1. Chi vuole abbracciare lo stato coniugale, deve prepararvisi. — 2.
Scopo che deve proporsi chi va a matrimonio. — 3. Di quale
benedizione si serva la Chiesa per santificare il matrimonio. — 4.
Il matrimonio è degno di rispetto. — 5. Quale unione deve esistere
tra gli sposi. — 6. Doveri dei coniugi: 1° Doveri della sposa; 2°
Doveri dello sposo. — 7. Il matrimonio è inferiore alla verginità.
— 8. Il matrimonio profanato. — 9. Castighi riservati ai
profanatori del matrimonio.
1. Chi
vuole abbracciare lo stato coniugale, deve prepararvisi. — Udite
innanzi tutto a questo proposito ravviso del concilio di Trento :
«
Esorta la santa Sinodo i fidanzati, che prima di contrarre il
vincolo, o almeno tre giorni avanti di consumare il matrimonio,
confessino diligentemente i loro peccati, e si accostino devotamente
alla santa Eucaristia ».
«
Casa e ricchezze ci vengono dai parenti, leggiamo nei Proverbi, ma
solo da Dio ci viene la sposa assennata » (XIX, 14). E
l'Ecclesiastico: « Marita la figlia tua e avrai fatto gran cosa; ma
dalla ad un uomo saggio » (VII, 27). Ora, se è Dio solo
che dà una moglie assennata, e i parenti fanno buona cosa solo
quando uniscono la loro figlia a uno sposo prudente, ne consegue che
è necessario prepararsi, come conviene a buoni cristiani, prima di
entrare nello stato coniugale... D’altronde poiché il matrimonio
cristiano è stato elevato da Gesù Cristo al grado di sacramento dei
vivi, ognuno vede che bisogna accostarvisi con le dovute
disposizioni; da queste poi dipende la felicità e l’infelicità
degli sposi.
Bisogna
apparecchiarvisi principalmente con la prudenza, con la preghiera,
con la modestia; si consultino il proprio confessore ed i parenti; si
cerchino informazioni su la persona che si vuole sposare, su la sua
pietà, condotta e onoratezza... Si preparano forse così la maggior
parte degli uomini al matrimonio?... Volesse il Cielo che la
preparazione di molti non fosse invece una catena di scandali e di
peccati! si profana questo grande sacramento, e invece di meritare la
benedizione, si riceve la maledizione... Non ci sfugga di mente che
Gesù Cristo, la sua santa Madre e gli apostoli furono invitati e
intervennero alle nozze di Cana : così si deve fare in ogni
matrimonio cristiano.
2. Scopo
che deve proporsi chi va a matrimonio. — Triplice è il fine al
quale deve mirare chi vuole contrarre matrimonio con timore e amor
di Dio: 1° di ricevere degnamente questo sacramento e di non mai
profanarlo; 2° di conservare la fedeltà coniugale; 3° di
allevare piamente la prole che Dio sarà per concedere... Questi
doveri sono sacri e gli sposi cristiani devono averli in cima dei
loro disegni.
3. Di
quale benedizione si serva la Chiesa per santificare il matrimonio.
— Per benedire un matrimonio, la Chiesa toglie le sue espressioni
alla sacra Scrittura, e adopera le parole usate già da Raguele
nello sposare Tobia e Sara: ((Il Dio di Abramo, d’Isacco, di
Giacobbe sia con voi; vi unisca egli medesimo e adempia in voi la
sua benedizione » (Tob. VII, 15). Dopo di aver domandato agli sposi il loro
mutuo consenso, la Chiesa pronunzia per bocca del suo ministro che
la rappresenta, questa formola solenne: « Io vi congiungo in
matrimonio, nel nome del Padre, del Figliuolo, dello Spirito Santo
» (Ritual. rom.)... Santo è dunque il matrimonio,
e tre volte santo... Guai a chi lo profana!...
4.
Il matrimonio è degno di rispetto. — « Onorevole in ogni cosa è
il matrimonio, dice l’Apostolo, ed il letto immacolato; i
fornicatori e gli adulteri li giudicherà Iddio » (Hebr. XIII, 4). « Guàrdati, flgliuol mio,
diceva Tobia, guàrdati da ogni fornicazione, e non ti prenda, mai la
voglia di conoscere altra donna che la tua » (Tob. IV, 13).
Platone
medesimo già stabiliva che nessuno osasse accostarsi ad altra donna
che non fosse la propria legittima moglie, e che la fedeltà nel
matrimonio fosse sacra.
5.
Quale unione deve esistere tra gli sposi. — L’unione che deve
esistere tra gli sposi, risulta chiara dallo scopo che ebbe Dio, e
dal modo che tenne nel formare e presentare ad Adamo la prima donna.
« Facciamo ad Adamo, disse il Signore, un aiuto simile a lui » (Gen. II, 18). « E fattolo cadere
in un profondo sonno, gli tolse una delle coste e con essa formò la
donna. Appena Adamo la vide, uscì in queste parole: Questo è osso
delle mie ossa, e carne della mia carne. Perciò abbandonerà l’uomo
il padre e la madre sua, e starà congiunto alla sua donna, e saranno
due in una sola carne » (Gen. II, 21-24). Ora ecco la
spiegazione di Gesù Cristo: «In virtù di quest’origine, gli
sposi non son due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi
quello che Dio ha congiunto » (Matth. XIX, 6).
Quindi il Savio, tra le tre cose che dice piacere sopra tutte le
altre a Dio, pone questa, cioè un marito ed una moglie così
d’accordo, che formino un cuore ed un’anima sola:
(Eccli. XXV, 1-2).
Gli
sposi sono e per il consenso che precede il connubio e per il
contratto e il sacramento del matrimonio, e per l’abitazione e la
tavola comune, e per il letto nuziale, così intimamente congiunti,
che formano una sola persona civile; perciò si chiamano coniugi
(coniuges) quasi uniti a un giogo. Se vivono nella pace, nella
concordia, nella fedeltà, la loro vita è piacevole, gradita e
santa; se invece vivono in discordie, in alterchi e risse, trascinano
giorni di amarezza e d’inferno. Quando due buoi o due cavalli
aggiogati camminano d’ugual passo, avanzano senza stento ed hanno
molto maggior forza; ma se non si muovono d’accordo, soffrono tutti
e due, sentono più grave il peso del lavoro, e meno facilmente
adempiono il loro compito. Lo stesso è dei coniugati...
Il
principio e la vita dell’unione coniugale sta nell’amore
reciproco... Perché esista tra gli sposi un’armonia perfetta, si
richiede: 1° identità di religione, di fede, di pietà; 2°
uguaglianza di carattere...; 3° parità di condizione...; 4°
affetto reciproco...; 5° risoluzione di dividere tanto le gioie
quanto le pene del loro stato...; 6° la pace e la concordia in seno
alla famiglia... Se agli sposi sta a cuore il godere di questi beni,
preghino Iddio e lo servano. Quando siano uniti a Dio per l’orazione
e l’amore, saranno anche uniti tra di loro; sia perché due cose
che sono unite a una terza, lo sono anche tra se; sia perché l’amore
con cui si ama Dio e quello con cui si ama il prossimo in riguardo a
Dio, sono in sostanza, e specialmente negli sposi, un medesimo
amore...
6. Doveri
dei coniugi. — 1° Doveri della sposa. I doveri di una moglie verso
il marito consistono nell’onorarlo, rispettarlo, amarlo, essergli
fedele, sopportarne i difetti e assisterlo.
1) L’onore
ed il rispetto dovuti dalla sposa allo sposo importano ch'essa e nel
parlare di lui e nel parlare a lui medesimo usi sempre termini
rispettosi, adoperi un linguaggio che denoti la stima in cui essa
tiene la persona di lui; ne procuri in tutto la buona fama, non
badando ai segreti disgusti che forse le arrechi, e mantenga alto
silenzio su le mancanze in cui egli cade. Tutte le sante donne delle
quali si parla nella santa Scrittura, osservarono puntualmente questa
norma ed onorarono gli sposi loro, tenendo con essi un linguaggio di
onore e di rispetto. Sara non chiamava mai Abramo con altro titolo
che con quello di suo signore (Gen. XVIII, 12). Il medesimo nome dava
Rebecca ad Isacco, perché vedeva nella persona di lui la maestà di
Dio e pensava che l’onore che essa gli rendeva, si riverberava
sopra di lei medesima. Così pure Anna, madre di Samuele, e la madre del
giovane Tobia, furono ragguardevoli per le testimonianze di riverenza
che diedero ai loro mariti.
2)
La sposa deve nutrire per il suo marito, un amore intero e costante,
un amore figlio della castità coniugale, un amore spirituale e
santo. Essa guadagnerà il marito suo alla pietà meglio ancora con
l’esempio che con la parola piena di soavità e di dolcezza; questa
però non la risparmierà mai ogni volta che le si presenterà
l’occasione favorevole di mettergli in orrore il vizio e la
dissolutezza, se per disgrazia il marito ne ha bisogno. L’amore di
una moglie deve rivolgersi non tanto a quello che sa di sensibile e
di carnale, quanto a ciò che ne riguarda la salvezza; deve quindi
impegnarla a fargli in tempo e luogo conveniente salutari
rimostranze, maneggiandosi secondo i suggerimenti della prudenza. Non
vi è cosa che più eserciti potere ed efficacia nel cuore di un
uomo, quanto la voce di una moglie virtuosa; ma bisogna per ciò
saper scegliere i momenti, cercare i modi più adatti alla buona
riuscita. Scagliarsi contro il marito e rimproverarlo e tempestarlo
mentre è tuttavia cotto dal vino o infiammato dalla passione, è una
imprudenza le cui conseguenze riescono sommamente pericolose e
funeste. Bisogna che l’amore renda ingegnose le donne ad insinuarsi
nel cuore dei loro mariti prima di arrischiarsi a dire quello che
naturalmente a costoro non garba; ed innanzi tutto devono pregare con
fervore e con assiduità per ottenerne il ravvedimento e la
conversione.
3)
La moglie deve stare sottomessa al marito, come la Chiesa sta
soggetta a Gesù Cristo in tutto ciò che è secondo il Signore. Dio
medesimo sottomise la donna all’uomo, in punizione della sua
disobbedienza. Essa è dunque tenuta ad obbedire in tutto ciò che è
secondo Dio, cioè in quelle cose che non contrariano né l’onore
di Dio, né la carità del prossimo. Ma se un marito esigesse dalla
moglie cosa contraria alla legge di Dio, alla religione, al pudore,
alla modestia, insomma a’ suoi sacrosanti doveri, non gli dovrebbe
punto obbedire, perché obbedendo a lui disobbedirebbe a Dio, a Gesù
Cristo, alla religione, alla virtù, alla coscienza...
Negli
affari indifferenti, in cui non ci sta di mezzo la religione, né si
fa torto alla sana ragione, è debito della donna arrendersi al
piacere del marito. Similmente quando insorgono dispareri, la donna
deve cedere, perché il calore della disputa non rompa l’unione, la
concordia, e la carità che deve regnare fra di loro due. Conviene
alla donna conservare la calma e la tranquillità di spirito
necessari alla pietà ed al servizio di Dio, il non dare cattivo
esempio ai figli ed ai domestici, il non avvezzarli a mancare di
rispetto o di sottomissione, a piatire o rimbeccare quando loro si
parla. Ancorché il marito in qualche caso avesse torto, la moglie
dovrebbe procedere con grande riservatezza, specialmente in presenza
dei ragazzi e dei suoi. Non deve rimbeccare quello che può sfuggire
di bocca al marito mentre è in bizza e fuori di cervello, per non
inasprirlo, e per non metterlo in puntiglio, con pericolo di
conseguenze più dolorose.
Appunto
per la trascuranza di queste regole, dettate dalla prudenza e dalla
carità, parecchie donne mancano al dovere principale loro imposto
dalla religione, di sopportare i propri mariti, ancorché ne ricevano
senza motivo cattivi trattamenti. In queste difficili occorrenze, la
loro obbedienza riuscirebbe tanto più preziosa agli occhi di Dio,
quanto più, nulla avendovi d’umano, comparirebbe fondata
unicamente su la carità cristiana. Ma ahimè! quante ve ne sono le
quali, invece di vincere i loro sposi con la dolcezza, rimbeccano con
ingiurie una parola un po’ duretta; che cominciano dal versare in
capo al marito, alle volte abbrutito dalle dissolutezze e incapace di
comprendere che ha torto, un diluvio di rimproveri, d’invettive,
d’imprecazioni! Quindi i giuramenti, le bestemmie, le collere, le
minacce, le brutalità, gli scandali, i disordini che, secondo
l’espressione di S. Gerolamo, fanno di tali case un’immagine
anticipata dell’inferno.
4)
Occorre forse ricordare alle spose ch’esse devono mantenere
inviolata la fedeltà giurata ai piedi degli altari? Chiunque abbia
una leggera tintura dei principi del Cristianesimo, o darà retta
anche solo alla ragione, non si illuderà sulla gravità di certi
disordini dei quali non solamente i pagani, ma perfino le più
barbare nazioni, come i Cafri brutali e gli Oceanici antropofagi
ebbero ed hanno maggior orrore, che non certi sedicenti cristiani del
secolo corrotto.
5)
Devono sopportare con pazienza e rassegnazione i loro mariti e
tollerare con pazienza le debolezze, i difetti e le infermità che
alle volte possono avere.
6)
Finalmente devono ai loro consorti ogni sorta di assistenza, e
corporale e spirituale...
La
Scrittura c’insegna che i genitori di Sara ravvisarono e le
inculcarono che rispettasse i suoceri, amasse il marito, educasse la
figliuolanza, governasse la famiglia e si mostrasse irreprensibile in
ogni cosa: (Tob. X, 13). Ecco a grandi tratti i doveri delle mogli
verso i mariti. Oh! fossero tutte le spose, tutte le madri di
famiglia altrettante copie viventi di Sara!
2°
Doveri dello sposo. — I doveri dei mariti verso le mogli sono di
amarle, di essere loro fedeli, di mantenerle, sopportarle ed
assisterle.
Uno
sposo è obbligato ad amare la sposa: niente di più giusto e più
legittimo; è questo per i due coniugi un dovere reciproco. Ma questo
solo non basta. Perché l’amore sia cristiano e gradito a Dio,
bisogna che si riferisca a Dio, come ad ultimo suo fine, che miri
alla sua gloria e abbia le qualità dell’amore di Gesù Cristo
verso la Chiesa. Senza di questo, ogni altro amore non ha nessun
valore innanzi a Dio, non ha carattere di cristiano. I pagani si
amavano di tale amore e se si possiede solo questo, non si è nulla
più che pagani. Che uno sposo ami la donna sua, è cosa buona e
legittima; ma il non amare niente altro è un delitto; infatti in tal
caso l’amore rimane nella creatura come in suo ultimo fine, e non
produce che frutti di corruzione e di morte...
Affinché
dunque un marito ami cristianamente la propria moglie deve, scrive S.
Paolo, amarla come Gesù Cristo amò la sua Chiesa. Come Gesù è
divenuto il capo della Chiesa in forza dell’unione che volle
contrarre con lei, come non ebbe in cuore altro se non la salute di
questa sposa di cui si fece il Redentore, così il fine dell’alleanza
che un marito stringe con la moglie, deve mirare a ciò, che si
santifichi con essa e le dia aiuto a salvarsi. Egli l’amerà come
un altro se medesimo, e siccome nessuno ama veramente se stesso, se
non amando Dio come suo vero bene, egli amerà in primo luogo Iddio
perfettamente e insegnerà alla sua sposa a fare lo stesso. Egli
procurerà di compiacerla in tutto ciò che non sarà contrario a
quello che deve a Dio...
Lo
sposo si ricordi che egli è il capo della donna ma in quel modo e
con quello spirito che Gesù Cristo è capo della Chiesa. Il
Salvatore governa la Chiesa come una sposa ch’egli considera come
carne e ossa sue, che tratta sempre con carità, e per la quale si è
immolato su la croce; così il marito deve considerare la propria
consorte come una porzione di se stesso, governarla con autorità
temperata da dolcezza, da discrezione, da carità; correggerla,
quando occorra, più con la persuasione che col comando, con
dimestichezza più che con alterigia, perché lo sposo non ha il
diritto di trattare con la moglie come un padrone coi servi. La donna
non fu tratta dal capo di Adamo, come se dovesse comandare; non dai
piedi, quasi ne fosse la schiava; ma dal fianco, per indicare che
deve esserne la compagna e, secondo la parola divina, un aiuto simile
a lui. Essa fu tolta dalla vicinanza del cuore, perché l’uomo
comprenda tutta la carità che per essa deve avere. Non è dunque
lecito al marito fare della moglie tutto ciò che gli pare e piace,
né trattarla da serva, né comandarle con alterigia, né
maltrattarla anche nel caso di gravi torti, né obbligarla a farsi
cieco strumento di ogni suo capriccio. Non sarebbe questo un operare
da cristiano, da uomo, che tiene nella casa il luogo di Gesù
Cristo...
Il
marito contrasse società con la sposa per mezzo del matrimonio, per
vivere in perfetta comunanza di spirito, di cuore, d’interesse, di
beni spirituali e temporali, di pietà, di religione, di salute. La
moglie è osso delle sue ossa, è carne della sua carne; ora chi ha
mai visto un uomo il quale non si curi del suo corpo e lo tratti con
durezza e con prepotenza? Anzi, ciascuno si dà ogni cura di nutrirlo
e mantenerlo; gli stessi riguardi deve usare con la consorte... Un
marito amoroso e fedele metterà a parte de’ suoi affari, con leatà
e confidenza, la propria moglie, e le domanderà consiglio, per
operare di buon accordo. È necessario per il bene della pace che
ciascuno ceda una parte de’ propri diritti...
Degli
altri doveri dei mariti, cioè la fedeltà, l’assistenza nei
bisogni corporali e spirituali, il compatimento, già abbiamo
parlato: essi sono gli stessi doveri che hanno le spose.
7. Il
matrimonio è inferiore alla verginità. — Scriveva S. Paolo ai
Corinzi: Buona cosa è per l’uomo starsene senza moglie. Non ne hai
tu ancora presa alcuna? non pensarci. Tuttavia, se vi ammogliate, non
fate male, e se una zitella va a marito, non pecca. Avranno però
costoro a patire tribolazione della carne... Io dunque vi dico che il
tempo è breve e che quelli i quali hanno moglie, vivano come se non
l’avessero... Io desidero che voi siate senza inquietudine; ora chi
non è ammogliato ha il pensiero alle cose del Signore, studia come
piacere a Dio. Invece chi ha preso moglie, cerca ciò che è del
mondo e la maniera di piacere alla sposa, ed è diviso. Così pure la
vergine pensa alle cose del Signore per essere santa di spirito e di
corpo; ma quella che ha marito, cura le cose del mondo e cerca di
ingraziarsi il consorte. Dunque chi marita la figlia sua fa bene, chi
non la marita fa meglio. (I Cor. VII,
26-38). E poco prima aveva detto: «Bramo che voi tutti siate come me
(celibe); ma ciascuno ha da Dio il suo dono, uno in un modo, uno in
un altro. Io dico ai non ammogliati ed ai vedovi che è bene per loro
starsene così, come sto io » (Ib. 7-8).
S.
Basilio vede nello stato coniugale un’officina di dolori (Constìt.
monast. c. II). L’Apostolo chiama tribolazioni della carne, le
prove che vanno congiunte al matrimonio, alla paternità, alla
famiglia. Egli contrappone tutto questo ai vani piaceri di cui si
pasce l’immaginazione degli imprudenti e dei ciechi; infatti le
cure, le noie, le pene, i fastidi, le malattie, i pericoli a cui va
esposto lo stato matrimoniale, superano e fanno pagare troppo care le
poche gioie che dà... Quanti patimenti, quanti pericoli non corre la
donna nel tempo: che porta in grembo e nell’ora in cui mette alla
luce il bambino! Quante cure e sollecitudini e fatiche per nutrire,
vestire ed allevare una famiglia! Che angosce, che trafitture quando
la prole muore!... Che impacci, che studi, che brighe per dare loro
una posizione, se campano!... Quante lagrime e quanti gemiti, se
traviano!... Per tutti questi malanni che toccano agii ammogliati, S.
Ambrogio e S. Agostano non ebbero mai cuore di consigliare a nessuno
le nozze...
Nella
Chiesa vi sono tre stati, disse S. Anselmo, vescovo dei Sassoni; la
verginità, il celibato, il matrimonio. Se volete conoscere la
differenza che passa tra di loro, eccovela: la verginità è l’oro,
il celibato è l’argento, il matrimonio è il ferro; la verginità
è l’opulenza, il celibato l’agiatezza, il matrimonio la povertà;
la verginità è la pace, il celibato, la libertà, il matrimonio, la
schiavitù; la verginità è il sole, il celibato una lampada, il
matrimonio tenebre; la verginità è una regina, il celibato un
signore, il coniugio un servo (De Laud. Virg. c. IX. — Biblioth.
Patr.). « Le nozze, dice S. Girolamo, popolano la terra, la
verginità popola il cielo » — Nuptiae terram replent, virginitas
paradisum (De Virg.).
Ma
intanto, dice S. Paolo, chi non può mantenersi nella continenza,
vada a matrimonio; è meglio maritarsi, che cedere alla tentazione: (I
Cor. VII, 9). Queste parole di S. Paolo sono commentate così da S.
Girolamo : « Quando una giovane non può o non vuole conservare la
continenza, le conviene meglio sposare un uomo, che un demonio ».
Il
matrimonio, questo stato degno di onore e che non va disgiunto da
gioie quando gli sposi hanno il timor di Dio e stanno uniti, è un
inferno quando succede il contrario. Se la donna che sposate è
capricciosa, bisbetica, malvagia, essa vi porterà in casa la guerra,
vi si presenterà come una bestia feroce; la sua lingua è uno stocco
affilato di fresco. Triste, penosa, deplorabile cosa, che colei la
quale dovrebbe essere aiuto e rimedio, sia tormento e veleno!
Intanto, o uomo, se tu non sei stato pio, se la donna ti è cagione
di perdita e di disgusto perché l’hai traviata tu stesso, cura con
la pazienza il male che essa ti fa. Ti serva essa da medico e da
chirurgo, per medicare le piaghe dell’anima tua: Dio l’adopera
con te e su di te, come una lama tagliente e sebbene il ferro tra le
mani del chirurgo non sappia quello che si fa, lo sa benissimo il
chirurgo, e questo basta. Benché una moglie persecutrice non sappia
quello che si fa, lo sa Dio e purché in voi vi sia pietà e
rassegnazione, ella vi salverà.
«
La donna rissosa, leggiamo nei Proverbi, è come un tetto che in
giorno di nebbia lascia gocciolare l’acqua. Chi vuole ammansarla,
vuole stringere in pugno il vento » (XXVII, 15-16). La donna e la nave non hanno mai
abbastanza di ornamenti, dice Plauto; chi dunque vuole aver da fare,
sposi una donna, o costruisca un vascello (Anton. in Meliss.).
«
La donna malvagia è il peggiore di tutti i mali! esclama il
Crisostomo; insoffribili e intrattabili sono i dragoni, malefici e
orribili sono gli aspidi, ma la cattiveria di una donna è più
terribile che le belve medesime. Una donna maligna non conosce
mitezza : se la battete severamente, infuria, se l’accarezzate,
alza le corna e s’inorgoglisce. È più facile fondere il ferro che
correggere una donna viziosa: chi si è sposato a una moglie
siffatta, deve riconoscere che ha ricevuto il castigo che meritavano
i suoi peccati. Non vi è mostro nel mondo che si possa paragonare
alla donna cattiva. Qual belva più feroce del leone? Nessuna, se non
una donna malvagia. Qual rettile più crudele del dragone? Nessun
altro fuorché la donna malvagia ». L’uomo che ha sposato una
femmina di questa sorte è il più sventurato degli uomini. Non gli
resta che un rimedio : la pazienza; ma questa pazienza gli procurerà
il cielo...
Quello
che si dice di un uomo ammogliato a donna senza virtù e senza
pudore, vale pure per una moglie virtuosa sposata a un marito
corrotto, libertino, ubriacone, collerico, vizioso. Che disgrazia è
mai per lei essere costretta ad abitare con un soggetto di tal fatta!
Che inferno! Poveretta! Ma via, si rassegni e preghi, Dio le darà
una ricca e splendida corona.
Quando
la donna è viziosa, il marito è infelicissimo, e viceversa; ora che
cosa sarà quando tutti e due gli sposi siano cattivi arnesi, senza
pazienza, né dolcezze, né religione, né castità? Non vi sono
espressioni che bastino a numerare e qualificare i malanni che
nascono da tale alleanza maledetta...
8. Il matrimonio profanato. — Vi sono degli sposi, dice la Sapienza, i quali non rispettano né la castità delle nozze, né la vita del matrimonio, uccidendosi l’un l’altro spiritualmente e facendosi reciproco oltraggio con cattivi costumi. Presso di loro tutto è disordine: il sangue, l’uccisione, il furto, la frode, la corruzione, l’infedeltà, la dimenticanza di Dio, l’ingratitudine, la profanazione delle anime, l’aborto, le dissolutezze dell'adulterio e dell’impudicizia, tutto è da loro insieme confuso e menato in trionfo (Sap. XIV, 24-26). Dove sono i figli che Dio destinava a vedere il giorno? Respingere nel nulla esistenze che dovevano avere per fine la vita eterna, che nefandità, che delitto, e quale conto ne dovranno rendere i colpevoli!
8. Il matrimonio profanato. — Vi sono degli sposi, dice la Sapienza, i quali non rispettano né la castità delle nozze, né la vita del matrimonio, uccidendosi l’un l’altro spiritualmente e facendosi reciproco oltraggio con cattivi costumi. Presso di loro tutto è disordine: il sangue, l’uccisione, il furto, la frode, la corruzione, l’infedeltà, la dimenticanza di Dio, l’ingratitudine, la profanazione delle anime, l’aborto, le dissolutezze dell'adulterio e dell’impudicizia, tutto è da loro insieme confuso e menato in trionfo (Sap. XIV, 24-26). Dove sono i figli che Dio destinava a vedere il giorno? Respingere nel nulla esistenze che dovevano avere per fine la vita eterna, che nefandità, che delitto, e quale conto ne dovranno rendere i colpevoli!
9.
Castighi riservati ai profanatori del matrimonio. — I figli degli
adulteri saranno infelici, sentenzia il Savio, e il frutto di un
letto impudico non arriverà alla maturità (Sap. III, 16). Onan
metteva ostacolo all’adempimento della volontà di Dio, facendo
azione detestabile, perciò Dio lo percosse di morte: (Gen. XXXVIII,
9-10). Un tale delitto viola la legge naturale e la santità del
matrimonio. E' paragonato da Dio medesimo all'omicidio e la Scrittura
lo chiama detestabile. Che nome dargli quando è commesso dai
cristiani? Molti genitori si lagnano delle disgrazie che loro piovono
addosso, delle infermità che travagliano i loro figli, della morte
che loro spietatamente li strappa. Giuste punizioni di Dio! Sposi
colpevoli, aprite gli occhi, riconoscete che avete calpestato i
vostri più sacri doveri, convertitevi, e la giustizia di Dio cesserà
dal percuotervi...
Perché
la casta Sara vide consecutivamente trucidati da un demonio, la prima
notte delle nozze, i sette sposi da lei impalmati? la ragione la
manifestò Raffaele a Tobia il quale, udendosela proporre in isposa,
ebbe il timore che la stessa sorte toccasse anche a lui: Se dài
retta a me, rispose l’angelo, non ti toccherà nulla di simile,
perché sai tu chi siano quei mariti sui quali ha potestà il
demonio? Sono quelli che abbracciano il matrimonio con tale
disposizione di animo, che scacciano Dio da sé e dalla loro mente, e
soddisfano la loro libidine come il cavallo e il mulo che non hanno
intelletto. Ma tu prenderai la sposa nel timor di Dio, mosso più dal
desiderio di prole che di libidine, per ottenere la benedizione
riservata alla stirpe di Abramo (Tob. VI, 11-22).
Prima
della legge mosaica, l’adultero presso i Giudei era bruciato vivo;
dopo, si lapidava (Levit. XX, 10). Gli Egizi punivano l’adulterio
negli uomini con cento colpi di verga; nelle donne, con recidere loro
il naso, affinché il loro disdoro non cessasse mai di essere
pubblico (Diod. Bibl. hist.). Presso gli Arabi, i Parti e altre
antiche nazioni, gli adulteri erano condannati alla decapitazione
(Ib.).
Il
re Tenedio stabilì per legge, che gli adulteri fossero segati per
metà e condannò a tale supplizio il suo medesimo figlio (Maxim.
Orat.). Nel suo nono libro delle Leggi, Platone decretò la morte
contro il fornicatore, e permise a chiunque di uccidere l'adultero.
Solone permetteva di uccidere chi fosse sorpreso in atto di adulterio
(Plutarco). Giulio Cesare, Augusto, Tiberio, Domiziano, Severo,
Aureliano, stabilirono gravi castighi contro gli adulteri. Aureliano,
per esempio, faceva legare i piedi dei colpevoli a due rami di alberi
piegati a viva forza, che poi, essendo lasciati ritornare alla loro
posizione naturale, squartavano il corpo del condannato (C. Aelian.,
Var. histor. Lib. X, c. VI). Macrino, successore, di Caracalla, li
faceva bruciare vivi (Alex.) Maometto medesimo ordinò che sia
inflitta all'adultero la pena di cento colpi di bastone.
I
Sarmati, per testimonianza, di Orosio, uccidevano le donne adultere,
o le vendevano schiave. I Sassoni, ancor pagani, costringevano
l'adultera ad impiccarsi, e mettevano il complice pubblicamente su un
rogo, cui appiccavano ii fuoco (S. Bonif. Epist.).
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