di voi, — allora egli rifiutando il dono, rispondeva: —: Se è così, mi lasci quale sono' (Eliciti. lib. XI).
Terribile occasione di peccato sono le ricchezze, scrive S. Ambrogio, perchè gonfiano, inorgogliscono, fanno dimenticare il Creatore. L’avarizia non s’arresta in faccia a nessun peccato, ma di tutti è madre, perchè per calmare le sue voglie, cosa impossibile, ricorre ai ma-lefizi, si fa rea d’omicidi, d’impurità, e d’ogni maniera di delitti (De Cain et Abel).
I costumi de’ Romani, per testimonianza di Giovenale, furono corrotti. dall’avarizia. Dopo che la povertà scomparve da Roma, vi comparvero e vi si insediarono i delitti e le corruzioni d’ogni guisa.
L’avarizia si beffa di ogni diritto... Le ricchezze sono occasione di vanità, di lusso, di crapula, di ubbriachezza, di accidia, e di ogni eccesso... Si dice di Naaman, generale degli eserciti del re di Siria, ch’era un uomo ricco ma lebbroso (IV Reg. V, 1). La lebbra del peccato è inseparabile dall’avarizia o meglio, l’avarizia è lebbra che copre e infesta l’uomo intero.
L’avarizia genera l’incredulità: non teme nè Dio, nè il suo spaventoso giudizio, nè l’Inferno. Gli avari trasandano la religione, strapazzano i santi precetti di Dio e della Chiesa; e siccome delitto porta a delitto, ne avviene che il ricco avaro crescendo in orgoglio, in ambizione, in ingiustizia, ed in ogni sorta di disordini, cade alfine nell’eresia, nell’ateismo, nell’idolatria. Sì, la voglia delle ricchezze inspira, come già avvisava il Crisostomo, lo spergiuro, il furto, le rapine,
l’invidia, le stragi, l’odio tra fratelli, la guerra, la ipocrisia, l’adulazione.
Che cosa sono mai le terrene ricchezze, soggiunge S. Cirillo, se non lo stimolo delle passioni, il focolare della cupidigia, la. preda della morte? Ingegnosamente crudele, l’avarizia martirizza per mano di ogni vizio, quelli che la. servono : essa li corrompe, acceca il loro intelletto, macchia il loro corpo, distrugge le loro- virtù; niente si salva dal suo furore (Homil. X). Quindi a tutta ragione S. Isidoro sentenzia che
In una delle sue orazioni contro Verre, Cicerone dice: «Non vi è nulla di così santo che non si possa violare, nulla di così difeso che non si possa espugnare dall’avarizia »; e Laerzio la chiama la metropoli di tutti i vizi.
Figli dell’avarizia sono : il tradimento, la frode, gl’inganni, lo spergiuro, la violenza, l’inquietudine, l’inumanità, la durezza di cuore, ecc...
20. L’avarizia è un segno di riprovazione. —- È parola di Gesù Cristo che nessuno può dedicarsi a un tempo e a Dio e al denaro (Matth. VI, 24). Ora quegli che non serve Dio, non può essere salvato... Il Figlio dell’uomo, osserva S. Gerolamo, non avea dove posare il capo, voi nuotate nelle comodità! Ah, voi aspirate all’eredità del secolo, non potrete dunque essere coeredi di Gesù Cristo; poiché il discepolo- del-l’Uomo-Dio non ha fuori di lui altro tesoro (Comment. in Matth.).
S. Gregorio insegna che gli eletti cercano il Cielo, i reprobi le ricchezze delia terra (Lih. Moral.). E da quando- in qua infatti s’è mai veduto un Santo avere in pregio la ricchezza e lavorare per arrivarvi?... L’avaro non agogna che i beni di quaggiù; degli eterni non gliene importa nulla... Ora ci assicura S. Paolo che « l’uomo mieterà quello che avrà seminato » — Quae serninaverit homo, haec et rnetet (Galat. VI, 8).
21. Condanna dell’avarizia. — Gesù Cristo prova la colpevolezza dell’avaro per sette capi: 1° perchè l’anima è da. più del corpo...; 2° opponendoci l’esempio degli uccelli che Dio nutrisce...; 3° perchè ogni nostra sollecitudine cade a vuoto se non è aiutata da Dio...; 4° ricordandoci che i fiorellini e le erbe dei campi non filano punto e intanto Dio li veste e li adorna...; 5° perchè l’andare dietro ai beni di quaggiù è un imitare i pagani...; 6° perchè Dio conosce i nostri bisogni...; 7° perchè basta a ciascun giorno la sua pena...
Questo è il castigo col quale Dio punisce molti uomini, questo- è l’argomento di condanna per parecchi che lavorano molto e senza Dio: lavoro perduto... «Il tuo denaro perisca con te», diceva San
Pietro all’avaro Simone: — Pecunia tua tecum sit in perditionem (Ad. VIII, 20).
22. Castighi che attira l’avarizia. — Sigeberto e Baronio raccontano un terribile castigo della collera divina contro l’avarizia. L’anno 605 di Gesù Cristo le provviste di viveri d’un bastimento che apparteneva ad un avaro, furono cambiate in pietre, perchè il pilota aveva risposto ad un mendico il quale chiedeva limosina, che la nave non conteneva altro che pietre; al che il povero, indispettito e disperato, avea soggiunto che egli augurava che così fosse.
Ateneo racconta tre altri castighi inflitti dal Cielo all’avarizia (Deipnosoph. lib. II). Ecco il primo. La fava non attecchisce in Grecia : ora avvenne che, per due anni e senza che alcuno ne avesse seminato, una grande quantità ne sorse nelle maremme d’Epiro. Produssero baccelli in abbondanza e servirono a dare nutrimento ai numerosi poveri della contrada. Ora avendo Alessandro figlio di Pirro, vietato di toccare questa raccolta, le maremme disseccarono e le fave disparvero per sempre.
Un altro esempio ancora ci dà la storia dell’Epiro. Scorreva in questo paese un ruscello la cui acqua era di meraviglioso' sollievo ai malati. Ma non appena i finanzieri d’Antigono imposero, per avarizia, una tassa a chi ne beveva, l’acqua perdette ogni sua virtù e finì per inaridirsi la fonte.
Terzo esempio. Nella Troade, fino a tanto che ciascuno fu libero di trarre da Tragusa il sale che gli bisognava, questa materia non. venne mai. a mancare. Lisimaco la sottopose a dazio, ed essa scomparve : sbalordito, ritirò il balzello, ed ecco il sale ricomparire ben tosto.
Questo dimostra che l’avarizia impedisce i doni di Dio e inaridisce la sorgente delle meravigliose sue liberalità : perchè quel Dio che versa in abbondanza i benefizi suoi su tutti gli uomini, non permette che gli avari ne facciano incetta o monopolio.
Testimoni degni di fede attestano che nel 970 avendo un avaro dato per disprezzo il nome di sorci ai poveri, si vide, per effetto della vendetta divina, divorato da una frotta di questi animalucci. Nè di ciò stupisce chi ricorda la parola del Signore, il quale disse per bocca del Salmista : « A cagione della miseria degli indigenti e al suono dei gemiti dei poverelli, io mi leverò in loro soccorso » — Prop-ter miseriam inopum et gemitum pauperum, nunc exurgam, dicit Dominus (Psalm. XI, 6) : e al popolo d’Israele diceva per bocca d’Isaia: « L’avarizia d] questo popolo mi ha stomacato, ed io l’ho percosso; nel mio sdegno mi sono a lui nascosto, ed egli errò vagabondo secondo i desideri del suo cuore » — Propter iniquitatem avaritiae eius iratus sum, et percussi eum : abscondi a te faciem meam, et indignatus sum, etabiit vagus in via cordi s sui (Isai. LVII, 17).
Dio punisce l’avaro togliendogli l’uso de’ suoi beni..., privando-nelo, ecc. Vedete Giezi: egli è colto dalla lebbra a cagione dell’avarizia (IV Reg. V). Gli avari respingono i buoni sentimenti del loro cuore; sono insensati, ciechi, sordi; dirò di più, sono morti alla vita spirituale: ecco un saggio dei castighi spaventevoli che incolgono l’avaro.
Voi vi lagnate, dice S. Cipriano, della siccità e della miseria, quasi che la siccità porti più grande carestia che l’avarizia. Voi che chiudete i granai ai poveri, non avete nessuna ragione di lamentarvi che il cielo ritiri le nubi. Cagione di tutti questi mali è l’avarizia vostra. I vostri raccolti imputridiscono nel. seno della terra, in punizione di quelli che ingiustamente ritenete e lasciate corrompersi nelle vostre dispense. Non vi è dubbio che l’avarizia sia il più delle volte la causa delle pubbliche e delle private disgrazie.
L’avaro dovrebbe scolpire nella sua inente quelle parole di Giobbe già sopra citate (Iob. XX, 25) : « l’avaro vomiterà le ricchezze che ha divorato; Dìo gliele caverà dalle viscere ».
Si dice per proverbio che fortuna di mal acquisto non passa alla terza generazione. Giuda è avido di denaro, e prepara, senza saperlo, la fune che deve strozzarlo, anticipa la sua morte e si acquista l’Inferno. Temono, per avarizia, i Giudei di mettere a rischio la nazione: rinnegano Gesù Cristo e lo fanno condannare, ma perdono la grazia della salute, la nazione e se stessi.
23. Dannazione dell’avaro. — Nel giorno del giudizio Gesù Cristo dirà agli avari schierati alla sua sinistra: « Via da, me, o maledetti, andate nel fuoco eterno, eredità del demonio e degli angeli suoi; perchè io soffrivo la farne e voi non mi deste da mangiare, ecc... E se ne andranno costoro al supplizio eterno » — Ibunt hi in supplichimi aeternum (Matth. XXV, 41-46). Ora, commenta qui S. Gregorio, « se così terribile pena colpisce colui che non fece limosina, che giudizio, che castigo non s’ha da aspettare colui che rapisce la roba d’altri? ».
Gli avari sono condannati al fuoco preparato pel demonio, perchè imitarono il demonio crudele e spietato. Quindi il Crisostomo a quelle parole del Vangelo: «Morì il ricco avaro e fu sepolto nell’Inferno » —(Luc. XVI, 22). « Vedete, esclama, bel guadagno dìe vi dànno l’oro e le ricchezze! » (Semi, in Laz.). E già S. Giacomo li aveva avvisati che, con la loro avarizia, si sarebbero accumulato un tesoro di vendetta per il giorno estremo: — Thesaurizastis vobis iram in novissimis diebus (Iacob. V, 3).
S. Gregorio di Tours dice che l’avaro nell’Inferno non troverà, per dissetarsi, che oro fuso mescolato a zolfo (De Avarit.).
Nell’Inferno, gli avari saranno tormentati da una fame crudele, da una sete straziante, da una povertà inconcepibile, da una nudità assoluta... « Il loro argento, come dice Ezechiele, sarà gettato via e l’oro tra le immondezze. Nè l’oro, nè l’argento loro potrà salvarli nel dì del furore del Signore, nè potrà saziare l’anima loro, nè empire il loro ventre, perchè è stato occasione d’inciampo alla loro malvagità » — Argentimi eorum foras proiicietur et aurum eorum
in sterquilinium erit. Argentum eorum et aurum eorum non valebit liberare eos in die furoris Domini. Animam suam non saturabunt, et ventres eorum non implebuntur; quia scandalum iniquitatis eorum factum est (Ezech. VII, 19).
Si ricordino gli avari che nè le ricchezze, nè i tesori, nè i figli, nè le spose, nè i nipoti, nè i parenti, da loro ingrassati contro coscienza e a danno dell’anima, potranno mai scamparli alla collera divina, alla morte eterna ed all’Inferno. « No, no; voi non troverete misericordia, o avari crudeli, dice S. Basilio. Voi non avete aperto le vostre case ai poveri e troverete chiuse le porte de’ Cieli. Avete negato un boccone di pane all’affamato: a voi sarà negata la vita eterna ».
24. Giudizi di pagani intorno all’avarizia. — Il tebano Cratete gettò tutte quante le sue ricchezze nel mare per potersi applicare più di proposito alla filosofia, dicendo: «Preferisco perdere voi, anzi che voi perdiate me ».
A parere di Democrito, l’avarizia è più miserabile che la povertà anche più squallida (Maxim, Serm. XII). Più cocente è infatti il desiderio di possedere e più si sente la propria indigenza.
Diogene paragonava gli avari agli idropici ed esclamava: « Non è cosa vergognosa per l’avaro avere tante sostanze, e non essere padrone di se stesso? ».
Socrate diceva che tanto vale chiedere un benefìzio all’avaro, quanto un colloquio ad un morto.
Platone diceva all’avaro : « O miserabile, non affaticarti tanto ad aumentare la tua fortuna, quanto a spegnere la cupidigia ».
Aristotile osservava che gli avari operano come se non avessero giammai da morire, perchè nulla danno e tutto conservano (Etilica).
Plutarco nota che Licurgo bandì da Sparta le ricchezze e l’avarizia. Per ciò Sparta tenne, per seicento anni, il primato in Grecia, sia pér l’equità delle sue leggi sia per la sua gloria. Di poi l’oracolo predisse al re Teopompo, che l’amore del denaro avrebbe perduto gli Spartani, il che avvenne.
Giugurta esclamava apostrofando Roma: « O città venale che perirai non appena abbia trovato un compratore! ».
Il re Alfonso chiamava i suoi ministri avari, arpie della sua corte (In Vita). « Aver fortuna ed un’anima buona, sono cose quasi tra loro incompatibili », sentenziava Seneca .
25. Perchè ci sono date le ricchezze? — « Buone cose son l'oro e l’argento, dice S. Agostino, non già perchè ti rendono buono, ma perchè ti servono a fare il bene ». « Impieghiamo dunque le nostre ricchezze, avverte S. Pier Damiani, a guadagnare delle anime e ad acquistare virtù ». « Allora sono buone le ricchezze, dice S. Ambrogio, quando, aprendo i vostri granai, vi fate il pane de’ poveri, la vita degli indigenti, l’occhio de’ ciechi, il padre degli orfani ».
26. Bisogna imitare il soldato. — « Ecco l’avviso che ti raccomando, scriveva S. Paolo a Timoteo, ed è che tu combatta secondo le leggi della santa milizia » — Hoc praeceptum commendo tibi, ut milites bonam militiam (I Tim. I, 18).
Ascoltate S. Basilio: Dov’è Gesù Cristo nostro re? al Cielo; là tu devi, o soldato di Gesù Cristo, tener fìssa la mira, dimenticando le cose terrene. Vedi il soldato: non si costruisce alloggi, non compra poderi, non s’ingolfa nel commèrcio, non si logora per il lucro. Il soldato veste l’abito che dal re gli è fornito; drizza la tenda nelle pubbliche piazze; mangia solo quando il bisogno l’esige; beve acqua; dorme non più di quanto richiede la natura. Egli è spesso in viaggio, spesso ancora veglia la notte; sopporta il freddo e il caldo; s’indura alla pazienza; ingaggia terribili e pericolose mischie co’ suoi nemici; incontra molte volte, è vero, la morte, ma è gloriosa, onorata e commendevole. Tale dev’essere la vostra vita, o soldati di Gesù Cristo. Il pensiero de’ beni eterni sostenga il vostro coraggio. Proponete di vivere quaggiù come se non aveste nè dimora nè beni. Spezzate i legami dell’avarizia, e niuna sollecitudine vi stringa di soverchio. Non lasciate che l’affetto dovuto alla sposa vostra v’incateni, o la troppa ansietà pe’ figli vi rubi tutto il cuore. Imitate lo Sposo celeste: sbaragliate i nemici che spesso v’assalgono; date loro lo sfratto dal cuore; non lasciate loro nessuna breccia aperta; sventate le trame che si ordiscono contro la fede di Gesù Cristo; trame che hanno per iscopo di rendervi traditori e apostati... (Praef. in Ascet. ser. 1).
« La pietà e il bisognevole per la vita sono già una grande ricchezza, dice S. Paolo; perchè non abbiamo portato niente con noi in questo mondo, ed è certo che non ci porteremo niente quando ce ne andremo. Perciò quando non ci manca di che cibarci e vestirci, siamone paghi » — Est autem qua.est.us rnagnus pietas cum sufflcientia. Nihil enim intulimus in hunc mundum, haud dubium quod nec auferre quid possumus. Habentes autem alimenta et qnibus tegamur, his contenti simus (I Tim. VI, 6-8).
27. Bisogna fuggire l’avarizia. — S. Paolo voleva da’ suoi Efesini che si tenessero così lontani dall’avarizia, che non se ne facesse nemmeno motto tra loro, come conviene a santi: — Omnis... avaritia nec nominetur in vobis, sicut decet sanctos (Eph. V, 3); ed agli Ebrei raccomandava che fossero nei loro costumi puri di avarizia; si contentassero di quello che avevano, perchè Dio ha impegnata la sua parola, che non ci abbandonerà nè si dimenticherà di noi; — Sint mores sine avaritia: contenti praesentibus; Deus enim dixit: Non te deseram ne-que derelinquam (Hebr. XIII, 5).
L’autore de’ Proverbi pregava Dio che non gli desse nè la povertà nè le ricchezze, ma solamente il necessario alla vita, perchè temeva che nell’abbondanza dei beni, arrivasse a negare Dio e a dirgli sfacciatamente : Chi è il Signore? o spinto dalla miseria non si desse al furto ed a spergiurare il nome di Dio (Prov. XXX, 8).
« Non lasciamo parlare l’oro, dice S. Gregorio Nazianzeno, perchè quando egli parla, ogni supplica è costretta a starsi inesaudita ». Ah no! non si dà. retta alla voce del povero, non se ne esaudisce la preghiera, quando il suono dell’oro ci rintrona l’orecchio...
Non ci passino giammai dalla mente quelle parole di Giobbe: « Nudo uscii dal seno della madre e nudo vi farò ritorno » (Iob. I, 21). Origene ne’ suoi Commentari sul libro I di Giobbe, così commenta il citato testo: Il demonio non potrà ridersi di me: io sono uscito nudo dal seno di mia madre, e nudo sarò riposto nella terra. Niente avevo allorché io son venuto, niente domando per andarmene: non un filo portavo con me nascendo, non un filo mi porterò via partendo. Me ne andrò spoglio e senza denaro, ma ancora senza peccato; senza tesori, ma anche senza colpe; senza fortune, ma senza ingiustizie: poiché molto spesso l’ingiustizia è compagna della fortuna. Io partirò senza trarmi dietro nè poco nè punto di malignità, di collera, d’orgoglio, d’avarizia; sarò libero da tutto questo carico. Non avrò luogo tra coloro dei quali è detto : Perchè non avevano vestimenta, furono vestiti di fiamme infernali. Io me ne partirò puro d’ogni malvagità, ma padrone d’ogni bene, vestito di giustizia, ammantato di santità, órnato di carità, coronato di misericordia e di buone opere. Ah! felici coloro, o glorioso Giobbe, che vi avranno imitato: quelli che a vostro esempio potranno dire: Nudo uscii dal seno della madre, e nudo ritorno alla terra! Ma guai a coloro che venuti a questo mondo nudi, se ne partiranno carichi d’iniquità e d’ingiustizie d’ogni fatta! Proveranno lo sdegno ed il castigo, nel giusto giudizio di Dio, dove non vi sarà accettazione di persone.
Fuggite l’oro, esclama S. Cirillo (Apologet. lib. III), disprezzate le ricchezze, spegnete le fiamme dell’avarizia; perchè le ricchezze anziché arricchire l’anima la immiseriscono e la rendono schiava del vizio. Non amate e non ricercate che la virtù, questo sodo e vero bene : allora saranno soddisfatti i vostri desideri. Auro loquente, iners est omnis oratio (In Distich.).
28. Avarizia spirituale. — Consiste l’avarizia spirituale nel non darsi abbastanza all’istruzione, all’insegnamento, alla preghiera, al soccorso del prossimo. Chi è tiepido e rilassato nel servizio di Dio, è avaro de’ doni celesti che ha ricevuto; poco se ne giova, e con difficoltà e malgarbo ne fa parte agli altri. Dio s’incollerisce contro un tale avaro; spesso gli toglie i beni concessigli, permette che si abbandoni a tutti gli sregolati appetiti, e si perda...
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