1. L’impurità è un peccato mortale di sua natura. — 2. Avvilimento dell’impudico. — 3. Funesti effetti dell’impurità: 1° effetto, i tormenti; 2° danni spaventosi; 3° lo scandalo; 4° l’accecamento; 5° la schiavitù.
1. L'impurità è un peccato mortale di sua natura. — L’impudico consacra il suo culto alla carne... Egli adora quello che adoravano i pagani; venera con loro il medesimo dio. Ora l’idolatria è un delitto enorme. « Il mio popolo, dice Iddio, ha cangiato la sua gloria per un idolo. Stupite, o cieli, e voi, o potenze del cielo, vestitevi a lutto »
(Ierem. II, 11-12). « L’impudico cambia la gloria del Dio incorruttibile, nella sembianza dell'uomo corruttibile », dice S. Paolo Rom. I, 23).
Lo stesso Apostolo dice ancora: «Quelli che si deliziano nella carne, non possono piacere a Dio; se voi vivrete secondo gli appetiti della carne, morrete » (Rom. VIII, 8, 13). « Non illudetevi: né i lussuriosi, né gli idolatri, né gli adulteri possederanno il regno dei cieli »(I Cor. VI, 9-10); « perché la carne e il sangue non possono stare con Dio, né la corruzione immedesimarsi con l’incorruttibilità » (Ib. XV, 50). « Non sapete che voi siete il tempio di Dio, che i vostri corpi sono membri di Gesù Cristo e che in voi abita lo Spirito Santo? Adoprerete adunque i membri di Gesù Cristo per farne membri di una prostituta? Ma se alcuno profana il tempio santo di Dio, il qual tempio siete voi, Dio lo sterminerà » (Ib. III, 16-17; VI, 15). « Sappiate e vi stia ben fisso in mente, che nessun fornicatore o impudico avrà parte all’eredità del regno di Cristo e di Dio » (Eph. V, 5).
Formale è il precetto di Dio: Non fornicare(Exod XX, 14), né meno chiara è la sua sentenza, che nella città di Dio non v’entrerà nulla di macchiato(Apoc. XXI, 27). « E Dio, dice S. Pietro, sa riservare i malvagi al giorno del giudizio per castigarli e quelli principalmente che accarezzano la carne vivendo secondo le voghe della carnale concupiscenza » (II, II, 9-10). Infatti è peccato così enorme l’impurità e cosi abbominato da Dio, che, come dice S. Agostino, è il più gradito a Dio l’abbaiare dei cani, il muggire dei buoi, il grugnire dei porci, che non il canto de’ suoi servi impudichi.
« Non cambiate i vasi sacri in vasi d’ignominia », esclama S. Pier Damiani; ora, già l’abbiamo inteso dall’Apostolo, i cristiani sono i tempi, i vasi sacri del Dio vivente. Se un profanatore sacrilego dirocca una chiesa, abbatte un altare, spezza un vaso sacro, di quale odioso delitto non si rende colpevole! Ben più orrenda e indegna è la profanazione che fa il lussurioso della sua anima, del suo cuore, del suo corpo e infinitamente più enorme è il suo misfatto. Infatti, se è vera la sentenza di S. Tommaso, che per la lussuria l’uomo si allontana infinitamente da Dio », e se è vero che il peccato è un abbandono che fa l’uomo di Dio, ben può ciascuno calcolare l’enormità del peccato d impudicizia; quindi S. Bernardo non si contenta di dire: Guai, ma aggiunge, molti e grandi guai all’incontinente.
E non si creda che per commettere peccato grave in questa materia, bisogni arrivare agli estremi limiti di questo abbominevole vizio: sarebbe questo un deplorevole e grossolano inganno perché non solamente un’azione di tal genere è colpa mortale, ma anche un semplice pensiero, o desiderio, o sguardo fatto con consenso deliberato.
Possono i coniugati medesimi farsi rei di gravissime colpe in questa materia, quando non abbiano per iscopo e freno il santo timor di Dio. Ricordatevi, o sposi, la parola di S. Paolo: « Si porti rispetto da tutti al matrimonio e si conservi il talamo immacolato; perché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri » (Hebr. XIII, 4); vi atterrisca la sentenza del Signore: «Il seme degli empi non attecchirà » — (Psalm. XXXVI, 28). Dio destinava alla vita ed al cielo tanti bambini; ora dove sono essi? O sciagurati che respingete nel nulla esseri destinati a benedire, lodare e godere Dio eternamente! La Scrittura ci narra che l’infelice Onan, perché impediva con un’azione detestabile che si compisse la volontà divina, fu dal Signore colpito di morte (Genesi XXXVIII, 9-10) Una tale profanazione è contraria alla legge naturale ed alla santità del matrimonio. Questo delitto è un omicidio. Vi sono dei genitori che si lagnano delle loro disgrazie, delle malattie, della morte dei loro ragazzi. Pensino se non sono forse castighi di Dio che li punisce in quello medesimo in cui hanno peccato.
Dove si possono trovare parole che bastino a flagellare come conviene l'infame delitto dell’adulterio e tutti i mali che trascina con sé? L'adultero: 1° scioglie la fedeltà coniugale; 2° viola il matrimonio, perché la natura, e l’autore della natura, Iddio, esigono che gli sposi rispettino la loro unione (Gen. II, 24); 3° profana il sacramento; 4° fa grave ingiuria ai figli legittimi; 5° commette un’enorme ingiustizia; 6° si fa reo di un orrendo scandalo... L’adultero pecca contro Dio, di cui non vuole riconoscere l’autorità, rifiutando di adempirne il comando; pecca contro la persona che gli è unita, perché non le mantiene la data fede; pecca contro se medesimo, perché si macchia l’anima e il corpo; pecca contro i figli legittimi che daneggia; pecca contro il complice medesimo dell’adulterio, essendogli cagione od occasione di peccato...
« Non sapete, o adulteri, che l’amicizia di questo mondo è nemica di Dio? » — Adulteri, nescitis quia amicitia huius mundi inimica est Dei? (Iacob. IV, 4). Il mondo è adultero; amare il mondo è un adulterio spirituale; chi consacra l'anima sua al mondo, la ruba a Gesù Cristo sposo delle anime...
Il Signore nell'antica legge ordinava che l’adultero fosse lapidato; per bocca del Savio dice che sarà punito su la pubblica piazza; che si darà alla fuga come puledro scavezzato, ma sarà sorpreso là dove meno si pensa; sarà disonorato nel cospetto di tutti; lascerà la sua memoria in maledizione, e la sua infamia non sarà cancellata(Eccli. XXIII, 36). I castighi che piombano su Davide e la sua famiglia, a cagione del suo adulterio, sebbene da lui con amarissima penitenza espiato, bastano a darci un’idea di quello che deve aspettarsi dalla giustizia divina l'adultero impenitente.
(Ierem. II, 11-12). « L’impudico cambia la gloria del Dio incorruttibile, nella sembianza dell'uomo corruttibile », dice S. Paolo Rom. I, 23).
Lo stesso Apostolo dice ancora: «Quelli che si deliziano nella carne, non possono piacere a Dio; se voi vivrete secondo gli appetiti della carne, morrete » (Rom. VIII, 8, 13). « Non illudetevi: né i lussuriosi, né gli idolatri, né gli adulteri possederanno il regno dei cieli »(I Cor. VI, 9-10); « perché la carne e il sangue non possono stare con Dio, né la corruzione immedesimarsi con l’incorruttibilità » (Ib. XV, 50). « Non sapete che voi siete il tempio di Dio, che i vostri corpi sono membri di Gesù Cristo e che in voi abita lo Spirito Santo? Adoprerete adunque i membri di Gesù Cristo per farne membri di una prostituta? Ma se alcuno profana il tempio santo di Dio, il qual tempio siete voi, Dio lo sterminerà » (Ib. III, 16-17; VI, 15). « Sappiate e vi stia ben fisso in mente, che nessun fornicatore o impudico avrà parte all’eredità del regno di Cristo e di Dio » (Eph. V, 5).
Formale è il precetto di Dio: Non fornicare(Exod XX, 14), né meno chiara è la sua sentenza, che nella città di Dio non v’entrerà nulla di macchiato(Apoc. XXI, 27). « E Dio, dice S. Pietro, sa riservare i malvagi al giorno del giudizio per castigarli e quelli principalmente che accarezzano la carne vivendo secondo le voghe della carnale concupiscenza » (II, II, 9-10). Infatti è peccato così enorme l’impurità e cosi abbominato da Dio, che, come dice S. Agostino, è il più gradito a Dio l’abbaiare dei cani, il muggire dei buoi, il grugnire dei porci, che non il canto de’ suoi servi impudichi.
« Non cambiate i vasi sacri in vasi d’ignominia », esclama S. Pier Damiani; ora, già l’abbiamo inteso dall’Apostolo, i cristiani sono i tempi, i vasi sacri del Dio vivente. Se un profanatore sacrilego dirocca una chiesa, abbatte un altare, spezza un vaso sacro, di quale odioso delitto non si rende colpevole! Ben più orrenda e indegna è la profanazione che fa il lussurioso della sua anima, del suo cuore, del suo corpo e infinitamente più enorme è il suo misfatto. Infatti, se è vera la sentenza di S. Tommaso, che per la lussuria l’uomo si allontana infinitamente da Dio », e se è vero che il peccato è un abbandono che fa l’uomo di Dio, ben può ciascuno calcolare l’enormità del peccato d impudicizia; quindi S. Bernardo non si contenta di dire: Guai, ma aggiunge, molti e grandi guai all’incontinente.
E non si creda che per commettere peccato grave in questa materia, bisogni arrivare agli estremi limiti di questo abbominevole vizio: sarebbe questo un deplorevole e grossolano inganno perché non solamente un’azione di tal genere è colpa mortale, ma anche un semplice pensiero, o desiderio, o sguardo fatto con consenso deliberato.
Possono i coniugati medesimi farsi rei di gravissime colpe in questa materia, quando non abbiano per iscopo e freno il santo timor di Dio. Ricordatevi, o sposi, la parola di S. Paolo: « Si porti rispetto da tutti al matrimonio e si conservi il talamo immacolato; perché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri » (Hebr. XIII, 4); vi atterrisca la sentenza del Signore: «Il seme degli empi non attecchirà » — (Psalm. XXXVI, 28). Dio destinava alla vita ed al cielo tanti bambini; ora dove sono essi? O sciagurati che respingete nel nulla esseri destinati a benedire, lodare e godere Dio eternamente! La Scrittura ci narra che l’infelice Onan, perché impediva con un’azione detestabile che si compisse la volontà divina, fu dal Signore colpito di morte (Genesi XXXVIII, 9-10) Una tale profanazione è contraria alla legge naturale ed alla santità del matrimonio. Questo delitto è un omicidio. Vi sono dei genitori che si lagnano delle loro disgrazie, delle malattie, della morte dei loro ragazzi. Pensino se non sono forse castighi di Dio che li punisce in quello medesimo in cui hanno peccato.
Dove si possono trovare parole che bastino a flagellare come conviene l'infame delitto dell’adulterio e tutti i mali che trascina con sé? L'adultero: 1° scioglie la fedeltà coniugale; 2° viola il matrimonio, perché la natura, e l’autore della natura, Iddio, esigono che gli sposi rispettino la loro unione (Gen. II, 24); 3° profana il sacramento; 4° fa grave ingiuria ai figli legittimi; 5° commette un’enorme ingiustizia; 6° si fa reo di un orrendo scandalo... L’adultero pecca contro Dio, di cui non vuole riconoscere l’autorità, rifiutando di adempirne il comando; pecca contro la persona che gli è unita, perché non le mantiene la data fede; pecca contro se medesimo, perché si macchia l’anima e il corpo; pecca contro i figli legittimi che daneggia; pecca contro il complice medesimo dell’adulterio, essendogli cagione od occasione di peccato...
« Non sapete, o adulteri, che l’amicizia di questo mondo è nemica di Dio? » — Adulteri, nescitis quia amicitia huius mundi inimica est Dei? (Iacob. IV, 4). Il mondo è adultero; amare il mondo è un adulterio spirituale; chi consacra l'anima sua al mondo, la ruba a Gesù Cristo sposo delle anime...
Il Signore nell'antica legge ordinava che l’adultero fosse lapidato; per bocca del Savio dice che sarà punito su la pubblica piazza; che si darà alla fuga come puledro scavezzato, ma sarà sorpreso là dove meno si pensa; sarà disonorato nel cospetto di tutti; lascerà la sua memoria in maledizione, e la sua infamia non sarà cancellata(Eccli. XXIII, 36). I castighi che piombano su Davide e la sua famiglia, a cagione del suo adulterio, sebbene da lui con amarissima penitenza espiato, bastano a darci un’idea di quello che deve aspettarsi dalla giustizia divina l'adultero impenitente.
2. Avvilimento dell’impudico. — Una viva imagine dell’abbrutimento e della degradazione del lussurioso ce la fornisce il flgliuol prodigo del Vangelo, il quale si mise al servizio di un padrone e fu mandato a pascolare i porci(Luc. XV, 15); assai più vile di un gregge di maiali è la folla dei pensieri immondi, dei disonesti affetti, delle lubriche voglie che egli accoglie e custodisce nella sua anima. Ecco la sorprendente ma giusta metamorfosi del libertino e del suo stato! ecco il castigo inflitto alla sua licenza ed alla sua folle libertà! Colui che aveva rifiutato di essere devoto figlio di nobilissimo e generoso padre, si vede costretto a diventare schiavo di uno straniero, di un incognito, di un tiranno. Ecco l’impudico... respinge l'autorità di Dio, rifiuta di obbedirgli; non vuole rimanere con lui ed eccolo obbligato a servire il diavolo più che da schiavo. Il prodigo non volle abitare nel palazzo del padre, è cacciato alla campagna tra il servitorame più abbietto, abbandonato alla fame, alla sete, alla nudità. Non volle avere per compagni di tavola e di casa il padre ed il fratello, è condannato a dividere il cibo e l'alloggio coi porci. Ebbe a nausea il pane e le eccellenti vivande della casa paterna, ora si stimerebbe fortunato se potesse empirsi dei miseri avanzi di schifosi animali!(Luc. XV, 16). « Che crudele, desolante condizione è mai questa, esclama il Crisostomo, non poter nemmeno mangiare del cibo dei porci, dovendo vivere coi porci! ». Ecco dove va a finire il lussurioso!
S. Paolo ci avverte che Dio abbandona gli impudichi in balìa ai desideri immondi dei loro errori, alle ignominiose voglie della carne, affinché vituperino se medesimi nei loro corpi; finché disperando della loro salute, si abbandonano ad ogni sorta di più laida dissolutezza (Rovi. I, 24-26) (Eph. IV, 19); e si avvoltolano nel brago delle più schifose dissolutezze, appunto, dice S. Pietro, come un porco che si tuffa nel fango (II Petr. II, 22), e mettono, dice S. Giuda, in mostra le loro turpitudini(Iud. 13).
Non c è vizio più ributtante, più vergognoso, più degradante dell’impudicizia; a ragione S. Pietro raffigura l’impudico nel porco. Perché: 1° egli ama le cose sporche...; 2° è nei suoi portamenti sordido e stomachevole...; 3° si delizia, a somiglianza dei maiali, del fango e della mota...; 4° il porco non guarda che alla terra, non si occupa che del ventre, si corica sul suolo, non è che un informe massa di carne; non diversamente è dell’impudico...; 5° il porco è senza riconoscenza anche verso il suo padrone; il lussurioso non perde egli forse ogni sentimento e discernimento?... In lui si avvera l’imprecazione di David: « Copri la faccia loro d’ignominia» (Psalm. LXXXII, 15).
« Il dissoluto, scrive S. Eucherio, non si differenzia punto dalle pecore o dai porci, perché mette i suoi piaceri negli sfoghi carnali; fa suo dio della propria carne e volge in argomento di sua gloria quel che in lui vi è di più vergognoso ». La stessa cosa già scriveva S. Paolo ai Filippesi: « Il cui dio è il ventre e la gloria nella propria vergogna » (III, 19). Anche Clemente Alessandrino lasciò scritto che gli « uomini lussuriosi guazzano nelle loro turpitudini come i lombrici nella melma. Sono uomini porcini, poiché i porci preferiscono la loia all’acqua chiara ».
Si legge nella vita di S. Ignazio di Loyola, che per correggere un libertino il quale portavasi in una casa di mal affare, egli si tuffò un giorno nell’acqua, e quando vide passare di là quell'infelice, gli disse: Va, sciagurato, a’ tuoi disonesti piaceri; non vedi la rovina che ti minaccia? Io mi sono imposte dure penitenze, per allontanare dal tuo capo i fulmini divini che stanno per incenerirti.
La voluttà è giudicata da S. Gregorio Nazianzeno l’alimento di tutti i vizi, l’amo a cui facilmente restano colti gli animali vili ed abbrutiti. Perciò il Crisostomo afferma che se potessimo vedere l'avvilimento, la degradazione dell'anima di un lussurioso, preferiremmo un fetido sepolcro a un tale stato (Homil. XXIX, in Matth.); il profeta Abacuc piangeva su la sorte di coloro che fanno intorno a sé mucchi di spesso fango: (II, 6). E questi mucchi figurano, dice S. Gregorio (Lib. VI, Moral.), i desideri, le voglie, gli sfoghi d'una laida concupiscenza; da questo fango, il Salmista pregava Dio che lo preservasse Psalm. LXVI1I, 15).
Che cosa vi è di più corrotto e di più laido, domanda l'Ecclesiastico, del pensiero della carne? ogni pane, anche il più cattivo, riesce buono al fornicatore(XVII, 30)(XXIII, 24). E non è forse vero che all'uomo abbrutito nell’incontinenza fa gola qualsiasi creatura? Sia bella o brutta, povera o ricca, pulita o sozza, giovane o vecchia, egli non guarda pel sottile; purché lo serva a’ suoi brutali sfoghi, d’altro non gli importa; appunto come un affamato dà di morso in qualunque tozzo di pane, comunque nero, muffito o duro, gli capiti tra mano.
S. Bernardo osserva che gli uomini carnali non hanno un cuore di uomo, perché avendolo tutto imbrattato nelle vergognose passioni, è cambiato in cuore di bestia. Ed applicando a loro quelle parole del Salmista: « Il mio cuore si è liquefatto come cera in mezzo alle mie viscere » (Psalm. XXI, 14), dice: «Il loro cuore fuso al fuoco della passione carnale, esce dal suo luogo e cade nel fango, altro più non gustando che la passione, tutto confondendo, corrompendo e degradando, cambia l'affetto naturale e legittimo dell’amicizia in un appetito bestiale e sregolato; brama ciò che è illecito, ignominioso e vergognoso perfino alla carne stessa; dimenticata a tal punto la sua antica grandezza e nobiltà di figlio di Dio, che quelli ch'egli corrompe e coloro che corrompono lui, non lo credono ormai più altro se non un luogo di pubblica prostituzione, la sede naturale della lussuria. Infelici, mille volte infelici coloro che soffocando la voce della ragione e della coscienza sono discesi a tanto avvilimento, che più non stimano e prostituiscono a Satana quell’anima che creata da Dio, apparteneva a Lui, ed essi ne hanno fatto la dimora e il trono del diavolo, la sentina di tutte le sporcizie, la fogna di tutte le più infami debolezze » (De nat. et dicjn. amoris, c. I).
Con tutta ragione pertanto Eusebio sentenzia che la lussuria abbassa e degrada l’uomo al disotto delle bestie; S. Pier Crisologo afferma che l'impudico « muore alla virtù, cresce ai vizi, oscura la sua gloria, seppellisce la sua riputazione e vedrà la sua follia crescere fino al furore ». Ah sì! bisogna dire col profeta, che l’uomo, posto in alto stato, non ha compreso il suo destino, si tenne uguale ai giumenti e divenne simile a loro(Psalm. XLVlll, 12); si corruppe e diventò abbominevole(Psalm. Xlll, 1), perciò Dio li ha abbandonati all’ignominia eterna(Psalm. LXXVII, 66).
L’uomo impuro, dice S. Agostino, invece di spiritualizzare il suo corpo, abbrutisce e materializza l'anima sua (De Morib. Eccl.), e ne forma il covo prediletto dei demoni i quali amano di stare nei lussuriosi più che in altri peccatori; come si vede figurato in quel fatto del Vangelo dove si narra che i demoni, scacciati dal corpo di un ossesso, chiesero in grazia a Gesù Cristo che li collimasse in un branco di maiali che stavano pascolando la vicino (Matth. 31-32).
Quando un anima disprezza la gloria e la grandezza a cui era chiamata, allora alla riputazione succede lo scandalo e la follia; alla gloria, l'ignominia; alla ricchezza, la miseria; la grazia cede il luogo all'odio; il rispetto, al disprezzo; il guadagno, alla perdita; l'intenzione è corrotta, basso e vile il pensiero, disonesta l'azione... Osservate l'avvilimento, la degradazione in cui cadde e giace quell'adultero, quella donna da trivio, quella giovane spudorata. O Dio, come mettono schifo e ribrezzo non solo agli altri, ma ai loro medesimi corruttori! Il demonio medesimo, dopo di averle macchiate, le canzona, le disprezza, le calpesta. Obbrobrio della società e della famiglia esse si vedono flatte ludibrio agli scherni degli uomini e ail'indignazione di Dio; sono la favola di tutto il mondo, derise dal cielo,dalla terra, dall'inferno, in uggia e abbominio a se stesse...
Donde può mai venire, domanda S. Bernardo, quella così grande e cosi miserabile abbiezione, per cui una creatura così bella e nobile, capace dell'eterna beatitudine e del godimento di Dio; un essere creato a imagine di Dio, riscattato col sangue di un Dio, adottato dallo Spirito Santo, dotato della fede, nutrito di un Dio, fatto per Iddio e per l'immortalità; donde può mai essere, dico, che una tale creatura non arrossisca di tuffarsi e di vivere nella corruzione della carne e dei sensi? Ah! è questa una giusta punizione dell'avere abbandonato uno sposo quale è Gesù e di avere amato simili nefandezze; giusta punizione, il bramare i rifiuti degli animali e non averli! Giusto castigo, per questo orgoglioso che preferì custodire questi animali, anziché rimanersi nella Casa del padre suo! O stupido lavoro! o sudore male speso è questo mai col quale l’uomo si consuma intorno a un cadavere in putrefazione! « O insensati mortali], deh! non amate quello che amato v’insozza, posseduto vi schiaccia e perduto vi tormenta ».
Finalmente, anche i saggi pagani convengono con la Scrittura e coi padri, che l'impudicizia è cosa laidissima e degradante e vergognosa più di qualunque altra. Platone e Cicerone, per esempio, dicono che la voluttà carnale è il nutrimento dei cuori abbietti e corrotti (De Sene et.). Orazio chiama i libidinosi « porci della mandra d’Epicuro ». — La libidine, dice Seneca, è propria non dell'uomo, ma della bestia . Il filosofo Panezio osservava che l'amore impuro è cosa vile tanto in colui che ama, quanto in colui che è amato. Poichè questo amore impuro non fa altro che convertire in putredine il corpo e quanto si prende in cibo e bevanda. L’oggetto che l’impudico ama di disonesto amore rimane nella sua memoria come una divinità nel suo tempio, divinità alla quale egli sacrifica non un toro né un capro, ma l’anima ed il corpo. Non si rende egli adunque quanto si può dire abbominevole e vile, se per un ignòbile piacere di un istante, si dà in balìa di una carne corrotta, o meglio si fa schiavo del più lurido dei demoni? (Anton, in Meliss.).
S. Paolo ci avverte che Dio abbandona gli impudichi in balìa ai desideri immondi dei loro errori, alle ignominiose voglie della carne, affinché vituperino se medesimi nei loro corpi; finché disperando della loro salute, si abbandonano ad ogni sorta di più laida dissolutezza (Rovi. I, 24-26) (Eph. IV, 19); e si avvoltolano nel brago delle più schifose dissolutezze, appunto, dice S. Pietro, come un porco che si tuffa nel fango (II Petr. II, 22), e mettono, dice S. Giuda, in mostra le loro turpitudini(Iud. 13).
Non c è vizio più ributtante, più vergognoso, più degradante dell’impudicizia; a ragione S. Pietro raffigura l’impudico nel porco. Perché: 1° egli ama le cose sporche...; 2° è nei suoi portamenti sordido e stomachevole...; 3° si delizia, a somiglianza dei maiali, del fango e della mota...; 4° il porco non guarda che alla terra, non si occupa che del ventre, si corica sul suolo, non è che un informe massa di carne; non diversamente è dell’impudico...; 5° il porco è senza riconoscenza anche verso il suo padrone; il lussurioso non perde egli forse ogni sentimento e discernimento?... In lui si avvera l’imprecazione di David: « Copri la faccia loro d’ignominia» (Psalm. LXXXII, 15).
« Il dissoluto, scrive S. Eucherio, non si differenzia punto dalle pecore o dai porci, perché mette i suoi piaceri negli sfoghi carnali; fa suo dio della propria carne e volge in argomento di sua gloria quel che in lui vi è di più vergognoso ». La stessa cosa già scriveva S. Paolo ai Filippesi: « Il cui dio è il ventre e la gloria nella propria vergogna » (III, 19). Anche Clemente Alessandrino lasciò scritto che gli « uomini lussuriosi guazzano nelle loro turpitudini come i lombrici nella melma. Sono uomini porcini, poiché i porci preferiscono la loia all’acqua chiara ».
Si legge nella vita di S. Ignazio di Loyola, che per correggere un libertino il quale portavasi in una casa di mal affare, egli si tuffò un giorno nell’acqua, e quando vide passare di là quell'infelice, gli disse: Va, sciagurato, a’ tuoi disonesti piaceri; non vedi la rovina che ti minaccia? Io mi sono imposte dure penitenze, per allontanare dal tuo capo i fulmini divini che stanno per incenerirti.
La voluttà è giudicata da S. Gregorio Nazianzeno l’alimento di tutti i vizi, l’amo a cui facilmente restano colti gli animali vili ed abbrutiti. Perciò il Crisostomo afferma che se potessimo vedere l'avvilimento, la degradazione dell'anima di un lussurioso, preferiremmo un fetido sepolcro a un tale stato (Homil. XXIX, in Matth.); il profeta Abacuc piangeva su la sorte di coloro che fanno intorno a sé mucchi di spesso fango: (II, 6). E questi mucchi figurano, dice S. Gregorio (Lib. VI, Moral.), i desideri, le voglie, gli sfoghi d'una laida concupiscenza; da questo fango, il Salmista pregava Dio che lo preservasse Psalm. LXVI1I, 15).
Che cosa vi è di più corrotto e di più laido, domanda l'Ecclesiastico, del pensiero della carne? ogni pane, anche il più cattivo, riesce buono al fornicatore(XVII, 30)(XXIII, 24). E non è forse vero che all'uomo abbrutito nell’incontinenza fa gola qualsiasi creatura? Sia bella o brutta, povera o ricca, pulita o sozza, giovane o vecchia, egli non guarda pel sottile; purché lo serva a’ suoi brutali sfoghi, d’altro non gli importa; appunto come un affamato dà di morso in qualunque tozzo di pane, comunque nero, muffito o duro, gli capiti tra mano.
S. Bernardo osserva che gli uomini carnali non hanno un cuore di uomo, perché avendolo tutto imbrattato nelle vergognose passioni, è cambiato in cuore di bestia. Ed applicando a loro quelle parole del Salmista: « Il mio cuore si è liquefatto come cera in mezzo alle mie viscere » (Psalm. XXI, 14), dice: «Il loro cuore fuso al fuoco della passione carnale, esce dal suo luogo e cade nel fango, altro più non gustando che la passione, tutto confondendo, corrompendo e degradando, cambia l'affetto naturale e legittimo dell’amicizia in un appetito bestiale e sregolato; brama ciò che è illecito, ignominioso e vergognoso perfino alla carne stessa; dimenticata a tal punto la sua antica grandezza e nobiltà di figlio di Dio, che quelli ch'egli corrompe e coloro che corrompono lui, non lo credono ormai più altro se non un luogo di pubblica prostituzione, la sede naturale della lussuria. Infelici, mille volte infelici coloro che soffocando la voce della ragione e della coscienza sono discesi a tanto avvilimento, che più non stimano e prostituiscono a Satana quell’anima che creata da Dio, apparteneva a Lui, ed essi ne hanno fatto la dimora e il trono del diavolo, la sentina di tutte le sporcizie, la fogna di tutte le più infami debolezze » (De nat. et dicjn. amoris, c. I).
Con tutta ragione pertanto Eusebio sentenzia che la lussuria abbassa e degrada l’uomo al disotto delle bestie; S. Pier Crisologo afferma che l'impudico « muore alla virtù, cresce ai vizi, oscura la sua gloria, seppellisce la sua riputazione e vedrà la sua follia crescere fino al furore ». Ah sì! bisogna dire col profeta, che l’uomo, posto in alto stato, non ha compreso il suo destino, si tenne uguale ai giumenti e divenne simile a loro(Psalm. XLVlll, 12); si corruppe e diventò abbominevole(Psalm. Xlll, 1), perciò Dio li ha abbandonati all’ignominia eterna(Psalm. LXXVII, 66).
L’uomo impuro, dice S. Agostino, invece di spiritualizzare il suo corpo, abbrutisce e materializza l'anima sua (De Morib. Eccl.), e ne forma il covo prediletto dei demoni i quali amano di stare nei lussuriosi più che in altri peccatori; come si vede figurato in quel fatto del Vangelo dove si narra che i demoni, scacciati dal corpo di un ossesso, chiesero in grazia a Gesù Cristo che li collimasse in un branco di maiali che stavano pascolando la vicino (Matth. 31-32).
Quando un anima disprezza la gloria e la grandezza a cui era chiamata, allora alla riputazione succede lo scandalo e la follia; alla gloria, l'ignominia; alla ricchezza, la miseria; la grazia cede il luogo all'odio; il rispetto, al disprezzo; il guadagno, alla perdita; l'intenzione è corrotta, basso e vile il pensiero, disonesta l'azione... Osservate l'avvilimento, la degradazione in cui cadde e giace quell'adultero, quella donna da trivio, quella giovane spudorata. O Dio, come mettono schifo e ribrezzo non solo agli altri, ma ai loro medesimi corruttori! Il demonio medesimo, dopo di averle macchiate, le canzona, le disprezza, le calpesta. Obbrobrio della società e della famiglia esse si vedono flatte ludibrio agli scherni degli uomini e ail'indignazione di Dio; sono la favola di tutto il mondo, derise dal cielo,dalla terra, dall'inferno, in uggia e abbominio a se stesse...
Donde può mai venire, domanda S. Bernardo, quella così grande e cosi miserabile abbiezione, per cui una creatura così bella e nobile, capace dell'eterna beatitudine e del godimento di Dio; un essere creato a imagine di Dio, riscattato col sangue di un Dio, adottato dallo Spirito Santo, dotato della fede, nutrito di un Dio, fatto per Iddio e per l'immortalità; donde può mai essere, dico, che una tale creatura non arrossisca di tuffarsi e di vivere nella corruzione della carne e dei sensi? Ah! è questa una giusta punizione dell'avere abbandonato uno sposo quale è Gesù e di avere amato simili nefandezze; giusta punizione, il bramare i rifiuti degli animali e non averli! Giusto castigo, per questo orgoglioso che preferì custodire questi animali, anziché rimanersi nella Casa del padre suo! O stupido lavoro! o sudore male speso è questo mai col quale l’uomo si consuma intorno a un cadavere in putrefazione! « O insensati mortali], deh! non amate quello che amato v’insozza, posseduto vi schiaccia e perduto vi tormenta ».
Finalmente, anche i saggi pagani convengono con la Scrittura e coi padri, che l'impudicizia è cosa laidissima e degradante e vergognosa più di qualunque altra. Platone e Cicerone, per esempio, dicono che la voluttà carnale è il nutrimento dei cuori abbietti e corrotti (De Sene et.). Orazio chiama i libidinosi « porci della mandra d’Epicuro ». — La libidine, dice Seneca, è propria non dell'uomo, ma della bestia . Il filosofo Panezio osservava che l'amore impuro è cosa vile tanto in colui che ama, quanto in colui che è amato. Poichè questo amore impuro non fa altro che convertire in putredine il corpo e quanto si prende in cibo e bevanda. L’oggetto che l’impudico ama di disonesto amore rimane nella sua memoria come una divinità nel suo tempio, divinità alla quale egli sacrifica non un toro né un capro, ma l’anima ed il corpo. Non si rende egli adunque quanto si può dire abbominevole e vile, se per un ignòbile piacere di un istante, si dà in balìa di una carne corrotta, o meglio si fa schiavo del più lurido dei demoni? (Anton, in Meliss.).
3. Funesti effetti dell’impurità: 1° I tormenti. — Il primo dei funesti effetti dell’impudicizia è di accendere nel cuore e nelle ossa del libidinoso un fuoco che lo cruccia, lo cuoce, lo divora: perché come una fiamma che si apprende al solaio di una casa, scoppia ben presto in vasto incendio che consuma tutta la casa con tutto quello che si trova in essa, così l’impurità, appigliatasi ad un’anima, divampa, se tosto non è spenta, in tale incendio, che nell’uomo non vi rimane più nulla d’illeso, né mente, né cuore, né sensi, né membra. Inoltre, come il fuoco si dilata di casa in casa, finché riduce in cenere un’intera città, così la fiamma libidinosa facilmente si stende da uno o da più a molti e diventa un focolare d’incendio. L’impurità è poi ancora un fuoco, perché vicina al fuoco dell’inferno. L’inferno alimenta questo fuoco e questo fuoco popola l’inferno. Sodoma accesa di fuoco impuro, è divorata dalle fiamme di un fuoco disceso dal cielo.
« Il fuoco delle passioni divora la gioventù », dice il Salmista Psalm. LXXVII, 63), e « la fiamma impura si accende tra i dissoluti e finisce per incenerirli » (Psalm. CV, 19). « L’impurità, dice Giobbe, è un fuoco che non si spegne se non quando più nulla vi resta da consumare » (Iob. XXXI, 12). Su queste parole, così scrive S. Gregorio « Che cosa è la passione impura, se non un fuoco e che cosa sono i pensieri disonesti, se non paglia? Ora chi non sa che una scintilla gettata nella paglia, in poco tempo incendia un intero pagliaio, se non si spegne subito? » (In Iob.).
« L’impurità, dice S. Ambrogio, è un fuoco crudele che non cessa mai un istante; brucia notte e giorno e la sua vampa toglie perfino il sonno » (In Psalm. I). « O lussuria, fuoco infernale esclama S. Gerolamo, la cui materia è la gola, la cui fiamma è l’orgoglio, le cui scintille sono i discorsi disonesti, il cui fumo è la follia e il termine è l’inferno! ». Poichè, come dice S. Agostino, « quel che diletta passa, ma quel che tormenta e strazia dura in eterno ».
« O impudichi, esclama Isaia, ecco che voi accendete il fuoco e, cinti di fiamme, camminate al loro bagliore e in mezzo all’incendio da voi acceso » (Isai. L, 11). .
S. Gregorio vede in quella caldaia bollente di cui parla Geremia (I, 13), il cuore del lussurioso infiammato di voglie carnali, acceso da Satana, scaldato dal consenso; escono da questa caldaia infocata, come tanti sprizzi, i desideri di abbandonarsi ad opere nefande.
« L’anima impura è figurata in una caldaia bollente, dice S. Tommaso : 1° a cagione del fuoco della concupiscenza; 2° a cagione delle azioni brutali; 3° per la nerezza della macchia. Essa è poi riscaldata : 1° dal furore di un cieco amore; 2° dal fuoco della collera e del litigio; 3° dal fuoco dell’inferno » (De Peccat.). Ed ecco perché Osea paragona gl’impudichi ad un forno acceso (Ose. VII, 4); e la Scrittura parlando dei vecchioni incontinenti che attentarono alla pudicizia di Susanna, dice che furono investiti dalle fiamme della concupiscenza (Dan. XIII, 8).
Il demonio si unisce alla passione e tutti e due fanno a gara per soffiare nel cuore del dissoluto il desiderio del peccato; essi gridano del continuo ai sensi e alle creature: Portate, portate... « Di tal natura sono i piaceri sensuali, dice S. Gregorio, che mentre non si hanno, ci accendono di desiderio; appena gustati, ce ne sentiamo ristucchi e nauseati. Per contrario i piaceri spirituali, finché non si hanno, ci dispiacciono; ma appena assaggiati, stimolano l’appetito e tanto più ardentemente si desiderano, quanto più copiosamente si godono ». Il desiderio delle cose spirituali, osserva il medesimo papa, rallegra, l’appetito delle carnali tormenta; questo è abbietto e vile, quello nobile e grande. I piaceri della carne presto saziano e la sazietà genera nausea; ma quelli dello spirito saziano senza disgusto e la sazietà sollecita il desiderio; perché quanto più si gustano, tanto più si conoscono e si amano. Perciò non può amarli chi già non li prova, perché non ne conosce le dolcezze. I diletti corporali escludono quelli spirituali e ne tolgono perfino il senso (Homil.).
2° Danni spaventosi. — Un altro effetto, non meno deplorevole del primo, produce la libidine, col togliere ogni sorta di bene nell’anima e nel corpo della sua vittima: « Non vi può rimanere niente di salvo e intatto, dice S. Cesario, in colui che è investito dal fuoco della concupiscenza ». « E tutti coloro, dice Salviano, che cadono e rimangono nel fango delle lubriche passioni, si seppelliscono sotto le loro medesime rovine » (Lib. ad Ecclesiast.). E infatti, non si dice forse de' figliuol prodigo, figura e modello dell’impudico, che andato in paese lontano, diede fondo ad ogni sua sostanza e fu ridotto sul lastrico dalla sua vita di libertinaggio? (Luc. XV, 13).
Questa è la sorte che tocca ai libertini di professione. Fanno getto di tutti i doni di natura e di grazia... : perdono la carità ed ogni sorta di virtù... Questo vizio acceca l’intelligenza, cosicché non si conosce più né Dio, né la virtù... Spegne la memoria della legge e dei benefizi di Dio... Indebolisce la volontà e la deprava a tal punto, che si preferisce il vizio alla virtù, la voluttà alla ragione, la creatura al Creatore, la carne allo spirito, il rimorso alla pace, la terra al cielo, il demonio a Dio, la morte alla vita, l’inferno al paradiso, il sommo ed eterno male al sommo ed eterno bene. Si svestono le insegne di Gesù Cristo e s’indossa la livrea di Satana...
Il voluttuoso diventa stupido, sconsigliato, avventato, senza ragione, senza spirito, senza cuore, senz’animo... Tutte le forze dell’anima e del corpo, destinate a servire il Creatore, sono da lui sciupate dietro la creatura, la concupiscenza, i piaceri del senso. Disprezza i doni del senso. Disprezza i doni della grazia, calpesta le promesse del battesimo; la nobiltà scompare sotto il fango, e l’attitudine spirituale alle grandi cose ed alle sublimi virtù è spenta.
Udite come parla S. Cirillo: « Per la voluttà la carne si corrompe, il vigore dell'animo è fiaccato, l’ardore dei vizi imbaldanzito; il giogo delle virtù diventa intollerabile; le passioni entrano nel cuore e lo splendore della ragione si oscura. La voluttà ha prostrato Sansone prodigio di forza, ha abbattuto Davide modello dì santità, ha sedotto Salomone oracolo di sapienza. La voluttà avvelena col soffio di dragone; invita tutta dolce, penetra tutta soave, s'impadronisce da assassino e distrugge ogni cosa ». « L’impurità, continua S. Cipriano, è rabbia venefica, incendio della coscienza, madre dell’impenitenza, rovina della più bella età, onta del genere umano, nemica giurata del sangue e della famiglia ».
« L’incontinente, come già notava il Savio, non rispetta né il principio della vita, né la santità del matrimonio (Sap. XIV, 24). Né v’è da stupire; poiché, come volete che rispetti ancora qualche cosa questa gente la quale è zimbello di un vizio tale che, come dice S. Bonaventura, schianta perfino le barbe di ogni virtù e, secondo S. Agostino, non lascia nemmeno più pensare all'avvenire ed ai novissimi , e per testimonianza di S. Ambrogio, fa traviare dalla retta fede?
A buon diritto S. Basilio chiama la libidine: «Amor del diavolo che trae a morte; madre del peccato, nutrice del verme che roderà in eterno ». S. Giovanni Damasceno la chiama: «Metropoli di tutti i mali »; e S. Ambrogio: « Semenzaio e origine di tutti i vizi ». S. Remigio poi si spinse fino ad asserire che la maggior parte dei reprobi si trova all’inferno a cagione di questo vizio (De Impurit.).
Su questo versetto dell'Esodo: «La terra li ha divorati» (XV, 12), così scrive Origene: «Se vedi una persona abbandonata ai piaceri del senso, una persona nella quale l’animo non ha più impero, ma che è dominata dalla lussuria, di’ pure che la terra l’ha divorata e ben presto la inghiottirà l’inferno ».
La lussuria è una catena che mette l’anima in balìa del corpo, che la vincola e l’assoggetta per tal modo alla carne, che non ascolta più altri che il corpo, non vive se non di lui e per lui, e diventa, come lui, materia e fango. Questa verità conobbero e confessarono anche i pagani. Euripide cantava che la massima delle pazzie è l’incontinenza (Laertius); era detto di Antistene, che preferiva di divenire pazzo piuttostochè voluttuoso; perché può bene un medico guarire talora un pazzo, ma quando la libidine si è impossessata di un'anima, diventa un male quasi incurabile {Anton. in Meliss.).
L’effeminatezza dei Romani fu, per testimonianza di Tito Livio, la cagione delle loro sconfitte sotto Annibale, perché ne aveva indebolito le forze e spento il cuore (Histor. Rom.). Cicerone riporta come sentenza di Archita tarentino, non esservi al mondo peste nè più pericolosa né più funesta della voluttà. Da lei i tradimenti della patria, i rovesciamenti dei troni, le guerre delle nazioni; non darsi misfatto o delitto al quale la libidine non spinga. Quanti avvelenamenti! quanti infanticidi! quante risse! (De Senect.).
I piaceri carnali hanno per conseguenza malattie, febbri, piaghe, mali di ogni sorta, perciò Claudiano dava per avviso : « Di tenere chiuso il cuore all’incantevole voce della voluttà carnale, poiché chi le dà retta, si compra la propria rovina per mezzo del dolore ».
La lussuria toglie all’uomo l’ingegno, il giudizio, la forza fisica e morale; uccide la ragione, abbrutisce l’uomo. Quest’abbominevole passione ubbriaca i sensi, indebolisce la vista, altera i lineamenti del volto, mena a precoce vecchiaia, distrugge ogni buona disposizione, fiacca il coraggio e rende, in una parola, simili a quelle statue che hanno occhi, orecchi, piedi e mani, e intanto non vedono, non odono e non fanno nulla. Inoltre, distrugge il buon nome, fa schiava la volontà, incatena i buoni desideri, istupidisce i sensi e fa dell’uomo un animale d'infima specie. Questa passione è un delirio dell’anima; una ubbriachezza in cui si perdono le ricchezze, la nobiltà, la dignità, la fama, la santità, la vita, la pace, la tranquillità, la felicità, l’anima, lo spirito, il cuore, il tempo, l’eternità...
3° Lo scandalo. — Il terzo effetto dell’impurità è lo scandalo che ne deriva. « La terra è macchiata dalla lussuria, è infetta dalla prostituzione » (Psalm. CV, 37). Il voluttuoso è macchiato e macchia gli altri, egli manda un fetore di morte che uccide, secondo l’espressione di S. Paolo (II Cor. II, 16). L’impudicizia corrompe tutto dove essa penetra; è uno scandalo dovunque si mostri, sia nei conviti, sia nei festini, sia nei balli, sia nei teatri, sia nelle conversazioni, sia nelle veglie, sia nella solitudine, sia nei cattivi libri... Non vi è scandalo peggiore dello scandalo che dà l’impudico; egli scandalizza in tutto e dappertutto. Per lui non vi è nulla di santo, niente di sacro; non rispetta né l’innocenza, né l’età, né il sesso, né la debolezza, né le lagrime, né il tempo, né il luogo, nemmeno le cose e le persone sacre.
Ecco il quadro che degli impudichi scandalosi ci ha tracciato la Sapienza: « Essi dissero, folleggiando nei loro storti pensieri: Corto e tedioso è il tempo di nostra vita e non vi è riparo per l’uomo dopo il suo fine e non vi è, che si sappia, chi sia tornato dall’inferno. Noi siamo nati dal nulla e saremo come se non fossimo stati mai, perché il fiato delle nostre narici è un fumo; la loquela è una scintilla che viene dal movimento del nostro cuore: spenta questa, il corpo nostro sarà cenere e lo spirito si dissiperà come un’aura leggera e la nostra vita passerà come la traccia di una nuvola e si scioglierà come nebbia battuta dai raggi del sole e sciolta dal calore di esso... Su via dunque, godiamo dei beni presenti e serviamoci in fretta delle creature, finché siamo giovani. Coroniamoci di rose prima che appassiscano, non vi sia prato per cui non passeggi la nostra lussuria. Non vi sia nessuno di noi che non partecipi alla nostra lubrica vita, lasciamo per ogni dove le tracce della nostra dissolutezza, che questa è la nostra porzione e la sorte nostra... Così hanno pensato e sono caduti in errore; perché la loro malizia li ha accecati » (Sap. II, 1-10, 21).
Rapire l’onore, l’onestà, la salute, la felicità, la vita alle vittime de’ suoi sfoghi brutali è per il lussurioso un nulla, una galanteria. Ah! quanto è vera la sentenza di S. Cirillo, « che la furibonda lussuria non vede nulla perché è cieca ».
4° L'accecamento. — Queste parole di S. Cirillo non solo ci spiegano i tanti scandali che seminano i lussuriosi, ma ci svelano ancora il quarto effetto dell’impudicizia, che è l’accecamento, effetto già avvertito da S. Paolo : « L’uomo animalesco non capisce nulla di ciò che appartiene allo spirito di Dio; poiché questo egli tiene per follia e non lo può capire » (I Cor. II, 14).
Il voluttuoso ha occhi, ma non vede, ha mente, ma non comprende, perché e quelli e questa sono per l’impurità divenuti una massa di carne. Egli è come uccello che si lascia invischiare nella pania, o pesce che morde nell’amo. Esso gode quando, non vedendo l’amo, ingoia l'esca; ma quando il pescatore comincia a tirarlo, si sente prima straziare le viscere, poi cavare e gettare fuori dell’acqua che è l’elemento di sua vita; e così quel cibo ingannatore che formava poco prima la sua delizia, si è fatto causa della sua morte e della sua distruzione. Viva imagine della sorte che tocca al lussurioso!...
Non c’è vizio che tanto oscuri la ragione, quanto il nefasto vizio dell’impudicizia. Essa è la madre e la nutrice della frivolezza, dell’incostanza, della precipitazione, dell'imprudenza, dell'amore di sé, dell’odio di Dio, del desiderio sregolato della vita presente, dell’orrore della morte e del giudizio... Dove trovare accecamento simile a quello di quei giovani i quali si vituperano, corrono mille avventure, affogano in un mare di pene, vanno incontro a un’infinità di disgusti, distruggono il loro avvenire, per un momento di follia?... Accecamento prima della passione, per studiare il modo di appagarla... Accecamento nel soddisfare la passione... Accecamento dopo sbramata la passione, per stordirsi e giacere nel disonore e nel delitto...
5° La schiavitù. — Se per sentenza infallibile di Gesù Cristo, chiunque si fa reo di un peccato, si rende per ciò schiavo del peccato (Ioann. VIII, 34), ognuno può, da quanto si è detto delle conseguenze della disonestà, rilevare in quale dura e infamante schiavitù essa trae i suoi amanti. Il prodigo del Vangelo, che ridotto alla miseria dalle dissolutezze, si fa schiavo di un padrone duro e spietato il quale lo condanna ad abitare e mangiare coi porci, è una sbiadita imagine della triste schiavitù in cui cade il disonesto.
Egli è come quel cieco giumento che gira continuamente attorno ad una macina essendo l’impudicizia la catena e la prigione dell’anima. E la sciagurata vittima della lussuria non è forse continuamente affaccendata, non corre notte e giorno, non parla, non supplica per soddisfare la sua vile e animalesca inclinazione?... Schiavo della più infame delle passioni, schiavo della creatura che egli ha sedotto o da cui fu sedotto; schiavo de suoi capricci; schiavo di quanto in lui vi è di più vile; schiavo del demonio...; non è questa la più ignobile, la più obbrobriosa, la più degradante delle schiavitù?
« O miserabile servitù, esclama S. Agostino, miserabile schiavitù, è quella della lussuria! Lo schiavo dell'uomo, stanco dei duri trattamenti del suo padrone, può talvolta sottrarsi con la fuga; ma dove può mai rifugiarsi, per ricuperare la sua libertà, lo schiavo dell’impudicizia? Dovunque vada, vi trascina se stesso » (Tract. XLI).
« La carne, dice S. Bernardo, è lo strumento, o piuttosto la fune, con cui Satana arresta e lega il disonesto» (Serm. XXXIX). Il demonio se ne fa suo zimbello, ora lo spinge, ora lo ferma, lo conduce dove a lui talenta, per le spine, i sassi, i bronchi, nei burroni, nei precipizi. Lo fa cadere e ricadere, finché il vizio diventa abitudine e l’abitudine una necessità che lo tiene tra le sue morse, come schiavo tra i ceppi, secondo l’osservazione di S. Agostino: «La consuetudine cui non si resiste, si cangia in natura ». Il lussurioso non ha più volontà propria, l’ha mancipata alla passione; e siccome senza volontà non si può fare nulla, perciò egli rimane stordito nella sua dura schiavitù i cui ceppi gli vengono ribaditi.
« Il fuoco delle passioni divora la gioventù », dice il Salmista Psalm. LXXVII, 63), e « la fiamma impura si accende tra i dissoluti e finisce per incenerirli » (Psalm. CV, 19). « L’impurità, dice Giobbe, è un fuoco che non si spegne se non quando più nulla vi resta da consumare » (Iob. XXXI, 12). Su queste parole, così scrive S. Gregorio « Che cosa è la passione impura, se non un fuoco e che cosa sono i pensieri disonesti, se non paglia? Ora chi non sa che una scintilla gettata nella paglia, in poco tempo incendia un intero pagliaio, se non si spegne subito? » (In Iob.).
« L’impurità, dice S. Ambrogio, è un fuoco crudele che non cessa mai un istante; brucia notte e giorno e la sua vampa toglie perfino il sonno » (In Psalm. I). « O lussuria, fuoco infernale esclama S. Gerolamo, la cui materia è la gola, la cui fiamma è l’orgoglio, le cui scintille sono i discorsi disonesti, il cui fumo è la follia e il termine è l’inferno! ». Poichè, come dice S. Agostino, « quel che diletta passa, ma quel che tormenta e strazia dura in eterno ».
« O impudichi, esclama Isaia, ecco che voi accendete il fuoco e, cinti di fiamme, camminate al loro bagliore e in mezzo all’incendio da voi acceso » (Isai. L, 11). .
S. Gregorio vede in quella caldaia bollente di cui parla Geremia (I, 13), il cuore del lussurioso infiammato di voglie carnali, acceso da Satana, scaldato dal consenso; escono da questa caldaia infocata, come tanti sprizzi, i desideri di abbandonarsi ad opere nefande.
« L’anima impura è figurata in una caldaia bollente, dice S. Tommaso : 1° a cagione del fuoco della concupiscenza; 2° a cagione delle azioni brutali; 3° per la nerezza della macchia. Essa è poi riscaldata : 1° dal furore di un cieco amore; 2° dal fuoco della collera e del litigio; 3° dal fuoco dell’inferno » (De Peccat.). Ed ecco perché Osea paragona gl’impudichi ad un forno acceso (Ose. VII, 4); e la Scrittura parlando dei vecchioni incontinenti che attentarono alla pudicizia di Susanna, dice che furono investiti dalle fiamme della concupiscenza (Dan. XIII, 8).
Il demonio si unisce alla passione e tutti e due fanno a gara per soffiare nel cuore del dissoluto il desiderio del peccato; essi gridano del continuo ai sensi e alle creature: Portate, portate... « Di tal natura sono i piaceri sensuali, dice S. Gregorio, che mentre non si hanno, ci accendono di desiderio; appena gustati, ce ne sentiamo ristucchi e nauseati. Per contrario i piaceri spirituali, finché non si hanno, ci dispiacciono; ma appena assaggiati, stimolano l’appetito e tanto più ardentemente si desiderano, quanto più copiosamente si godono ». Il desiderio delle cose spirituali, osserva il medesimo papa, rallegra, l’appetito delle carnali tormenta; questo è abbietto e vile, quello nobile e grande. I piaceri della carne presto saziano e la sazietà genera nausea; ma quelli dello spirito saziano senza disgusto e la sazietà sollecita il desiderio; perché quanto più si gustano, tanto più si conoscono e si amano. Perciò non può amarli chi già non li prova, perché non ne conosce le dolcezze. I diletti corporali escludono quelli spirituali e ne tolgono perfino il senso (Homil.).
2° Danni spaventosi. — Un altro effetto, non meno deplorevole del primo, produce la libidine, col togliere ogni sorta di bene nell’anima e nel corpo della sua vittima: « Non vi può rimanere niente di salvo e intatto, dice S. Cesario, in colui che è investito dal fuoco della concupiscenza ». « E tutti coloro, dice Salviano, che cadono e rimangono nel fango delle lubriche passioni, si seppelliscono sotto le loro medesime rovine » (Lib. ad Ecclesiast.). E infatti, non si dice forse de' figliuol prodigo, figura e modello dell’impudico, che andato in paese lontano, diede fondo ad ogni sua sostanza e fu ridotto sul lastrico dalla sua vita di libertinaggio? (Luc. XV, 13).
Questa è la sorte che tocca ai libertini di professione. Fanno getto di tutti i doni di natura e di grazia... : perdono la carità ed ogni sorta di virtù... Questo vizio acceca l’intelligenza, cosicché non si conosce più né Dio, né la virtù... Spegne la memoria della legge e dei benefizi di Dio... Indebolisce la volontà e la deprava a tal punto, che si preferisce il vizio alla virtù, la voluttà alla ragione, la creatura al Creatore, la carne allo spirito, il rimorso alla pace, la terra al cielo, il demonio a Dio, la morte alla vita, l’inferno al paradiso, il sommo ed eterno male al sommo ed eterno bene. Si svestono le insegne di Gesù Cristo e s’indossa la livrea di Satana...
Il voluttuoso diventa stupido, sconsigliato, avventato, senza ragione, senza spirito, senza cuore, senz’animo... Tutte le forze dell’anima e del corpo, destinate a servire il Creatore, sono da lui sciupate dietro la creatura, la concupiscenza, i piaceri del senso. Disprezza i doni del senso. Disprezza i doni della grazia, calpesta le promesse del battesimo; la nobiltà scompare sotto il fango, e l’attitudine spirituale alle grandi cose ed alle sublimi virtù è spenta.
Udite come parla S. Cirillo: « Per la voluttà la carne si corrompe, il vigore dell'animo è fiaccato, l’ardore dei vizi imbaldanzito; il giogo delle virtù diventa intollerabile; le passioni entrano nel cuore e lo splendore della ragione si oscura. La voluttà ha prostrato Sansone prodigio di forza, ha abbattuto Davide modello dì santità, ha sedotto Salomone oracolo di sapienza. La voluttà avvelena col soffio di dragone; invita tutta dolce, penetra tutta soave, s'impadronisce da assassino e distrugge ogni cosa ». « L’impurità, continua S. Cipriano, è rabbia venefica, incendio della coscienza, madre dell’impenitenza, rovina della più bella età, onta del genere umano, nemica giurata del sangue e della famiglia ».
« L’incontinente, come già notava il Savio, non rispetta né il principio della vita, né la santità del matrimonio (Sap. XIV, 24). Né v’è da stupire; poiché, come volete che rispetti ancora qualche cosa questa gente la quale è zimbello di un vizio tale che, come dice S. Bonaventura, schianta perfino le barbe di ogni virtù e, secondo S. Agostino, non lascia nemmeno più pensare all'avvenire ed ai novissimi , e per testimonianza di S. Ambrogio, fa traviare dalla retta fede?
A buon diritto S. Basilio chiama la libidine: «Amor del diavolo che trae a morte; madre del peccato, nutrice del verme che roderà in eterno ». S. Giovanni Damasceno la chiama: «Metropoli di tutti i mali »; e S. Ambrogio: « Semenzaio e origine di tutti i vizi ». S. Remigio poi si spinse fino ad asserire che la maggior parte dei reprobi si trova all’inferno a cagione di questo vizio (De Impurit.).
Su questo versetto dell'Esodo: «La terra li ha divorati» (XV, 12), così scrive Origene: «Se vedi una persona abbandonata ai piaceri del senso, una persona nella quale l’animo non ha più impero, ma che è dominata dalla lussuria, di’ pure che la terra l’ha divorata e ben presto la inghiottirà l’inferno ».
La lussuria è una catena che mette l’anima in balìa del corpo, che la vincola e l’assoggetta per tal modo alla carne, che non ascolta più altri che il corpo, non vive se non di lui e per lui, e diventa, come lui, materia e fango. Questa verità conobbero e confessarono anche i pagani. Euripide cantava che la massima delle pazzie è l’incontinenza (Laertius); era detto di Antistene, che preferiva di divenire pazzo piuttostochè voluttuoso; perché può bene un medico guarire talora un pazzo, ma quando la libidine si è impossessata di un'anima, diventa un male quasi incurabile {Anton. in Meliss.).
L’effeminatezza dei Romani fu, per testimonianza di Tito Livio, la cagione delle loro sconfitte sotto Annibale, perché ne aveva indebolito le forze e spento il cuore (Histor. Rom.). Cicerone riporta come sentenza di Archita tarentino, non esservi al mondo peste nè più pericolosa né più funesta della voluttà. Da lei i tradimenti della patria, i rovesciamenti dei troni, le guerre delle nazioni; non darsi misfatto o delitto al quale la libidine non spinga. Quanti avvelenamenti! quanti infanticidi! quante risse! (De Senect.).
I piaceri carnali hanno per conseguenza malattie, febbri, piaghe, mali di ogni sorta, perciò Claudiano dava per avviso : « Di tenere chiuso il cuore all’incantevole voce della voluttà carnale, poiché chi le dà retta, si compra la propria rovina per mezzo del dolore ».
La lussuria toglie all’uomo l’ingegno, il giudizio, la forza fisica e morale; uccide la ragione, abbrutisce l’uomo. Quest’abbominevole passione ubbriaca i sensi, indebolisce la vista, altera i lineamenti del volto, mena a precoce vecchiaia, distrugge ogni buona disposizione, fiacca il coraggio e rende, in una parola, simili a quelle statue che hanno occhi, orecchi, piedi e mani, e intanto non vedono, non odono e non fanno nulla. Inoltre, distrugge il buon nome, fa schiava la volontà, incatena i buoni desideri, istupidisce i sensi e fa dell’uomo un animale d'infima specie. Questa passione è un delirio dell’anima; una ubbriachezza in cui si perdono le ricchezze, la nobiltà, la dignità, la fama, la santità, la vita, la pace, la tranquillità, la felicità, l’anima, lo spirito, il cuore, il tempo, l’eternità...
3° Lo scandalo. — Il terzo effetto dell’impurità è lo scandalo che ne deriva. « La terra è macchiata dalla lussuria, è infetta dalla prostituzione » (Psalm. CV, 37). Il voluttuoso è macchiato e macchia gli altri, egli manda un fetore di morte che uccide, secondo l’espressione di S. Paolo (II Cor. II, 16). L’impudicizia corrompe tutto dove essa penetra; è uno scandalo dovunque si mostri, sia nei conviti, sia nei festini, sia nei balli, sia nei teatri, sia nelle conversazioni, sia nelle veglie, sia nella solitudine, sia nei cattivi libri... Non vi è scandalo peggiore dello scandalo che dà l’impudico; egli scandalizza in tutto e dappertutto. Per lui non vi è nulla di santo, niente di sacro; non rispetta né l’innocenza, né l’età, né il sesso, né la debolezza, né le lagrime, né il tempo, né il luogo, nemmeno le cose e le persone sacre.
Ecco il quadro che degli impudichi scandalosi ci ha tracciato la Sapienza: « Essi dissero, folleggiando nei loro storti pensieri: Corto e tedioso è il tempo di nostra vita e non vi è riparo per l’uomo dopo il suo fine e non vi è, che si sappia, chi sia tornato dall’inferno. Noi siamo nati dal nulla e saremo come se non fossimo stati mai, perché il fiato delle nostre narici è un fumo; la loquela è una scintilla che viene dal movimento del nostro cuore: spenta questa, il corpo nostro sarà cenere e lo spirito si dissiperà come un’aura leggera e la nostra vita passerà come la traccia di una nuvola e si scioglierà come nebbia battuta dai raggi del sole e sciolta dal calore di esso... Su via dunque, godiamo dei beni presenti e serviamoci in fretta delle creature, finché siamo giovani. Coroniamoci di rose prima che appassiscano, non vi sia prato per cui non passeggi la nostra lussuria. Non vi sia nessuno di noi che non partecipi alla nostra lubrica vita, lasciamo per ogni dove le tracce della nostra dissolutezza, che questa è la nostra porzione e la sorte nostra... Così hanno pensato e sono caduti in errore; perché la loro malizia li ha accecati » (Sap. II, 1-10, 21).
Rapire l’onore, l’onestà, la salute, la felicità, la vita alle vittime de’ suoi sfoghi brutali è per il lussurioso un nulla, una galanteria. Ah! quanto è vera la sentenza di S. Cirillo, « che la furibonda lussuria non vede nulla perché è cieca ».
4° L'accecamento. — Queste parole di S. Cirillo non solo ci spiegano i tanti scandali che seminano i lussuriosi, ma ci svelano ancora il quarto effetto dell’impudicizia, che è l’accecamento, effetto già avvertito da S. Paolo : « L’uomo animalesco non capisce nulla di ciò che appartiene allo spirito di Dio; poiché questo egli tiene per follia e non lo può capire » (I Cor. II, 14).
Il voluttuoso ha occhi, ma non vede, ha mente, ma non comprende, perché e quelli e questa sono per l’impurità divenuti una massa di carne. Egli è come uccello che si lascia invischiare nella pania, o pesce che morde nell’amo. Esso gode quando, non vedendo l’amo, ingoia l'esca; ma quando il pescatore comincia a tirarlo, si sente prima straziare le viscere, poi cavare e gettare fuori dell’acqua che è l’elemento di sua vita; e così quel cibo ingannatore che formava poco prima la sua delizia, si è fatto causa della sua morte e della sua distruzione. Viva imagine della sorte che tocca al lussurioso!...
Non c’è vizio che tanto oscuri la ragione, quanto il nefasto vizio dell’impudicizia. Essa è la madre e la nutrice della frivolezza, dell’incostanza, della precipitazione, dell'imprudenza, dell'amore di sé, dell’odio di Dio, del desiderio sregolato della vita presente, dell’orrore della morte e del giudizio... Dove trovare accecamento simile a quello di quei giovani i quali si vituperano, corrono mille avventure, affogano in un mare di pene, vanno incontro a un’infinità di disgusti, distruggono il loro avvenire, per un momento di follia?... Accecamento prima della passione, per studiare il modo di appagarla... Accecamento nel soddisfare la passione... Accecamento dopo sbramata la passione, per stordirsi e giacere nel disonore e nel delitto...
5° La schiavitù. — Se per sentenza infallibile di Gesù Cristo, chiunque si fa reo di un peccato, si rende per ciò schiavo del peccato (Ioann. VIII, 34), ognuno può, da quanto si è detto delle conseguenze della disonestà, rilevare in quale dura e infamante schiavitù essa trae i suoi amanti. Il prodigo del Vangelo, che ridotto alla miseria dalle dissolutezze, si fa schiavo di un padrone duro e spietato il quale lo condanna ad abitare e mangiare coi porci, è una sbiadita imagine della triste schiavitù in cui cade il disonesto.
Egli è come quel cieco giumento che gira continuamente attorno ad una macina essendo l’impudicizia la catena e la prigione dell’anima. E la sciagurata vittima della lussuria non è forse continuamente affaccendata, non corre notte e giorno, non parla, non supplica per soddisfare la sua vile e animalesca inclinazione?... Schiavo della più infame delle passioni, schiavo della creatura che egli ha sedotto o da cui fu sedotto; schiavo de suoi capricci; schiavo di quanto in lui vi è di più vile; schiavo del demonio...; non è questa la più ignobile, la più obbrobriosa, la più degradante delle schiavitù?
« O miserabile servitù, esclama S. Agostino, miserabile schiavitù, è quella della lussuria! Lo schiavo dell'uomo, stanco dei duri trattamenti del suo padrone, può talvolta sottrarsi con la fuga; ma dove può mai rifugiarsi, per ricuperare la sua libertà, lo schiavo dell’impudicizia? Dovunque vada, vi trascina se stesso » (Tract. XLI).
« La carne, dice S. Bernardo, è lo strumento, o piuttosto la fune, con cui Satana arresta e lega il disonesto» (Serm. XXXIX). Il demonio se ne fa suo zimbello, ora lo spinge, ora lo ferma, lo conduce dove a lui talenta, per le spine, i sassi, i bronchi, nei burroni, nei precipizi. Lo fa cadere e ricadere, finché il vizio diventa abitudine e l’abitudine una necessità che lo tiene tra le sue morse, come schiavo tra i ceppi, secondo l’osservazione di S. Agostino: «La consuetudine cui non si resiste, si cangia in natura ». Il lussurioso non ha più volontà propria, l’ha mancipata alla passione; e siccome senza volontà non si può fare nulla, perciò egli rimane stordito nella sua dura schiavitù i cui ceppi gli vengono ribaditi.
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