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lunedì 25 agosto 2014

MATRIMONIO

1. Chi vuole abbracciare lo stato coniugale, deve prepararvisi. — 2. Scopo che deve proporsi chi va a matrimonio. — 3. Di quale benedizione si serva la Chiesa per santificare il matrimonio. — 4. Il matrimonio è degno di rispetto. — 5. Quale unione deve esistere tra gli sposi. — 6. Doveri dei coniugi: 1° Doveri della sposa; 2° Doveri dello sposo. — 7. Il matrimonio è inferiore alla verginità. — 8. Il matrimonio profanato. — 9. Castighi riservati ai profanatori del matrimonio.

1. Chi vuole abbracciare lo stato coniugale, deve prepararvisi. — Udite innanzi tutto a questo proposito ravviso del concilio di Trento :
« Esorta la santa Sinodo i fidanzati, che prima di contrarre il vincolo, o almeno tre giorni avanti di consumare il matrimonio, confessino diligentemente i loro peccati, e si accostino devotamente alla santa Eucaristia ».
« Casa e ricchezze ci vengono dai parenti, leggiamo nei Proverbi, ma solo da Dio ci viene la sposa assennata » (XIX, 14). E l'Ecclesiastico: « Marita la figlia tua e avrai fatto gran cosa; ma dalla ad un uomo saggio » (VII, 27). Ora, se è Dio solo che dà una moglie assennata, e i parenti fanno buona cosa solo quando uniscono la loro figlia a uno sposo prudente, ne consegue che è necessario prepararsi, come conviene a buoni cristiani, prima di entrare nello stato coniugale... D’altronde poiché il matrimonio cristiano è stato elevato da Gesù Cristo al grado di sacramento dei vivi, ognuno vede che bisogna accostarvisi con le dovute disposizioni; da queste poi dipende la felicità e l’infelicità degli sposi.
Bisogna apparecchiarvisi principalmente con la prudenza, con la preghiera, con la modestia; si consultino il proprio confessore ed i parenti; si cerchino informazioni su la persona che si vuole sposare, su la sua pietà, condotta e onoratezza... Si preparano forse così la maggior parte degli uomini al matrimonio?... Volesse il Cielo che la preparazione di molti non fosse invece una catena di scandali e di peccati! si profana questo grande sacramento, e invece di meritare la benedizione, si riceve la maledizione... Non ci sfugga di mente che Gesù Cristo, la sua santa Madre e gli apostoli furono invitati e intervennero alle nozze di Cana : così si deve fare in ogni matrimonio cristiano.

2. Scopo che deve proporsi chi va a matrimonio. — Triplice è il fine al quale deve mirare chi vuole contrarre matrimonio con timore e amor di Dio: 1° di ricevere degnamente questo sacramento e di non mai profanarlo; 2° di conservare la fedeltà coniugale; 3° di allevare piamente la prole che Dio sarà per concedere... Questi doveri sono sacri e gli sposi cristiani devono averli in cima dei loro disegni.

3. Di quale benedizione si serva la Chiesa per santificare il matrimonio. — Per benedire un matrimonio, la Chiesa toglie le sue espressioni alla sacra Scrittura, e adopera le parole usate già da Raguele nello sposare Tobia e Sara: ((Il Dio di Abramo, d’Isacco, di Giacobbe sia con voi; vi unisca egli medesimo e adempia in voi la sua benedizione » (Tob. VII, 15). Dopo di aver domandato agli sposi il loro mutuo consenso, la Chiesa pronunzia per bocca del suo ministro che la rappresenta, questa formola solenne: « Io vi congiungo in matrimonio, nel nome del Padre, del Figliuolo, dello Spirito Santo » (Ritual. rom.)... Santo è dunque il matrimonio, e tre volte santo... Guai a chi lo profana!...
 
4. Il matrimonio è degno di rispetto. — « Onorevole in ogni cosa è il matrimonio, dice l’Apostolo, ed il letto immacolato; i fornicatori e gli adulteri li giudicherà Iddio » (Hebr. XIII, 4). « Guàrdati, flgliuol mio, diceva Tobia, guàrdati da ogni fornicazione, e non ti prenda, mai la voglia di conoscere altra donna che la tua » (Tob. IV, 13).
Platone medesimo già stabiliva che nessuno osasse accostarsi ad altra donna che non fosse la propria legittima moglie, e che la fedeltà nel matrimonio fosse sacra.

5. Quale unione deve esistere tra gli sposi. — L’unione che deve esistere tra gli sposi, risulta chiara dallo scopo che ebbe Dio, e dal modo che tenne nel formare e presentare ad Adamo la prima donna. « Facciamo ad Adamo, disse il Signore, un aiuto simile a lui » (Gen. II, 18). « E fattolo cadere in un profondo sonno, gli tolse una delle coste e con essa formò la donna. Appena Adamo la vide, uscì in queste parole: Questo è osso delle mie ossa, e carne della mia carne. Perciò abbandonerà l’uomo il padre e la madre sua, e starà congiunto alla sua donna, e saranno due in una sola carne » (Gen. II, 21-24). Ora ecco la spiegazione di Gesù Cristo: «In virtù di quest’origine, gli sposi non son due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi quello che Dio ha congiunto » (Matth. XIX, 6). Quindi il Savio, tra le tre cose che dice piacere sopra tutte le altre a Dio, pone questa, cioè un marito ed una moglie così d’accordo, che formino un cuore ed un’anima sola: (Eccli. XXV, 1-2).
Gli sposi sono e per il consenso che precede il connubio e per il contratto e il sacramento del matrimonio, e per l’abitazione e la tavola comune, e per il letto nuziale, così intimamente congiunti, che formano una sola persona civile; perciò si chiamano coniugi (coniuges) quasi uniti a un giogo. Se vivono nella pace, nella concordia, nella fedeltà, la loro vita è piacevole, gradita e santa; se invece vivono in discordie, in alterchi e risse, trascinano giorni di amarezza e d’inferno. Quando due buoi o due cavalli aggiogati camminano d’ugual passo, avanzano senza stento ed hanno molto maggior forza; ma se non si muovono d’accordo, soffrono tutti e due, sentono più grave il peso del lavoro, e meno facilmente adempiono il loro compito. Lo stesso è dei coniugati...
Il principio e la vita dell’unione coniugale sta nell’amore reciproco... Perché esista tra gli sposi un’armonia perfetta, si richiede: 1° identità di religione, di fede, di pietà; 2° uguaglianza di carattere...; 3° parità di condizione...; 4° affetto reciproco...; 5° risoluzione di dividere tanto le gioie quanto le pene del loro stato...; 6° la pace e la concordia in seno alla famiglia... Se agli sposi sta a cuore il godere di questi beni, preghino Iddio e lo servano. Quando siano uniti a Dio per l’orazione e l’amore, saranno anche uniti tra di loro; sia perché due cose che sono unite a una terza, lo sono anche tra se; sia perché l’amore con cui si ama Dio e quello con cui si ama il prossimo in riguardo a Dio, sono in sostanza, e specialmente negli sposi, un medesimo amore...
 
6. Doveri dei coniugi. — 1° Doveri della sposa. I doveri di una moglie verso il marito consistono nell’onorarlo, rispettarlo, amarlo, essergli fedele, sopportarne i difetti e assisterlo.
1) L’onore ed il rispetto dovuti dalla sposa allo sposo importano ch'essa e nel parlare di lui e nel parlare a lui medesimo usi sempre termini rispettosi, adoperi un linguaggio che denoti la stima in cui essa tiene la persona di lui; ne procuri in tutto la buona fama, non badando ai segreti disgusti che forse le arrechi, e mantenga alto silenzio su le mancanze in cui egli cade. Tutte le sante donne delle quali si parla nella santa Scrittura, osservarono puntualmente questa norma ed onorarono gli sposi loro, tenendo con essi un linguaggio di onore e di rispetto. Sara non chiamava mai Abramo con altro titolo che con quello di suo signore (Gen. XVIII, 12). Il medesimo nome dava Rebecca ad Isacco, perché vedeva nella persona di lui la maestà di Dio e pensava che l’onore che essa gli rendeva, si riverberava sopra di lei medesima. Così pure Anna, madre di Samuele, e la madre del giovane Tobia, furono ragguardevoli per le testimonianze di riverenza che diedero ai loro mariti.
2) La sposa deve nutrire per il suo marito, un amore intero e costante, un amore figlio della castità coniugale, un amore spirituale e santo. Essa guadagnerà il marito suo alla pietà meglio ancora con l’esempio che con la parola piena di soavità e di dolcezza; questa però non la risparmierà mai ogni volta che le si presenterà l’occasione favorevole di mettergli in orrore il vizio e la dissolutezza, se per disgrazia il marito ne ha bisogno. L’amore di una moglie deve rivolgersi non tanto a quello che sa di sensibile e di carnale, quanto a ciò che ne riguarda la salvezza; deve quindi impegnarla a fargli in tempo e luogo conveniente salutari rimostranze, maneggiandosi secondo i suggerimenti della prudenza. Non vi è cosa che più eserciti potere ed efficacia nel cuore di un uomo, quanto la voce di una moglie virtuosa; ma bisogna per ciò saper scegliere i momenti, cercare i modi più adatti alla buona riuscita. Scagliarsi contro il marito e rimproverarlo e tempestarlo mentre è tuttavia cotto dal vino o infiammato dalla passione, è una imprudenza le cui conseguenze riescono sommamente pericolose e funeste. Bisogna che l’amore renda ingegnose le donne ad insinuarsi nel cuore dei loro mariti prima di arrischiarsi a dire quello che naturalmente a costoro non garba; ed innanzi tutto devono pregare con fervore e con assiduità per ottenerne il ravvedimento e la conversione.
3) La moglie deve stare sottomessa al marito, come la Chiesa sta soggetta a Gesù Cristo in tutto ciò che è secondo il Signore. Dio medesimo sottomise la donna all’uomo, in punizione della sua disobbedienza. Essa è dunque tenuta ad obbedire in tutto ciò che è secondo Dio, cioè in quelle cose che non contrariano né l’onore di Dio, né la carità del prossimo. Ma se un marito esigesse dalla moglie cosa contraria alla legge di Dio, alla religione, al pudore, alla modestia, insomma a’ suoi sacrosanti doveri, non gli dovrebbe punto obbedire, perché obbedendo a lui disobbedirebbe a Dio, a Gesù Cristo, alla religione, alla virtù, alla coscienza...
Negli affari indifferenti, in cui non ci sta di mezzo la religione, né si fa torto alla sana ragione, è debito della donna arrendersi al piacere del marito. Similmente quando insorgono dispareri, la donna deve cedere, perché il calore della disputa non rompa l’unione, la concordia, e la carità che deve regnare fra di loro due. Conviene alla donna conservare la calma e la tranquillità di spirito necessari alla pietà ed al servizio di Dio, il non dare cattivo esempio ai figli ed ai domestici, il non avvezzarli a mancare di rispetto o di sottomissione, a piatire o rimbeccare quando loro si parla. Ancorché il marito in qualche caso avesse torto, la moglie dovrebbe procedere con grande riservatezza, specialmente in presenza dei ragazzi e dei suoi. Non deve rimbeccare quello che può sfuggire di bocca al marito mentre è in bizza e fuori di cervello, per non inasprirlo, e per non metterlo in puntiglio, con pericolo di conseguenze più dolorose.
Appunto per la trascuranza di queste regole, dettate dalla prudenza e dalla carità, parecchie donne mancano al dovere principale loro imposto dalla religione, di sopportare i propri mariti, ancorché ne ricevano senza motivo cattivi trattamenti. In queste difficili occorrenze, la loro obbedienza riuscirebbe tanto più preziosa agli occhi di Dio, quanto più, nulla avendovi d’umano, comparirebbe fondata unicamente su la carità cristiana. Ma ahimè! quante ve ne sono le quali, invece di vincere i loro sposi con la dolcezza, rimbeccano con ingiurie una parola un po’ duretta; che cominciano dal versare in capo al marito, alle volte abbrutito dalle dissolutezze e incapace di comprendere che ha torto, un diluvio di rimproveri, d’invettive, d’imprecazioni! Quindi i giuramenti, le bestemmie, le collere, le minacce, le brutalità, gli scandali, i disordini che, secondo l’espressione di S. Gerolamo, fanno di tali case un’immagine anticipata dell’inferno.
4) Occorre forse ricordare alle spose ch’esse devono mantenere inviolata la fedeltà giurata ai piedi degli altari? Chiunque abbia una leggera tintura dei principi del Cristianesimo, o darà retta anche solo alla ragione, non si illuderà sulla gravità di certi disordini dei quali non solamente i pagani, ma perfino le più barbare nazioni, come i Cafri brutali e gli Oceanici antropofagi ebbero ed hanno maggior orrore, che non certi sedicenti cristiani del secolo corrotto.
5) Devono sopportare con pazienza e rassegnazione i loro mariti e tollerare con pazienza le debolezze, i difetti e le infermità che alle volte possono avere.
6) Finalmente devono ai loro consorti ogni sorta di assistenza, e corporale e spirituale...
La Scrittura c’insegna che i genitori di Sara ravvisarono e le inculcarono che rispettasse i suoceri, amasse il marito, educasse la figliuolanza, governasse la famiglia e si mostrasse irreprensibile in ogni cosa: (Tob. X, 13). Ecco a grandi tratti i doveri delle mogli verso i mariti. Oh! fossero tutte le spose, tutte le madri di famiglia altrettante copie viventi di Sara!
2° Doveri dello sposo. — I doveri dei mariti verso le mogli sono di amarle, di essere loro fedeli, di mantenerle, sopportarle ed assisterle.
Uno sposo è obbligato ad amare la sposa: niente di più giusto e più legittimo; è questo per i due coniugi un dovere reciproco. Ma questo solo non basta. Perché l’amore sia cristiano e gradito a Dio, bisogna che si riferisca a Dio, come ad ultimo suo fine, che miri alla sua gloria e abbia le qualità dell’amore di Gesù Cristo verso la Chiesa. Senza di questo, ogni altro amore non ha nessun valore innanzi a Dio, non ha carattere di cristiano. I pagani si amavano di tale amore e se si possiede solo questo, non si è nulla più che pagani. Che uno sposo ami la donna sua, è cosa buona e legittima; ma il non amare niente altro è un delitto; infatti in tal caso l’amore rimane nella creatura come in suo ultimo fine, e non produce che frutti di corruzione e di morte...
Affinché dunque un marito ami cristianamente la propria moglie deve, scrive S. Paolo, amarla come Gesù Cristo amò la sua Chiesa. Come Gesù è divenuto il capo della Chiesa in forza dell’unione che volle contrarre con lei, come non ebbe in cuore altro se non la salute di questa sposa di cui si fece il Redentore, così il fine dell’alleanza che un marito stringe con la moglie, deve mirare a ciò, che si santifichi con essa e le dia aiuto a salvarsi. Egli l’amerà come un altro se medesimo, e siccome nessuno ama veramente se stesso, se non amando Dio come suo vero bene, egli amerà in primo luogo Iddio perfettamente e insegnerà alla sua sposa a fare lo stesso. Egli procurerà di compiacerla in tutto ciò che non sarà contrario a quello che deve a Dio...
Lo sposo si ricordi che egli è il capo della donna ma in quel modo e con quello spirito che Gesù Cristo è capo della Chiesa. Il Salvatore governa la Chiesa come una sposa ch’egli considera come carne e ossa sue, che tratta sempre con carità, e per la quale si è immolato su la croce; così il marito deve considerare la propria consorte come una porzione di se stesso, governarla con autorità temperata da dolcezza, da discrezione, da carità; correggerla, quando occorra, più con la persuasione che col comando, con dimestichezza più che con alterigia, perché lo sposo non ha il diritto di trattare con la moglie come un padrone coi servi. La donna non fu tratta dal capo di Adamo, come se dovesse comandare; non dai piedi, quasi ne fosse la schiava; ma dal fianco, per indicare che deve esserne la compagna e, secondo la parola divina, un aiuto simile a lui. Essa fu tolta dalla vicinanza del cuore, perché l’uomo comprenda tutta la carità che per essa deve avere. Non è dunque lecito al marito fare della moglie tutto ciò che gli pare e piace, né trattarla da serva, né comandarle con alterigia, né maltrattarla anche nel caso di gravi torti, né obbligarla a farsi cieco strumento di ogni suo capriccio. Non sarebbe questo un operare da cristiano, da uomo, che tiene nella casa il luogo di Gesù Cristo...
Il marito contrasse società con la sposa per mezzo del matrimonio, per vivere in perfetta comunanza di spirito, di cuore, d’interesse, di beni spirituali e temporali, di pietà, di religione, di salute. La moglie è osso delle sue ossa, è carne della sua carne; ora chi ha mai visto un uomo il quale non si curi del suo corpo e lo tratti con durezza e con prepotenza? Anzi, ciascuno si dà ogni cura di nutrirlo e mantenerlo; gli stessi riguardi deve usare con la consorte... Un marito amoroso e fedele metterà a parte de’ suoi affari, con leatà e confidenza, la propria moglie, e le domanderà consiglio, per operare di buon accordo. È necessario per il bene della pace che ciascuno ceda una parte de’ propri diritti...
Degli altri doveri dei mariti, cioè la fedeltà, l’assistenza nei bisogni corporali e spirituali, il compatimento, già abbiamo parlato: essi sono gli stessi doveri che hanno le spose.

7. Il matrimonio è inferiore alla verginità. — Scriveva S. Paolo ai Corinzi: Buona cosa è per l’uomo starsene senza moglie. Non ne hai tu ancora presa alcuna? non pensarci. Tuttavia, se vi ammogliate, non fate male, e se una zitella va a marito, non pecca. Avranno però costoro a patire tribolazione della carne... Io dunque vi dico che il tempo è breve e che quelli i quali hanno moglie, vivano come se non l’avessero... Io desidero che voi siate senza inquietudine; ora chi non è ammogliato ha il pensiero alle cose del Signore, studia come piacere a Dio. Invece chi ha preso moglie, cerca ciò che è del mondo e la maniera di piacere alla sposa, ed è diviso. Così pure la vergine pensa alle cose del Signore per essere santa di spirito e di corpo; ma quella che ha marito, cura le cose del mondo e cerca di ingraziarsi il consorte. Dunque chi marita la figlia sua fa bene, chi non la marita fa meglio. (I Cor. VII, 26-38). E poco prima aveva detto: «Bramo che voi tutti siate come me (celibe); ma ciascuno ha da Dio il suo dono, uno in un modo, uno in un altro. Io dico ai non ammogliati ed ai vedovi che è bene per loro starsene così, come sto io » (Ib. 7-8).
S. Basilio vede nello stato coniugale un’officina di dolori (Constìt. monast. c. II). L’Apostolo chiama tribolazioni della carne, le prove che vanno congiunte al matrimonio, alla paternità, alla famiglia. Egli contrappone tutto questo ai vani piaceri di cui si pasce l’immaginazione degli imprudenti e dei ciechi; infatti le cure, le noie, le pene, i fastidi, le malattie, i pericoli a cui va esposto lo stato matrimoniale, superano e fanno pagare troppo care le poche gioie che dà... Quanti patimenti, quanti pericoli non corre la donna nel tempo: che porta in grembo e nell’ora in cui mette alla luce il bambino! Quante cure e sollecitudini e fatiche per nutrire, vestire ed allevare una famiglia! Che angosce, che trafitture quando la prole muore!... Che impacci, che studi, che brighe per dare loro una posizione, se campano!... Quante lagrime e quanti gemiti, se traviano!... Per tutti questi malanni che toccano agii ammogliati, S. Ambrogio e S. Agostano non ebbero mai cuore di consigliare a nessuno le nozze...
Nella Chiesa vi sono tre stati, disse S. Anselmo, vescovo dei Sassoni; la verginità, il celibato, il matrimonio. Se volete conoscere la differenza che passa tra di loro, eccovela: la verginità è l’oro, il celibato è l’argento, il matrimonio è il ferro; la verginità è l’opulenza, il celibato l’agiatezza, il matrimonio la povertà; la verginità è la pace, il celibato, la libertà, il matrimonio, la schiavitù; la verginità è il sole, il celibato una lampada, il matrimonio tenebre; la verginità è una regina, il celibato un signore, il coniugio un servo (De Laud. Virg. c. IX. — Biblioth. Patr.). « Le nozze, dice S. Girolamo, popolano la terra, la verginità popola il cielo » — Nuptiae terram replent, virginitas paradisum (De Virg.).
Ma intanto, dice S. Paolo, chi non può mantenersi nella continenza, vada a matrimonio; è meglio maritarsi, che cedere alla tentazione: (I Cor. VII, 9). Queste parole di S. Paolo sono commentate così da S. Girolamo : « Quando una giovane non può o non vuole conservare la continenza, le conviene meglio sposare un uomo, che un demonio ».
Il matrimonio, questo stato degno di onore e che non va disgiunto da gioie quando gli sposi hanno il timor di Dio e stanno uniti, è un inferno quando succede il contrario. Se la donna che sposate è capricciosa, bisbetica, malvagia, essa vi porterà in casa la guerra, vi si presenterà come una bestia feroce; la sua lingua è uno stocco affilato di fresco. Triste, penosa, deplorabile cosa, che colei la quale dovrebbe essere aiuto e rimedio, sia tormento e veleno! Intanto, o uomo, se tu non sei stato pio, se la donna ti è cagione di perdita e di disgusto perché l’hai traviata tu stesso, cura con la pazienza il male che essa ti fa. Ti serva essa da medico e da chirurgo, per medicare le piaghe dell’anima tua: Dio l’adopera con te e su di te, come una lama tagliente e sebbene il ferro tra le mani del chirurgo non sappia quello che si fa, lo sa benissimo il chirurgo, e questo basta. Benché una moglie persecutrice non sappia quello che si fa, lo sa Dio e purché in voi vi sia pietà e rassegnazione, ella vi salverà.
« La donna rissosa, leggiamo nei Proverbi, è come un tetto che in giorno di nebbia lascia gocciolare l’acqua. Chi vuole ammansarla, vuole stringere in pugno il vento » (XXVII, 15-16). La donna e la nave non hanno mai abbastanza di ornamenti, dice Plauto; chi dunque vuole aver da fare, sposi una donna, o costruisca un vascello (Anton. in Meliss.).
« La donna malvagia è il peggiore di tutti i mali! esclama il Crisostomo; insoffribili e intrattabili sono i dragoni, malefici e orribili sono gli aspidi, ma la cattiveria di una donna è più terribile che le belve medesime. Una donna maligna non conosce mitezza : se la battete severamente, infuria, se l’accarezzate, alza le corna e s’inorgoglisce. È più facile fondere il ferro che correggere una donna viziosa: chi si è sposato a una moglie siffatta, deve riconoscere che ha ricevuto il castigo che meritavano i suoi peccati. Non vi è mostro nel mondo che si possa paragonare alla donna cattiva. Qual belva più feroce del leone? Nessuna, se non una donna malvagia. Qual rettile più crudele del dragone? Nessun altro fuorché la donna malvagia ». L’uomo che ha sposato una femmina di questa sorte è il più sventurato degli uomini. Non gli resta che un rimedio : la pazienza; ma questa pazienza gli procurerà il cielo...
Quello che si dice di un uomo ammogliato a donna senza virtù e senza pudore, vale pure per una moglie virtuosa sposata a un marito corrotto, libertino, ubriacone, collerico, vizioso. Che disgrazia è mai per lei essere costretta ad abitare con un soggetto di tal fatta! Che inferno! Poveretta! Ma via, si rassegni e preghi, Dio le darà una ricca e splendida corona.
Quando la donna è viziosa, il marito è infelicissimo, e viceversa; ora che cosa sarà quando tutti e due gli sposi siano cattivi arnesi, senza pazienza, né dolcezze, né religione, né castità? Non vi sono espressioni che bastino a numerare e qualificare i malanni che nascono da tale alleanza maledetta...

8. Il matrimonio profanato. — Vi sono degli sposi, dice la Sapienza, i quali non rispettano né la castità delle nozze, né la vita del matrimonio, uccidendosi l’un l’altro spiritualmente e facendosi reciproco oltraggio con cattivi costumi. Presso di loro tutto è disordine: il sangue, l’uccisione, il furto, la frode, la corruzione, l’infedeltà, la dimenticanza di Dio, l’ingratitudine, la profanazione delle anime, l’aborto, le dissolutezze dell'adulterio e dell’impudicizia, tutto è da loro insieme confuso e menato in trionfo (Sap. XIV, 24-26). Dove sono i figli che Dio destinava a vedere il giorno? Respingere nel nulla esistenze che dovevano avere per fine la vita eterna, che nefandità, che delitto, e quale conto ne dovranno rendere i colpevoli!

9. Castighi riservati ai profanatori del matrimonio. — I figli degli adulteri saranno infelici, sentenzia il Savio, e il frutto di un letto impudico non arriverà alla maturità (Sap. III, 16). Onan metteva ostacolo all’adempimento della volontà di Dio, facendo azione detestabile, perciò Dio lo percosse di morte: (Gen. XXXVIII, 9-10). Un tale delitto viola la legge naturale e la santità del matrimonio. E' paragonato da Dio medesimo all'omicidio e la Scrittura lo chiama detestabile. Che nome dargli quando è commesso dai cristiani? Molti genitori si lagnano delle disgrazie che loro piovono addosso, delle infermità che travagliano i loro figli, della morte che loro spietatamente li strappa. Giuste punizioni di Dio! Sposi colpevoli, aprite gli occhi, riconoscete che avete calpestato i vostri più sacri doveri, convertitevi, e la giustizia di Dio cesserà dal percuotervi...
Perché la casta Sara vide consecutivamente trucidati da un demonio, la prima notte delle nozze, i sette sposi da lei impalmati? la ragione la manifestò Raffaele a Tobia il quale, udendosela proporre in isposa, ebbe il timore che la stessa sorte toccasse anche a lui: Se dài retta a me, rispose l’angelo, non ti toccherà nulla di simile, perché sai tu chi siano quei mariti sui quali ha potestà il demonio? Sono quelli che abbracciano il matrimonio con tale disposizione di animo, che scacciano Dio da sé e dalla loro mente, e soddisfano la loro libidine come il cavallo e il mulo che non hanno intelletto. Ma tu prenderai la sposa nel timor di Dio, mosso più dal desiderio di prole che di libidine, per ottenere la benedizione riservata alla stirpe di Abramo (Tob. VI, 11-22).
Prima della legge mosaica, l’adultero presso i Giudei era bruciato vivo; dopo, si lapidava (Levit. XX, 10). Gli Egizi punivano l’adulterio negli uomini con cento colpi di verga; nelle donne, con recidere loro il naso, affinché il loro disdoro non cessasse mai di essere pubblico (Diod. Bibl. hist.). Presso gli Arabi, i Parti e altre antiche nazioni, gli adulteri erano condannati alla decapitazione (Ib.).
Il re Tenedio stabilì per legge, che gli adulteri fossero segati per metà e condannò a tale supplizio il suo medesimo figlio (Maxim. Orat.). Nel suo nono libro delle Leggi, Platone decretò la morte contro il fornicatore, e permise a chiunque di uccidere l'adultero. Solone permetteva di uccidere chi fosse sorpreso in atto di adulterio (Plutarco). Giulio Cesare, Augusto, Tiberio, Domiziano, Severo, Aureliano, stabilirono gravi castighi contro gli adulteri. Aureliano, per esempio, faceva legare i piedi dei colpevoli a due rami di alberi piegati a viva forza, che poi, essendo lasciati ritornare alla loro posizione naturale, squartavano il corpo del condannato (C. Aelian., Var. histor. Lib. X, c. VI). Macrino, successore, di Caracalla, li faceva bruciare vivi (Alex.) Maometto medesimo ordinò che sia inflitta all'adultero la pena di cento colpi di bastone.
I Sarmati, per testimonianza, di Orosio, uccidevano le donne adultere, o le vendevano schiave. I Sassoni, ancor pagani, costringevano l'adultera ad impiccarsi, e mettevano il complice pubblicamente su un rogo, cui appiccavano ii fuoco (S. Bonif. Epist.).

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