1. Danni delle compagnie cattive; pericoli a cui espongono l’innocenza. — 2. Le compagnie cattive sono maledette. — 3. Bisogna fuggire le cattive compagnie. — 4. Delle buone compagnie.
1. Danni delle compagnie cattive; pericoli a cui espongono l’innocenza. — Dove mai Pietro rinnegò Cristo? domanda S. Ambrogio; e risponde: Nel pretorio dei Giudei, nella congrega degli empi. « O quanto nociva, esclama il Venerabile Beda, dev’essere la conversazione degli empi, se Pietro medesimo negò di conoscere, in mezzo ai servi del sommo pontefice, per uomo Colui che in mezzo a’ suoi compagni aveva confessato di riconoscere per Figliuolo di Dio! ».
« Non legatevi con gli infedeli, scriveva S. Paolo ai Corinzi; perchè qual legame può esservi tra la giustizia e l’ingiustizia? qual relazione tra la luce e le tenebre? quale alleanza tra Cristo e Belial? che commercio tra il fedele e l’infedele? che attinenza del tempio di Dio con gli idoli? poiché voi siete il tempio di Dio vivo- secondo quel che dice Dio medesimo: Io camminerò e abiterò in mezzo a loro-, e sarò loro Dio ed essi saranno mio popolo-. Perciò allontanatevi da essi e separatevi, dice il Signore, e non toccate nulla d’impuro; e io vi riceverò e sarò vostro padre e voi sarete miei figli e mie figlie ». (11 Cor. VI, 14-18). « I discorsi dei cattivi, dice ancora il medesimo Apostolo a Timoteo, penetrano nel cuore e lo corrodono a guisa di cancro » (II Tim. II, 17). « Guardatevi dai malvagi e seduttori, perchè costoro andranno sempre errando di male in peggio e trascinando nell’errore gli altri » (II Tim. III, 13).
« Gli empi, predica S. Leone, s’introducono strisciando, ci colgono con le lusinghe, ci legano con l’adulazione, ci uccidono senza che ce ne accorgiamo, ridendo ».
« Noi siamo facili a lasciarci trascinare dall’esempio dei malvagi, scrive S. Girolamo, e ben presto adottiamo i vizi di tali le cui virtù non sapremmo mai indurci a seguire ».
« Che l’orgoglio, l’ira, -ed ogni altro vizio di un uomo qualunque si riproducano nell’anima di chi il frequenta, è cosa che va co’ suoi piedi, avverte S. Cipriano; e vi penetrano non solamente senza che vi si badi o vi si consenta, ma anche resistendovi ». Anzi spesso avviene quello che nota S. Agostino, che cioè chi bazzica coi malvagi, arrossisce di non poter non arrossire.
Volete il ritratto di coloro che formano le cattive compagnie? Eccovelo nelle seguenti frasi del Salmista: « Brandirà la sua spada e impugnerà l’arco, riempirà di strumenti di morte il suo turcasso e scoccherà saette di fuoco. Ha concepito l’ingiustizia e partorì l’iniquità. Ha aperto e scavato un precipizio e cadde nell’abisso da lui spalancato. Ricadrà sul suo capo il male ch’egli ha fatto e sopra di esso peserà l’iniquità da lui commessa (Psalm. VII, 12-16). La gola dei cattivi è un sepolcro aperto, la loro lingua uno strumento di seduzione e le labbra stillano veleno di vipera. Piena d’amarezza e di maledizione è la loro bocca, corrono veloci i loro piedi agli altrui danni. Dove passano, seminano stragi ed infelicità; non conobbero la via che mette al riparo, non ebbero innanzi agli occhi il timor di Dio. Questi operai d’iniquità divorano i servi di Dio come un boccone di pane (Psalm. XIII, 3-1). Tesero lacci a’ miei piedi, curvarono l’anima mia sotto il peso del dolore; scavarono innanzi a me un precipizio e vi si gettarono i primi (Psalm. LVI, 6). Se voi v’accompagnate con loro, sarete ben presto anche voi pervertiti » (Psalm. XVII, 26).
«Se praticate i malvagi, scrive Seneca, sarete tratti o a imitarli o a odiarli; ma se li odiate, vi allontanerete da loro. Non potrete deporre la gonfiezza dell’orgoglio finché tratterete familiarmente con l’orgoglioso; farete buon viso all’avarizia finché sarete amici dell’avaro; avrete acceso in voi il fuoco della libidine, se amerete la compagnia dei libertini ».
A chi partecipa delle cattive compagnie, accade come ai Madianiti i quali, spaventati al subito chiarore delle lampade portate dai soldati di Gedeone, si diedero a trucidarsi tra di loro (Iudic. VII, 22).
La frequenza con le persone scandalose depone nell’anima un germe di corruzione, dice S. Cipriano; genera i desideri malvagi, eccita la collera, accende il furore, nutrisce la lussuria, cagiona cadute, accumula rovine, copre d’ignominia; si compiace di perdere le anime, opprime sotto il peso della confusione, favorisce la morte, ammassa l’obbrobrio come tesoro, esagera le accuse e le rende più violente, è maestra d’inganni, distrugge i costumi puri e semplici e cangia gli uomini in mostri (De singulaRit. Cleric.).
« Non è piccola prova di perfetta virtù quella, scrive S. Bernardo, di essere buono in mezzo ai cattivi e di mantenere il candore dell’innocenza in mezzo ai malviventi ». Poiché, soggiunge il Nazianzeno, « ben sappiano quanto più facilmente si comunichi a noi l’altrui malizia, che non la nostra virtù agli altri; a quel modo che è più facile contrarre una malattia che il guarirla »; e « difficilmente si corregge un vizio, aggiunge S. Gregorio, che è fomentato dalle lingue dei cattivi ».
« Chi frequenta gli uomini macchiati, si macchierà », sentenzia Epitteto; ed il poeta Teognida cantava: — Non fare amicizia con l’empio, ma unisciti ai buoni e da questi imparerai moltissime cose buone; vivendo invece coi cattivi, anche tu diventerai cattivo.
Gli inganni possono condurre al delitto; ora le cattive compagnie non si occupano che di tendere agguati e, quel che è peggio, tenderli in segreto. Il vizio fogge la luce e ama le tenebre: spogliando l’uomo delle sue virtù opera da ladro. Venite, pare che dicano tra di loro i malvagi, venite, appostiamo trappole, tendiamo lacci all’innocente, inghiottiamolo, come l’inferno, vivo e palpitante (Prov. I, 12).
Gli empi si possono paragonare a’ lupi... « La loro bocca, dice il Crisostomo, rassomiglia alla gola delle belve; ma è più insaziabile ancora, perchè divora più avida, sbrana più crudelmente e azzanna con maggiore rabbia ».
Le cattive compagnie bevono il sangue delle loro vittime... Divoriamo il giusto, esse dicono, cioè spogliamolo della sua virtù, togliamogli l’amore di Gesù Cristo, abbattiamolo e rendiamolo simile a noi cosi che non altro gusti, cerchi e brami se non quello che è terreno, carnale, infernale. Afferriamolo vivente e, ad imitazione dell’inferno, sforziamolo a conoscere e volere il male... Infatti, pensano forse, o parlano, o fanno i malvagi cose diverse da quelle che pensano, parlano e fanno i demoni?... Noi cercheremo, dicono essi, le ricchezze dell’innocente, quei tesori che gli procurarono il suo battesimo, la sua prima comunione, la sua educazione cristiana, la sua modestia, la sua virtù e delle sue spoglie empiremo la casa nostra (l’inferno) (Prov. I, 13). Togliamogli i suoi meriti, il cielo che dev’essere la sua ricompensa, rubiamogli Dio: ne arricchiremo l’inferno... Mettete, suggeriscono essi a quel giovane, a quella fanciulla, l’eredità vostra con noi in comune, sia la nostra una sola borsa (Prov. I, 14). Quest’eredità, questo tesoro riservato nella borsa è la collera, la vendetta divina, la dannazione eterna. Così i peccatori si animano e s’incoraggiano a commettere l’iniquità! Guai a chi incontra le compagnie cattive e non se ne libera: egli è perduto!...
« I perversi, elicono i Proverbi, non dormono se non riescono a commettere qualche ribalderia, o cogliere al laccio qualche persona » (Prov. IV, 16). « Il pane di cui si nutrono è l’empietà, il vino che bevono, l’iniquità » (Ib. 17). Queste parole indicano con quale avidità i cattivi cercano il male, con qual cura preparano il misfatto. Passano una parte della notte e sovente le notti sane, a preparare le loro reti, a studiare l’esecuzione dei loro colpevoli disegni; menano baldoria della loro preda. Si possono paragonare a quei serpenti, di cui tratta Plinio, i quali stanno svegli tutta la state, quando il loro veleno ha la maggior sua forza, finché, dopo di averlo emesso tutto, provano l’influsso del freddo, s’intorpidiscono e dormono tutto l’inverno. Sono come le belve del deserto, che stanno rintanate il giorno e la notte vanno cercando preda. Il vitto dei malvagi è il male e per loro è tanto appetitoso questo banchetto, che non cercano altro. Così ardente è la loro sete di fare il male, che non possono saziarla e
più delitti commettono, più si accresce: è la sete dei demoni e dei dannati. Agli ubbriachi di passione accade come agli ubbriachi di vino: quanto più nè tracannano, tanto più ne vogliono.
Ahi! purtroppo, chi ha la sventura di praticare con cattivi compagni può ripetere, gemendo, coi Proverbi: « Fui sprofondato in un abisso di mali al cospetto del popolo » (Prov. V, 14). Mi sono coperto di delitti per aver frequentato quegli esseri degradati... Quando si sta in compagnia di libertini, si vive in mezzo ad esseri impuri e corrotti, i quali esalano il fetore del vizio: sono demoni incarnati, viventi, ma che già tengono un piede nell'inferno... E già di per sé un delitto, nota S. Cipriano, avvicinarsi alle cattive compagnie (Epl. XI) e l’amico degli insensati, come leggiamo nei Proverbi, diventerà simile a loro (Prov. XIII, 20).
Una conversazione frequente influisce insensibilmente sui giudizi, su gli affetti, sui costumi di chi l’ascolta. L’uomo che passeggia nelle calde ore della state e nei freddi giorni dell’inverno sente, anche senza badarvi, l’azione del sole e del freddo, perché l’atmosfera s’infiltra nelle nostre viscere per via della respirazione e comunica al nostro corpo il grado di calore che in lei si trova. Così avviene a chi vive in mezzo a cattivi, compagni: si trova attorniato da un’atmosfera appestata sotto il cui influsso il veleno dell’iniquità penetra l’anima e il cuore. Quando si bazzica con un compagno che piace, facilmente se ne ritrae la maniera, di vedere, di sentire, di giudicare; se ne imita la condotta, se ne adottano le inclinazioni e gli affetti; se egli é buono resta buono chi vive con lui; se è corrotto, diventa tale anche lui: il male si comunica assai più presto che il bene; il vizio ci trova ben più inchinevoli che la virtù. Una pecora rognosa infetta tutto un gregge; un frutto guasto manda a male quanti ne tocca. Così il crapulone, il beone, il maldicente, l’impudico, l’accidioso, il vanitoso, il ladro, l’empio rendono simili a sé quelli che li frequentano, tanto più se assiduamente. Al contrario, una compagnia di persone umili, caste, morigerate incontreranno difficoltà non poca a ridurre sul buon sentiero anche un solo libertino, o ad insinuare l’umiltà ad un solo orgoglioso, e via dicendo d’ogni altri virtù... Una stilla di fiele basta a rendere amaro un vaso intero di vino, di latte, di miele, mentre un vaso di miele non toglie via interamente l’amarezza di una sola goccia di fiele. Il vizio è fiele; la virtù è miele. Dalla società che si pratica, dalle conversazioni che si frequentano, dipende per buona parte l’abitudine della virtù o quella del vizio e per conseguenza la vita o la morte, la salute o la dannazione.
Questa è la ragione per cui i pastori, i genitori, i padroni, gli educatori, i confessori nulla debbono lasciare d’intentato, per tenere lontani da coloro che sono affidati alle loro cure, i cattivi compagni e devono metterli in relazione con persone edificanti, essendo tale frequenza un mezzo potentissimo di salute...
La notte non si accompagna al giorno, nè il buono al cattivo. Volete essere saggio? frequentate il saggio e legatevi a lui in amicizia. Tanto è facile che il vizio si unisca alla virtù, quanto il fango all’oro. Nessuno si trastulla senza pericolo coi serpenti. Basta un po’
di lievito a mettere in fermento una massa di pasta. Non si ritrae che danno da una cattiva compagnia, e niun'altra cosa cagiona perdite così pronte e funeste, quanto questa, « Non è la campagna che ci rende buoni, diceva Cratete, nè la città che ci guasta, ma il praticare coi buoni o coi malvagi ».
« Chi commette l’iniquità, dicono i Proverbi, seduce il suo amico e lo trascina a battere strade non rette... e le strade dei malvagi sono irte d’armi e di spade » (Prov. XVI, 29). « Sappi, dice l’Ecclesiastico, che tu entri in comunione con la morte, perchè ti prepari ad avanzarti in mezzo ad agguati e poserai il piede su le armi di coloro che t’ingannano » (Eccli. IX, 20).
Uno spaventoso esempio di questa comunione con la morte fu veduto nel supplizio che il crudele Mezenzio soleva infliggere alle sue vittime: faceva legare insieme un vivo e un morto in modo che le corrispondenti membra dei due insieme combaciassero, affinchè quegli che ancor respirava, fosse ucciso dal pestifero fetore del cadavere in putrefazione e roso dai vermi che ne brulicavano. Di tale crudeltà ci trasmise il ricordo Virgilio: in quei versi dell'Eneide: « ... I corpi morti —, Mescolava coi vivi (odi tormento) — Che giunte,mani a mani, bocca a bocca, — In così miserando abbracciamento — Gli faceva di putredine e di lezzo — Vivi di lunga morte alfin morire ». La medesima sorte aspetta quegli imprudenti che fanno lega e tengono commercio con gli empi e con i malvagi.
« Chi maneggia la pece s’insudicia, leggiamo nell'Ecclesiastico, e chi frequenta il superbo si macchierà di superbia» (Eccli. XIII, 1).
« Gli esempi cattivi soggiogano l’animo, dice S. Cipriano, lo spingono e mutano e trasformano; sarebbe prodigio stare tra le fiamme e non bruciare o almeno non scottarsi ».
« Potrà il giusto frequentare il peccatore, quando si vedrà l’agnello stare col lupo » (Eccli. XIII, 21). Con ragione paragona la Scrittura il cattivo al lupo, per la sua rapacità e crudeltà, ed il buono all’agnello, in riguardo della sua dolcezza, dell’innocenza e purezza de’ suoi costumi e della sua somiglianza con Gesù Cristo; ora le relazioni del cattivo col buono, sono figura di quelle del lupo con l’agnello.
« Il fuoco (del male) arderà in mezzo all’assemblea dei peccatori », leggiamo nell’Ecclesiastico (XVI, 7). — L’uomo dabbene diventa vizioso nella congrega dei viziosi e finisce col diventare come loro. Chi potrebbe non vedere tutte Ie sue virtù fare naufragio e andare perdute nella torbida, spaventosa Fiumana dell'impurità, tra le cui onde vanno sepolte le cattive compagnie? I consigli dei peccatori, la loro conversazione, il ridere, la sguardo, i movimenti, le azioni, ecc., tutto comunica la peste.
Chi abbandona Dio e la virtù, cessa di essere uomo, diventa un animale selvaggio, una fiera. Grande miseria è volere il male, ma più grande ancora è quella di poterlo e di farlo; ora triste sorte delle rallive società son queste tre cose: volere, potere e commettere il peccalo.
« Tesero la loro lingua come arco che scocca la menzogna, dice Geremia; andarono di male in male ». — E chi camminava tra i leoni, divenne un leone egli medesimo, imparò a rapire la preda e divorarsi gli uomini (Ier. IX, 3).
Leggiamo in Osea questa sentenza: «Gli stranieri consumarono la sua robustezza » (Ose. VII, 9). Gli stranieri di cui parla il profeta sono le persone che compongono cattive compagnie le quali sono infatti straniere ad ogni dovere, ad ogni buona opera; altro non conoscono fuorché la licenza e il male e rubano a coloro che le frequentano tutti i beni spirituali, unici veri beni.
Se vi trovate in mezzo al fuoco, dice S. Isidoro, foste anche di ferro, dovete fondere; se trattate alla lunga con cattivi compagni, vi sarà impossibile non correre pericolo. La famigliarità incatena e l’occasione trascina alle cadute. Coll’andare del tempo uno si abilita a quello che da principio lo stomacava. È meglio attirarsi l’odio dei perversi che l’amore. Come la compagnia dei buoni ha grandi vantaggi, così la società dei cattivi apporta grandi mali. La frequenza degli uni e degli altri ha potente influenza (De Soliloq. lib. II).
« Tra i cattivi, i migliori rassomigliano alla marruca, i buoni al rovo», dice Michea (Mich. VII, 4). Il migliore punge e fa colar sangue, ferisce il prossimo; il meno perverso spoglia e lacera l'uomo giusto e pio. « Le esalazioni che partono da luoghi pestilenziali seminano le malattie, soggiunge S. Basilio, così le cattive conversazioni inoculano l’amore del peccato benché subito non ce ne accingiamo ».
I cattivi compagni imitano i demoni. In che cosa si occupano questi spiriti maligni e crudeli? che cosa bramano? di che cosa si dilettano?... Di fare la guerra a Dio...; di danneggiare l’eredità di Gesù Cristo...; di rapire alle anime la vita della grazia e perderle eternamente. Non altra via tengono, non altra mèta mirano le cattive compagnie.
2. Le compagnie cattive sono maledette. — La via che battono i cattivi è sdrucciolevole, cinta di precipizi, sepolta nelle tenebre e mette nell’abisso; seminata di pene, di affanni, d’angosce, d’illusioni, di dolori. I tristi sono doppiamente castigati delle infamie che commettono: 1° li circondano disgusti e noie che li pungono e lacerano come spine...; 2° vi si trovano impigliati per modo da non potersene liberare... Sono per se stessi e per coloro che li praticano spade affilate.
« Chi attira su la cattiva strada il giusto, cadrà egli medesimo e perirà nel suo cammino», leggiamo nei Proverbi (Prov. XXVIII, 10). L’assemblea dei malvagi è come un mucchio di paglia, dice l'Ecclesiastico, e saranno divorati dal fuoco (Eccli. XXI, 10). « Io li abbandonerò a se stessi; perchè sono corrotti e compongono un’assemblea di prevaricatori» (Ier. IX, 2).
L’empio sarà maledetto da Dio e dagli uomini; maledetto in vita, maledetto in punto di morte, e nell’eternità dai demoni e dalle anime da lui condotte a dannazione...
3. Bisogna fuggire le cattive compagnie. — Fate tesoro di questo eccellente consiglio di Seneca: «Se vi sta a cuore andar esenti dal vizio, schivate quelli che vi danno l’esempio del male ».
« Allontanatevi dalle case degli empi, dice il Signore, e non toccate nulla che loro appartenga, perchè non vi accada di essere avviluppati nei loro peccati » (Num. XVI, 26). « Non mangiare nè bere coi peccatori », diceva Tobia a suo figlio (Tob. IV, 18).
« Figlio mio, dice ancora Iddio nei Proverbi, non camminare con loro, e non seguire le orme dei loro piedi » (Prov. I, 15). Perchè, 1° la loro via mena al delitto; 2° il seguirli disonora ed infama; 3° si diventa ben presto simili a loro... « Guardatevi dal trovare diletto nella vita degli empi e non vi lusinghi la conversazione dei malviventi » (Prov. IV, 14). « Non ti alletti la strada dei cattivi, dice Ugo da S. Vittore, perchè quella degli impudici è fangosa, tenebrosa quella degli iracondi, spinosa quella degli avari, sassosa quella dei maldicenti, cavernosa quella degli ipocriti, scoscesa quella dei superbi ».
« Tenetevi alla larga dalla strada dei perversi, leggiamo ancora nei Proverbi: non mettetevi mai piede, ma fuggitela» (Prov. IV, 15).
« Uscite di mezzo ad essi, dice S. Paolo, e separatevene (dice il Signore), e non toccate l’immondo» (II Cor. VI, 17); e ammoniva gli Efesini che non si lasciassero lusingare da parole
vane, essendo per ciò che l’ira divina colpisce i figli della disobbedienza; non avessero commercio con essi; non partecipassero alle opere infruttuose delle tenebre, che anzi le biasimassero (Ephes. V, 6, 7, 11). E come biasimarli? condannandoli con uno sguardo severo, col rossore della vostra fronte, coi vostri esempi, con la fuga, con la mestizia vostra.
Anche ai Tessalonicesi scriveva: «V’ingiungiamo, o fratelli, nel nome del Signor nostro Gesù Cristo, che vi separiate da ogni fratello il quale vive nel disordine (II Thess. III, 6).
L'Ecclesiastico ci comanda di allontanarci dall’omicida. Or chi più prontamente priva un’anima della vita della grazia, se non un cattivo compagno? « La vita dei malvagi è irta di stocchi e di spade, dicono i Proverbi, e chi ama l’anima propria si ritira lungi da loro » (Prov. XXII, 5). « Pàrtiti, ci dice ancora l'Ecclesiastico, da chi commette l’iniquità, e i mali s’allontaneranno da te» (Eccli. VII, 2). Quegli che non è mai solo, non fu giammai buono... Chi schiva le occasioni del peccato, schiva il peccato... Quindi noi udiamo l’Ecclesiastico inculcarci di non parlare, a lungo con l’imprudente, di non accompagnarci con l’insensato, ma di guardarcene e scansarlo, se non vogliamo averne onta e macchiarci del suo peccato (Eccli. XXII, 14-16).
Mosso dal pericolo che si corre nelle cattive compagnie, il Crisostomo esortava i genitori a tenerne lontani i loro figli. Nessuno di noi per certo, diceva questo Padre, se vedesse un servo portare accesa in mano una fiaccola, si tratterrebbe dall’avvisarlo di non andare in luoghi dove ci fosse paglia o fieno, o altra materia infiammabile, per limore che, non badandovi, non venisse a cadere qualche favilla a mettere fuoco tutta la casa. Adoperiamo la medesima cautela a favore dei nostri figli e non permettiamo che si uniscano a compagnie pericolose. Se persone a noi vicine le frequentano, proibiamo ai ragazzi nostri d’avere con loro relazione veruna, affinchè non succeda che qualche scintilla di fuoco porti l’incendio nelle loro anime, e vi cagioni l’irreparabile danno di una generale distruzione (Homil. ad pop.).
4. Delle buone compagnie. - « Con i santi sarai santo, ed innocente con gli innocenti », dice il Salmista (Psalm. XVII, 25). E attestava di se che « i suoi occhi cercavano quelli i quali, sulla terra, erano rimasti fedeli al Signore per farli sedere vicino a se e chiamava a servirlo quelli che battevano la via del bene, sbandendo dalla sua casa l’orgoglioso e scacciando dalla sua presenza chi parlasse sconciamente » (Psalm. C, 6-7).
« Chi pratica coi savi, apprenderà saviezza », leggiamo nei Proverbi (Prov. XIII, 20). E Tobia trattandosi d’accomiatare suo figlio per paesi stranieri gli consiglia di cercarsi qualche fedele persona che l’accompagni (Tob. V, 4). Quando poi, ritornati a casa, il padre domandò al figlio qual mercede dovessero dare a quel santo uomo, questi rispose: « Che ricompensa gli daremo noi, o padre mio, che sia pari ai benefizi da lui fattimi? Mi ha condotto e ricondotto sano e salvo, ritirò il denaro da Gabelo, mi fece avere una sposa cacciandone il demonio, ha portato l’allegrezza tra i parenti di lei, ha liberato me dal pesce che stava per divorarmi, ha fatto a voi ricuperare la vista, e ci ha colmati tutti d’ogni bene. Che cosa gli potremo dare noi in degna ricompensa di tanti servigi? » (Tob. XII, 1-3). Una buona compagnia procura un’infinità di beni...
« Sii assiduo a frequentare l’uomo virtuoso, dice l’Ecclesiastico; se conoscerai persona timorata di Dio e la cui anima armonizzi con la tua, con costui stringi amicizia, e quando lotterai nelle tenebre, avrai un amico che prenderà parte alle tue pene » (XXXVII, 15-16).
Un buon consigliere, un compagno virtuoso, scrive Ugo da S. Vittore, è di giovamento a tutti, senz’essere di peso a nessuno; infatti chi è pio verso Dio, è buono col prossimo, e contegnoso col mondo; egli è il servo di Dio, l’amico de’ suoi fratelli, il padrone di quanti lo conoscono. I suoi superiori si studiano di appagarlo, i suoi eguali amano la sua compagnia, gli inferiori si stimano felici di servirlo (De Anima, lib. III).
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