1. Che cosa vuol dire la parola avarizia. — 2. Follia dell’avarizia. — 3. Condizione infelice dell'avaro. — 4. L’avaro vive solo della sua passione. — 5. L’avaro non può servire Dio. — 6. Povertà dell’avaro. — 7. L’avaro non è mai sazio.
1. Che cosa vuol dire la parola avarizia. — La parola avaro significa avido di. oro, dice S. Isidoro; « ed è avaro, soggiunge S. Agostino, non solamente chi chiama il denaro, ma chiunque brama troppo ardentemente qualsiasi altro oggetto. Chiunque desidera oltre quello che gli bisogna, è avaro ».
Le ricchezze, secondo S. Ambrogio, sono dette divitiae, perchè dividono e straziano l’anima.
2. Follia dell’avarizia. — « Non ammassate ricchezze su la terra, dice Gesù Cristo in S. Matteo, dove o la ruggine le consuma, o i vermi le rodono, o i ladri le scovano e involano » — Nolite thesau-rizare vobis thesauros in terra, ubi aerugo et tinea demoliuntur, et ubi fures effodiunt et furantur. Notate queste tre maniere di distruzione: la tignuola che rode gli abiti, la ruggine che consuma il ferro, i ladri che rubano l’oro e l’argento; e da ciò rilevate che per tre motivi Gesù Cristo cerca di distogliere l’uomo dall’amore delle ricchezze! Primieramente, perchè svaniscono e si corrompono : in secondo luogo, perchè abbagliano la mente; in terzo luogo, perchè esse s’impadroniscono dell’anima tutta quanta, e le impediscono di servire a Dio.
«Che pazzia è mai questa, esclama il Crisostomo, di riporre i vostri tesori in un luogo che ben presto dovete abbandonare, e non spedirli là dove dovete andare e rimanere! Deh, procacciatevi tesori dov’è la patria vostra ». Vi fu un uomo ricchissimo, diceva Gesù Cristo, al quale le possessioni aveano reso così bene e abbondantemente, che di ogni raccolto aveva grande abbondanza. Ora costui andava una notte tra se ragionando e dicendo: Che farò di tanti beni? Oh, ecco quello che farò : distruggerò i vecchi granai e ne farò dei nuovi e più ampi, e quivi ammasserò tutti i miei raccolti, e dirò all’anima mia: ora tu hai moltissimi beni per molti anni; riposati dunque lietamente, e bevi, e mangia, e sta allegramente. Ma in quel punto una voce terribile gli disse : Pazzo che tu sei, questa notte medesima ti sarà richiesta l’anima, e i beni che hai a tanto studio apparecchiati e cumulati di chi saranno? Tal sorte avrà colui che, avaro, pensa solo ad avere e non è ricco nel Signore: — Sic est qui sibi thesaurizat, et non est in Deum dives (Luc. XII, 16-21).
a Non ci appartiene, dice S. Ambrogio, ciò che non possiamo portare con noi: la virtù sola è la compagna de’ defunti ».
Solo il saggio è ricco, perchè nulla desidera... « L’avaro insacca, dice il Salmista, e, folle, non sa nemmeno per chi accumula» — Thesaurizat, et ignorat cui congregabit ea (Psalm. XXXVIII, 6); « le sue ricchezze passeranno in mani straniere, ed a lui non rimarrà che il sepolcro » (Psalm. XLVIII, 11). A lui convengono quelle parole della Sapienza a proposito dell’idolatra, che cioè « ama l’avvenenza d’un morto ritratto senz’anima, la cui vista basta a commuoverne la cupidigia » — Cuius aspectus dat insensato concupiscentiam, et diligit mortuae imagmis eftìgiem sine vita (Sap. XV, 5). Ecco infatti quali stoltezze commettono gli avari. La prima si è che possiedono senza prò la fortuna, perchè non osano giovarsene. La seconda, è di consumarsi in lavori penosi e in sollecitudini affannose, per accumulare tesori che altri si divoreranno. La terza, è d’incrudelire contro se medesimi, avvilirsi e tormentarsi perchè non osano fruire dei loro beni. La quarta, che non fanno nessun bene se non a loro insaputa ' e malgrado. La quinta, che si gettano schiavi ad una passione insaziabile. La sesta, che non si saziano nemmeno di pane, essendo la mensa dell’avaro misera e male preparata. La settima, che non pensano che presto dovranno morire, ma accumulano ricchezze come se dovessero vivere in eterno. L’ottava, che si privano della mercede dovuta alla limosina, perchè alla loro morte lasciano contro voglia i loro tesori ad eredi spesso indifferenti e ingrati. La nona, che rinunziano all’onore che procura la liberalità e si coprono della vergogna e del disprezzo dell’avarizia. La decima, che si rendono indegni dei benefìzi divini e immeritevoli della felicità e in questo e nell’altro mondo, poiché Dio è buono con gli uomini generosi e caritatevoli; ma è avaro con gli avari, ed è per loro come un martello che li stritola.
3. Condizione infelice dell’avaro. — Se si osserva l’anima dell’avaro, si troverà somigliante ad un abito roso dalla tignuola: si vedrà foracchiata da ogni parte, incancrenita dal peccato e coperta dalla ruggine del male. Al contrario, l’anima dell’uomo caritatevole e disinteressato splende come oro e come diamante, sboccia come rosa al mattino: essa non teme nè il tarlo, nè la ruggine, nè i ladri; non è turbata dall’inquietudine, compagna inseparabile degli affari terreni... È troppo vera la parola di S. Paolo a Timoteo: «Quelli che vogliono arricchire, cadono nella tentazione e nel laccio del diavolo e in molti inutili e nocivi desideri i quali sommergono gli uomini nella morte e nella perdizione. Poiché radice .di tutti i mali è la cupidigia: per amore della quale alcuni hanno deviato dalla fede, e si trovano in molti dispiaceri » — Qui volunt divites fieri, incidunt in tentationem et in laqueum diaboli, et desideria multa inutilia, et nociva quae mergunt homines in inferitimi et perditionem. Radix enim omnium malorum est cupiditas, quam quidam appetentes erra-verunt a fide, et inseruerunt se doloribus rnultis (I Tim. VI, 9-10). Viaggi, veglie, frodi, noie, angustie, timori, affanni, contraddizioni, abbattimenti ecc., ecco i frutti che raccoglie l’avaro — Inseruerunt se doloribus rnultis. « Servirsi dell’oro e dell’argento è buona cosa, dice S. Bernardo; abusarne è male; ma cercarlo per avarizia e mettere in esso il cuore, è azione vergognosa e vile » (De consider. c. XIV).
Fuggite l’avarizia, dice S. Prospero; se bramate le ricchezze, v’im-piglierete in mille difficoltà per trovarle, vi addosserete lavori e fastidi per procacciarvele, cure e attenzioni per custodirle, proverete amarezze per goderle, dolori nel perderle (De vita contemp., lib. II, c. 13).
« O uomo, soggiunge S. Agostino, che sei tormentato dall’avarizia, quanto non ti costa cara la tua passione! Dio si ama senza fatica. L’avarizia impone travagli, pericoli, tristezze, tribolazioni e tu a tutto ti sobbarchi! E a qual fine? Per riempire i tuoi forzieri e perdere la tranquillità. Tu godevi ben altra pace prima clic possedessi, che non ora che hai cominciato ad ammucchiare. Vedi a che cosa l’avarizia ti ha sospinto. Hai arricchito la casa e stai in timore de’ ladri; hai acquistato l’oro e perduto il sonno. Oh! così non succede del possesso di Dio : basta amarlo e si acquista e si possiede senza fatica ».
Clemente Alessandrino (lib: IV, Strovi.) nota che, al dire dei poeti e della favola, Pluto, il dio delle ricchezze, è cieco dalla nascita ed acceca chi io adora.
« Sacrificate il vostro argento, dice S. Agostino, per comperarvi il riposo ed il tempo di servire Dio »; perchè « l’abbondanza in cui si culla il ricco, dice VEcclesiaste, non lo lascia dormire » — Sa-turitas divitis non sinit eum dormire (Eccle. V, 11).
L’avarizia, secondo la graziosa similitudine di S. Bernardo, è trascinata su di un carro a quattro ruote che sono quattro vizi: la pusillanimità, l’inumanità, il disprezzo di Dio, la dimenticanza della morte. I cavalli aggiogati a questo carro sono la tenacia e la rapacità; il cocchiere che li conduce è la smania di accumulare. L’avarizia, non potendo mantenere più servi, si contenta di uno solo, ma questo, esecutore pronto e infaticabile del lavoro impostogli, mena a tondo e fa scoppiettare sul dorso dei cavalli ansanti due poderose' sferze che sono la libidine d’acquistare ed il timore di perdere.
Gesù Cristo dà alle ricchezze il nome di spine. E infatti, spiega il Crisostomo, date uno sguardo un po’ addentro alla coscienza dell’avaro, e ci vedrete un gran numero di peccati, un timore continuo, l’ansia, l’affanno, il sospetto, e cento sorta di spaventi. L’avaro teme delle ombre, non è sicuro dei servi suoi più fedeli, insospettisce degli stranieri che gli giungono in casa, della moglie, dei Agli, che ha allevato simili a sè; ma che dico? ha paura di se medesimo (Homil. ad pop.).
« L’avarizia, dice S. Ambrogio, è invidiosa di tutti, vile a se stessa, povera in mezzo alle ricchezze, assottiglia con l’affetto quel molto che in effetto possiede ». I giorni dell’avaro passano nelle tenebre, nei pianti, nella collera, nella stanchezza e nel furore. La passione lo travaglia, le cure lo tormentano, l’invidia lo crocifigge, il ritardo l’irrita, la sterilità dei campi lo getta nella disperazione, l’abbondanza lo inquieta e qualche volta lo fa impazzire. Solca il mare, fruga la terra, studia gli. elementi, stanca il cielo con voti d’insaziabile cupidigia. Non lo contenta nè il tempo sereno, nè il nuvolato; il suo parlare è un continuo lagnarsi dei prodotti della terra. Non c’è, a sentirlo, casa più sventurata della sua. Ah! conchiudejil citato santo Dottore, « non nell’abbondanza delle ricchezze si riposa la vita dell’uomo, ma nella virtù e nella fede ».
4. L’avaro vive solo della sua passione. — « Dove c’è il tuo tesoro, dice Gesù Cristo, ivi c’è pure il tuo cuore » — Ubi est thesaurus tuus, ibi est et cor tuum (Mattli. VI, 21). Questo vuol dire: ciò che vi rallegra, che pregiate, amate, accarezzate, e appassionatamente bramate, domina interamente il vostro cuore. Ora se di ogni altra passione si può dire che s’impadronisce di tutto l’uomo, a più forte ragione si deve dire dell’avarizia... Quindi S. Gerolamo avvertiva Pao-
lino, di non seppellire l’anima sua in un vile metallo, ma di spingerla al Cielo.
S. Antonio da Padova racconta che essendo morto un avaro, si trovò il cuore di lui, non più in petto, ina in mezzo al mucchio d’oro stipato nel suo forziere.
Avari, voi non pensate che all’oro, non amate che l’oro, ma quale oro si può paragonare a Dio? Voi desiderate le ricchezze; ma quali ricchezze valgono il possesso di Dio? Ah! date retta al Salmista che vi dice: «Se le ricchezze vi vengono in copia, non ponete in esse il vostro cuore » — Divitiae si affluant, oolite cor apponere
(Psalm. LXI, 11).
5. L’avaro non può servire Dio. — È chiara la sentenza di Gesù Cristo: «Nessuno può servire a due padroni... è impossibile servire a Dio e al denaro » (Matth. VI, 24). « Avere fortuna e coscienza netta sono due cose quasi incompatibili tra loro », scrisse Seneca.
6. Povertà dell’avaro. - L’avaro è privo non meno di quello che ha, che di quello che non ha, perchè non si serve di quello che ha: egli chiude la sua fortuna nel suo forziere, questo adunque e non lui ne gode. Non possiede il denaro, ma ne è posseduto.
Chi è il vero ricco? dimanda Beda, e risponde : è colui che non desidera nulla; chi è il vero povero? l’avaro (Sentent,.). Infatti colui che desidera ricchezze, mostra di non averne abbastanza e perciò è povero. L’avaro manca di tutto, replica S. Gerolamo, tanto di quello che ha, come di quello che non ha (lìvl. CHI, ad Paulin.).
« Tanto più sarai padrone delle tue sostanze, dice S. Bernardo, quanto meno ne sarai avido: perchè l’avaro languisce su l’oro come un povero, mentre il vero cristiano non se ne cura, come un signore ».
« È povero, dice S. Gregorio, chi sente il bisogno di quello che non ha; è ricco chi, non avendo nulla, non desidera nulla ». Poi, commentando quelle parole dell’avaro del Vangelo: Ora che cosa farò io, mancandomi luoghi da riporre i miei raccolti? esce in questa esclamazione : « O povertà nata dall’abbondanza! l’avaro si strugge di affanno per la troppa ubertà dei campi ».
Anche Seneca lasciò detto: « Il povero manca di molte cose, l’avaro manca di tutto ».
S. Ambrogio osserva che non può chiamarsi ricco chi non può portare con sè il suo avere: perchè ciò che dobbiamo lasciare, non appartiene a noi ma agli altri.
« I ricchi furono nell’indigenza e patirono la fame, dice il Salmista; ma quelli che temono il Signore non avranno penuria di beni » — Divites eguerunt et esurierunt, inquirentes autem Domi-num non minuentur omni bono [Psalm. XXXII, 11). E a lui fa eco Salomone: «Vi è un’altra miseria, ch’io vidi sotto il sole, ed anche frequente nel mondo: ed è l’uomo a cui Dio ha dato l’abbondanza di ricchezze e di beni... senza dargli la facoltà di goderne: ma il tutto si divorerà un estraneo : questa è vanità e miseria grande » — Est malum, quod vidi sub sole, et .quidem frequens apud homines: vir cui dedit Deus divitias et substantiam, nec tribuit ei potestatem Deus, ut comedat ex eo, sed homo extraneus vorabit jllum : hoc vanitas et miseria magna est [Ecele. VI, 1-2). Questa è l’infelice condizione dell’avaro dipinta dallo Spirito Santo.
La voglia di accumulare impoverisce, l’invidia divora, la sete di possedere mena a languire nella miseria: infatti si possiede soltanto ciò che si adopera : ora l’avaro che non si serve di nulla, non possiede nulla. Il denaro che nasconde sotterra bisogna dire che appartiene non a lui, ma alla terra. Chi pagasse un’imposta uguale al suo reddito, sarebbe nell’indigenza; ora la passione dell’avarizia preleva un’imposta sì gravosa, che toglie all’avaro il reddito e il capitale: e a lui conviene quel detto dei Proverbi: «L’invidioso il quale corre affrettato verso la ricchezza, non s’accorge che la povertà gli sta ai panni » — Qui festinat ditari, et aliis invidet, ignorat quod egestas superveniet ei [Prov. XXVIII, 20).
« Le ricchezze non preservano dall’indigenza, scrive S. Agostino, e l’avaro proverà tanto più grave la penuria, quanto più copiosi saranno i suoi tesori e più cocente il desiderio con cui li ha ammassati ».
L’avaro non dovrebbe dimenticare la sentenza del profeta Aggeo: « Chi ha accumulato tesori, li ha ri posti in una borsa senza fondo » — Qui mercedes congregavit, misit eas in sacculum pertusum (Agg. I, 6); e mediti su quell’altra di Giobbe: «Egli vomiterà le ricchezze che ha divorato, e Dio gliele strapperà dalle viscere » — Divitias quas devoravit evomet; e de ventre illius extrahet eas Deus (Iob. XX, 15).
« Cercate prima di tutto il regno dei cicli e la sua giustizia, dice Gesù nel Vangelo, ed il resto vi sarà dato per di più » — Quaerite primum regnum Dei et iustitiam eius, et haec omnia adiicentur vobis (Matth. VI, 33). « Non imitate, dice qui S. Agostino, i giudei i quali, perchè temettero di perdere i beni temporali confessando Gesù Cristo, non pensarono alla vita eterna e così perdettero quelli e questa ».
Gli Apostoli si erano affaticati tutta la notte nella pesca e non erano riusciti a prendere nulla, perchè Gesù Cristo non si trovava con loro;
ma non appena Pietro, all’ordine di Lui, ebbe lanciato in mare la rete, la pesca fu grandissima (Luc. V, 5).
O avaro! esclama S. Basilio, tu non sai dire altro se non questo:
Io non ho nulla, io non darò un soldo, perchè sono anch’io povero.
011 si tu dici il vero: sei povero, sei privo di tutto. Sei povero di carità, povero di bontà, povero di confidenza in Dio, povero d’eterna speranza (Homil. in Div. avnr.). O ricchi, voi non comprendete quanto siete poveri!... La natura non conosce dei ricchi, essa ha concepito tutti gli uomini nella povertà, e nudi li ha messi al mondo, e nudi li rimette tutti in un medesimo sepolcro.
7. L’avaro non è mai sazio. — Ciò che mostra al vivo la povertà dell’avaro, si è che non dice mai basta, e non è mai sazio. Perciò S. Agostino lo paragona all’idropico il quale, quanto più beve, tanto ha più sete. La stessa cosa disse Ovidio: « Crebbèro le ricchezze e crebbe con loro, Ano a divenire furiosa, la cupidigia; e più pos-sedono, e più vogliono possedere ». L’avarizia somiglia al fuoco il quale tanto più si accende quanto maggiore è l’esca. « L’avaro, dice l'Ecclesiastico, non sarà mai sazio di oro; chi mette il cuore nelle ricchezze, non ne godrà frutto » — Avarus non implebitur pecunia: qui amat divitias fructum non capiet ex eis (Eccli. V, 9). L’universo intiero non basta all’avaro; eppure verrà giorno che dovrà per forza contentarsi di una tomba che non possederà nemmeno da solo, perchè gli sarà contrastata e alfine guadagnata dai vermi... Le ricchezze ci sono date perchè ce ne serviamo con moderazione. Chi si riempie troppo, facilmente deve restituire quello che ha ingoiato da ingordo.
O ricco avaro! dice S. Ambrogio, commentando quel passo della Sacra Scrittura dov’è narrato come ad Acabbo facesse gola la piccola vigna di Naboth, o ricco avaro! non sai quanto sei povero, tu che ti vanti di essere ricco! Più hai e più ne vuoi; e quando nuoti nelle ricchezze ti sembra ancora di non averne abbastanza. L’oro non solo non spegne, ma alimenta l’avarizia. Innumerevoli gradini mettono al tempio della cupidigia; più se ne salgono e più se ne desidera salire, ma più in alto si monta e più da alto si cade. La Scrittura ci dimostra quanto sia. affamato l’avaro e come vada vergognosamente mendicando. Acabbo era re 'd’Israele, Naboth un povero vignaiuolo. Quegli nuotava nelle ricchezze, questi aveva per tutta sua porzione un piccolo podere. Eppure Naboth non desiderava affatto i terreni di Acabbo; mentre questo re fa vedere di stare in disagio, perchè desiderava la vigna di Naboth. Che cosa vuol dire quella domanda: Dammi la tua vigna? Che ne sentiva il bisogno. Dammi, perchè io non ho quello che mi abbisogna. Che viltà, che abbiezione, che penuria! Ecco l’avaro...
L’avaro, non potendo empire d’oro il suo cuore, lo riempie di voglie insaziabili, ma neppure queste voglie non ne possono colmare
il vuoto; bisognerebbe versarvi quell’oro che è costretto a lasciare negli scrigni.
L’avaro non può sfamarsi perchè: 1° l’avarizia non dice mai basta; 2° la sua fame va crescendo; 3° il denaro non lo nutrisce; 4° l’avarizia non sazia il cuore; 5° tutti i tesori ch’essa accumula sono vanità: di maniera che a lei si possono applicare quelle parole della Genesi: — Terra autem erat inanis et vacua (I, 2), e si può chiamare terra sterile e brulla.
Che cosa sono mai i tesori i quali accrescono la penuria a misura che aumentano, e generano una voglia tanto più crudele quanto più sono copiosi? Il denaro non chiude la gola all’avarizia, nè sazia il ventre, ma lo dilata; non rinfresca, ma abbrucia. Gli avari non si contentano di un bicchiere d’acqua, ma hanno sete di un fiume.
È meno avido il povero nel desiderare il necessario, che il ricco nel desiderare il superfluo. L’avaro somiglia a quelle terre aride e sabbiose che la pioggia non innaffia, ma che berrebbero torrenti d’acqua e ritornano quasi subito alla siccità di prima, sempre avide d’innaffiamento. Come l’arena, anche se è irrigata sovente, non porta frutti, così l’avaro, quantunque molto accumuli, non impiega nulla in limosine e le sue ricchezze periscono in lui e con lui. Per questo dice S. Giovanni Crisostomo (Homil. ad pop.), che l’avaro sospira con più ardore ed ha più sete di denaro, di quanto il ricco malvagio avesse sete d’acqua nell’Inferno : questi supplicava d’una goccia, quegli ne vuole un mare : e, come dice S. Bernardo, l’avaro non si sazia mai di oro, come i nostri polmoni non sono mai sazi dell’aria che respirano.
Il fuoco non dice mai basta: — Ignis nunquam dicit, sufficit (Prov. XXX, 16), ma quando non gli rimane più nulla da divorare, allora si spegne; l’avarizia dopo di aver tutto divorato, non s’estinguerebbe ancora. Non gode, dice S. Basilio, di quello che tiene, ma si tormenta per avere quello che non tiene, come un cane che, mentre ingoia il boccone che gli viene sporto, tiene avido l’occhio su quello che tenete in mano e già lo divora con la voglia prima che glielo gettiate: non si giova di ciò che ha risparmiato, ma è roso dal desiderio di risparmiare di più (Homil. XV). « Si getta su tutto, come la morte, ripiglia il Crisostomo, tutto inghiotte, come l’Inferno, e vorrebbe vivere solo sopra la terra, per possederla da solo ».
Ecco perchè S. Luca, narrando ì tormenti del ricco avaro nell’Inferno, dice che « alzando costui le pupille mentre stava ne’ supplizi, vide da lungi Abramo e Lazzaro » — Elevans oculos suos cum esset in tormentis vidit Abraham et Lazarum (Lue. XVI, 23). « Penava nei tormenti, nota il Crisostomo, non aveva liberi che gli occhi e li adopera a guardare le ricchezze altrui ».
« Gran mostro è questa libidine di avere! Le belve medesime hanno una certa moderazione con la loro preda: spinte dalla fame, l’azzannano e la divorano, ma, sbranata una, risparmiano l’altra. Solo la fame delle ricchezze è insaziabile; sempre divora e non è mai sazia. L’avaro non teme Dio, non rispetta l’uomo, non risparmia il padre, non conosce la madre, disprezza il fratello, tradisce l’amico ».
«Il denaro non sfama, ma eccita l’avaro», dice Seneca; ed un filosofo interrogato perchè l’oro sia pallido : Perchè ha paura, rispose; giacché tutti gli tendono insidie.
« L’occhio dell’avaro non si sazia di una porzione, anche oltre il bisogno : non si sazierà fino a tanto che abbia consumata e distrutta la sua. L’occhio maligno è inteso al male, e non si caverà la fame, ma resterà famelico e melanconico alla sua mensa » (Eccli. XIV, 9-10). « Quelli che ammucchiano l’oro e l’argento in cui confidano gli uomini, non sono mai sazi e la maledizione pesa su loro » — Qui ar-gentum thesaurizant et aurum, in quo confìdunt homines, non est finis acquisitionis eorum et exterminati sunt (Baruch III, 18-19). Ah! l’avarizia è veramente quale la chiama S. Ambrogio, un baratro senza fondo (In Nub. c. II). Poiché « il mare, ripiglia S. Basilio, ha i suoi confini, l’avaro no. Tu aggiungi possessi a possessi, ma dopo ciò? tre vangate di terra! ».
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