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sabato 30 agosto 2014

IMPURITA' (2)

4. I piaceri della carne sono cosa da poco, pieni di amarezza, e di molestie. — 5. Quali sono le principali cause dell’impurità? — 6. in quanti modi si cade nel vizio della disonestà. — 7. Quanto sia difficile uscire dall’impurità. — 8. Castighi e dannazione dell’impudico. — 9. Rimedi contro l’impurità.

4. I piaceri della carne sono cosa da poco, pieni di amarezza e di molestie. — L’uomo è fatto per Iddio e nessuna creatura può appagarlo; il suo cuore è insaziabile perché è quasi immenso ne’ suoi desideri; solo Iddio, come bene immenso ed infinito, può appagarli. «Può bene, dice S. Bernardo, l’anima ragionevole occuparsi di mille oggetti, ma nessuno non può riempirla ». Se ciò è vero in quanto ad ogni sorta di beni, di piaceri, di gioie che l’uomo può ricavare dalla terra, dal mondo, dalle passioni, è più che mai evidente se si applica ai piaceri che il disonesto trae dalla carne. Che cosa resta infatti all’incontinente, dopo lo sfogo della sua passione?... Perché cerca avido nuovi godimenti?... O come è povera la voluttà! Non può nutrire né l’anima, né la mente, né il cuore e intanto stanca e uccide il corpo; scava un abisso spaventoso nell'interno dell’uomo. Ecco tutto il guadagno!
Che cosa trova l’uomo nei piaceri carnali? V’incontra la viltà e la miseria..., l’inutilità..., l’insaziabilità..., la brevità..., l’instabilità..., la falsità ..., l’insensibilità..., l’infedeltà..., il disinganno..., l’incertezza..., un monte di croci.
« La voluttà è tanto poca cosa, dice Seneca, che svanisce l’istante medesimo in cui si gusta; tocca già al fine, quando è appena cominciata ». Ma pensate, dice S. Agostino, che « se momentaneo è ciò che diletta, eterno sarà quello che tormenta ».
Se per ogni peccato, come osserva S. Bernardo, il godimento passa e più non torna, ma l’affanno rimane e più non parte; tanto più questo si avvera nel peccato dell’incontinenza. Quindi nei piaceri carnali succede al voluttuoso il rovescio dei suoi desideri. Egli vorrebbe che il diletto rimanesse sempre e non mescolato di angoscia e questo non ha luogo. Vorrebbe che la melanconia e l’affanno non venissero mai a intorbidare il godimento, ed essi sono sempre alle porte del suo cuore per cacciarne il piacere non appena vi ha posto piede. Vorrebbe la soddisfazione della carne senza la punizione del peccato, e prova il castigo senza gustare il piacere. Infatti la suprema giustizia di Dio non si regola, né può regolarsi a norma dei colpevoli desideri del dissoluto. No, Dio non consulta, per punire giustamente, i voti e i disegni del lussurioso, che sono così ingiusti. Impudico, tu brami adunque piaceri eterni senza mistura di amarezza; ma sappi che non ti sarà mai dato di trovare ciò nelle tue passioni. Soffoca le tue passioni e allora avrai ucciso l’affanno; ritorna a Dio con animo ravveduto e sincero e vedrai pienamente soddisfatta la tua voglia di veri piaceri ed eterni. Questo desiderio di godere sempre dei piaceri,
afferma che il tuo cuore è fatto per Iddio. Quello che nella voluttà solletica e blandisce, presto scompare; quello che è triste, amaro, vergognoso e pungente viene di galoppo e rimane. Questa è giustizia... « Osservate, dice Platone, la differenza che vi passa tra la virtù ed il vizio: all’effimera dolcezza della voluttà, succede una pena continua, dolori ed ansietà perpetue; alle corte e lievi pene della virtù succedono la pace e la felicità eterna » (Lib. de Republ).
« Me infelice! esclamava Gionata, ho appena gustato un po’ di miele, ed eccomi condannato a morte » (I Reg. XIV, 43). Non cessino mai queste parole dal risonare nelle orecchie dei disonesti e se ne facciano l’applicazione. Sì, la voluttà spreme su le labbra dell’impudico una sola stilla di miele, per poi affogarlo in un mare di fiele; mentre nella purità una leggera amarezza si perde ben tosto in un oceano di dolcezza... « Un istante di voluttà, dice S. Agostino, prepara all’anima infelice un obbrobrio ed un tormento eterno ». « È stoltissimo, dice San Cirillo, colui che si uccide col piacere e tanto più grande è la sua stoltezza quanto più irreparabile è la sua rovina ». La dolcezza del piacere carnale è la lubricità del verme che si pasce della corruzione(Iob. XXIV, 20); e ai lussuriosi si può applicare quel detto di Osea: — Comedistis frugem mendacii (Ose. X, 13). Voi avete mangiato il frutto di menzogna; perché la concupiscenza promette la felicità e non dà che tormenti; è una sirena incantatrice che attira, ammalia, addormenta, per divorare.
« La voluttà, dicono i Proverbi, distilla il miele su le labbra, ma in fondo alle viscere diventa assenzio e le strazia come spada a doppio taglio » (Prov. V, 3-4). Come queste parole piene di verità si adempiono esattamente nei disonesti! L’amarezza di quest’assenzio e la punta di questa spada, si sentono dai lussuriosi nelle loro malattie, nella perdita della fortuna, della sanità, del riposo, della tranquillità; nella confusione, nel disonore, nei rimorsi, nei litigi, nelle risse, nelle noie, nei dispiaceri, nel pianto, nella disperazione, nella morte, nella condanna, nella eterna riprovazione che li aspetta.
La dissolutezza avvelena la vita, abbrevia i giorni; è un piacere pernicioso, simile al frutto di cui Dio aveva proibito ad Adamo di mangiare, sotto pena di morte:(Gen. II, 17). La concupiscenza, il demonio, il mondo dicono, come Satana al primo uomo: Vana paura; invece di morirne, se gustate di questa dolcezza, sarete felici come Dio (Ib. III, 4-5). Maledetta concupiscenza! tu prometti al disonesto diletti e gioie, ma se questi ti dà retta, gl'ene deriva disgusto, rimorso, vergogna; sì, egli diventa simile agli dèi, ma agli dèi delle favole, dèi adulteri ed infami, dèi corrotti e bestiali, degni idoli dei lupanari. « O cielo, esclama S. Agostino, quante calamità, quanti affanni vanno insieme con i piaceri carnali! quante sollecitudini e angosce non costano in questa vita, senza contare poi l'inferno. Guardati, o lussurioso, che tu già non sii inferno a te stesso fin d’ora ».
« Vivo è il colore delle rose, dice S. Fulgenzio, ma il gambo loro è irto di spine; bella figura della libidine! ha anch’essa il suo rossore per l’obbrobrio che fa alla verecondia, ma non si può toccare senza essere lacerati dalla spina del peccato. E come la rosa diletta, ma in breve svanisce, così la voluttà solletica un momento, poi fugge per sempre ». Ma fuggendo vi lascia, nefasta eredità! i germi di perniciosissima malattia, come scrive S. Leone; o, come dice S. Pier Damiani, vi abbandona, vittime destinate alla morte eterna, in balìa del demonio, il quale si ciberà di voi come di ghiottissima vivanda.
Nei voluttuosi si avvera quella minaccia di Dio al popolo d’Israele: « Io li ciberò di assenzio, li abbevererò di fiele; li perseguiterò con la spada finché di loro non rimanga più orma » (Ierem. IX, 15-16). Sì, per i disonesti tutto si risolve in pena, tormento ed affanno. Le acque dolci dei fiumi, sboccate in mare, prendono del salmastro; ogni diletto carnale cominciato nella dolcezza termina nell’amarezza. Non vi sia chi si lusinghi, avverte il Crisostomo, di cogliere dall’albero della concupiscenza il frutto del piacere senza sentirsi lacerare e insanguinare dal rimorso e dall’angoscia; è ciò tanto impossibile, quant’è impossibile il maneggiare rovi spinosi senza sentirsene punte le mani.
A buon diritto pertanto conchiude S. Cesario, che per l’impudico non vi è giorno di gioia e di festa, ma sempre roso dal rimorso e dall’affanno, si consuma di melanconia e di tristezza.
 
5. Quali sono le principali cause dell’impurità? — « La lussuria, dice S. Bernardo, è il cocchio del delitto, della morte, del demonio, dell’inferno; poggia su quattro ruote, che sono l’indolenza, la vanità, la ghiottoneria, l’immodestia; è tirato da due focosi cavalli, che sono la prosperità e l’abbondanza; vi siedono poi a cassetta l’indifferenza e la falsa confidenza » (Serm. XXXIX in Cantic.).
I gradi per i quali si precipita nell’impurità, sono: 1° il lauto vivere; 2° il bere troppo; 3° gli spettacoli i quali sono pericolosissimo scoglio alla castità ed al pudore, perché i più ci vanno per vagheggiare ed essere vagheggiati; 4° i canti osceni, i libri cattivi, le pitture disoneste; 5° i regali offerti ed accettati; 6° l'amore eccessivo del riposo; 7° la compagnia dei dissoluti; 8° i geniali convegni con persone di diverso sesso.
Pensate alla caduta di Sansone, di Davide, di Salomone e riconoscendo quanto voi siate lungi dalla fortezza del primo, dalla santità del secondo, dalla sapienza del terzo, temete e tremate. Pensate se potrete tenervi saldi in mezzo ai pericoli, voi deboli canne, voi fragili vetri, mentre caddero di quelli che erano cedri robusti, saldi macigni. L’impurità è fuoco, non forniamogli alimento.
 
6. In quanti modi si cade nel vizio della disonestà. — Cinque strade mettono al baratro della disonestà: i pensieri, i desideri, le parole, gli sguardi, le azioni.
1° I pensieri; perché i pensieri disonesti allontanano da Dio (Sap. I, 3) al quale sono in abbominio (Prov. XV, 26). Infatti, come dice S. Cesar o d’Arles, si sprigiona da essi un tale fetore che al suo paragone la puzza della più fetida cloaca è un nulla.
Dove è il vostro pensiero, scrive S. Bernardo, vi è il vostro affetto: se esso si porta a cose brutte, lo Spirito Santo si allontana da voi e il tempio di Dio diventa il castello del demonio, perché Satana s’impadronisce di ciò che Dio abbandona. Perciò, quando si affaccia alla vostra mente un pensiero cattivo, scacciatelo subito, non acconsentitegli, non lasciatelo entrare nel vostro cuore. Respingetelo subito e vi lascerà più facilmente. Un pensiero disonesto genera il piacere; il piacere muove al consenso; il consenso porta all’azione; l’azione diventa abitudine; l'abitudine si cambia in necessità; la necessità porta con sé la morte. Ecco a quale precipizio conduce un pensiero cattivo!
I pensieri cattivi sono scintille le quali se non sono spente su l'istante, accendono il fuoco della concupiscenza che cova nella cenere de la carne e suscita un vasto incendio. Quindi ogni ragione vuole che loro non si dia tregua, ma si combattano e scaccino inesorabilmente, da qualunque parte vengano, sia dalle creature, sia dalla nostra propria concupiscenza.
2° Si cade nell'impurità con i desideri. È chiarissima la sentenza di Gesù Cristo: « Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con essa » (Matth. V, 28). Perciò S. Paolo inculca ai Romani, che non accarezzino la carne nei corrotti suoi desideri (Rom. XIII, 14).
3° Si va all'impurità per mezzo delle parole. « La bocca dà di quello di cui abbonda il cuore », dice Gesù Cristo (Matth. XII, 34). Un parlare osceno è dunque segno ed effetto di un cuore impuro. Ciò nondimeno, quante persone non si fanno leciti discorsi disonesti! È per burla, si risponde; ma badate che col peccato non si burla; la violazione della legge di Dio, lo scandalo del prossimo non sono cose da burla.
Date ascolto all'avviso di S. Cesario: « Innanzi tutto, in qualunque luogo vi troviate, non vi escano mai di bocca parole disoneste o turpi ». E di quello che sa di lussuria, non se ne faccia nemmeno parola, come conviene a cristiani (Eph. V, 3).
4° Si cade nell'impurità con gli sguardi. Leggiamo nell’Ecclesiastico, che la persona si conosce negli occhi (Eteli, XIX, 26), e vi sono tali occhi, dice S. Pietro, che riboccano d adulterio e di malizia(II, II, 14). Quindi S. Agostino scriveva: « Nessuno dica che ha l'anima pura, se ha gli occhi impudichi: l’occhio lussurioso è il segnale di un’anima disonesta, di un cuore impuro ».
Grandissima è la forza degli occhi per ferire mortalmente l'anima e il cuore. L’oggetto veduto e tanto più se considerato, passa dalla pupilla nell’interno dell’uomo, vi stampa la sua imagine la quale vi resta impressa e come scolpita, anche dopo che l’oggetto non è più presente e questo non può avvenire senza che se ne generi o l’amore
o l'odio nello spirito e nel cuore... Ah! lo sguardo è saetta infuocata che penetra nelle midolle del cuore e le consuma. Davide cadde nell'adulterio e nell'omicidio, perché non fu vigilante a contenere la vista. Gli occhi sono le guide e le scorte di Cupido ossia dell’amore impuro: è impossibile che freni la passione chi non frena gli occhi;
Il fuoco brucia da vicino, gli occhi bruciano da vicino e da lontano.
« È cosa certa, dice S. Bernardo, che quando gli occhi si sono fermati con compiacenza sopra un oggetto disonesto, l’anima resta subito macchiata d’impurità, poiché lo sguardo è il precursore, la guida dell’impudicizia, come le mani e il tatto ne sono i ministri. Bisogna guardarsi dalle occhiate immodeste, come dal morso di una vipera ».
« La morte, dice Geremia, salì per le nostre finestre e introdottasi in casa nostra, mena strage dei ragazzi e dei giovani » (IX, 21). Le finestre della nostra casa sono, gli occhi e per essi entra la disonestà nell'anima. Come non servono a nulla i bastioni e le torri se restano aperte all’entrata del nemico le porte della cittadella, così tutti i ripari, tutti i mezzi di difesa che ci fornisce la grazia a nulla valgono, se teniamo aperte le porte dei sensi a ricevere nell'anima i pensieri e i desideri della carne. Severissima pertanto ha da essere la chiusura e vigilantissima la guardia da farsi ai sensi e principalmente agli occhi, giacché per mezzo loro entra nell’anima o la vita o la morte. Chi condusse i due infami vecchioni a desideri nefandi verso la casta Susanna? i loro occhi (Dan. XIII, 8). Il consenso al peccato tien sempre dietro allo sguardo volontario... O Dio! quanti dannati nell'inferno per occhiate impure!
Seneca medesimo cosi esclama: « O quanto spaziosa e facile strada è aperta alle passioni per mezzo degli occhi e quanto meglio sarebbe che fossero strappati, anziché lasciare che vedano cose le quali corrompono il cuore! Gli occhi mostrano a questo l’adulterio, a quello l’incesto, a un terzo il potere; ed è fuori di dubbio che gli occhi sono gli strumenti attivi del vizio, i precursori dei misfatti » (Lib. de Remed. fortuit.).
5° Si va alla lussuria per mezzo delle azioni disoneste, sia sul proprio corpo, sia su la persona altrui; e in tutte queste varie maniere d’impurità vi è peccato mortale, quando vi si trova la volontà ed il consenso deliberato.

7. Quanto sia difficile uscire dall’impurità. — È cosa facilissima il cedere alle seduzioni della voluttà, perché questa passione si accende più facilmente che la paglia al fuoco; ma quanto difficile riesce il liberarsene e spegnere gli ardori di tale incendio! Come dura e laboriosa impresa è quella di correggersi e uscire da tale cloaca, per chi vi è affogato con frequenti cadute e con lunga abitudine!
E infatti, chi li aiuterà a togliersi da tale pantano? Forse Dio? Sì, Dio è pronto ad aiutarli e a sé li invita con le chiamate del divino Spirito, ma essendo la vita loro tutta di carne, sono divenuti carne e l’uomo carnale, ossia animalesco, poco intende la voce dello spirito (Rom. VIII, 5)(I Cor. II, 19). « In essi non è più traccia, dice S. Giacomo, della sapienza che viene dall'alto, non vi rimane che la terrena, l’animalesca, la diabolica » (Iacob. III, 15). Ora, si può sperare che una tale sapienza si pieghi a darsi vinta ai puri e dolci influssi della sapienza divina?
Forse la vergogna naturale, il ribrezzo che certe nefandezze provocano negli animi onesti? Nemmeno questo; perché abbandonati da Dio al furore delle loro malnate cupidigie, lasciati in balìa al reprobo senso, si spogliano di ogni rossore, non distinguono più la sconcezza della lussuria dalla bellezza dell’onestà : sono, come li chiama S. Giuda, uomini di vita animale, privi di senno (Iud. 19).
Si lasceranno almeno commuovere e guadagnare alla grazia? Non possono, risponde S. Bernardo; « perché, come chi ha gustato le dolcezze della grazia, trova insipidi tutti i piaceri della carne, così chi trova appettosi i piaceri del corpo, non sente più nessun gusto nelle dolcezze, nelle attrattive della grazia ».
Sarà il terrore dei divini giudizi che rimetterà in senno i lussuriosi e li spingerà a togliersi dal fango? Non ci credete, dice S. Agostino, perchè l'incontinenza distoglie dal pensiero dei novissimi.
Non hanno maggiore forza su l’animo degli impudichi gli avvertimenti, i consigli, le ammonizioni; nessuna di queste cose, per testimonianza del Crisostomo, non può scuotere e salvare dal naufragio l’anima che affoga nella lussuria. Anzi, come osserva S. Cirillo, « il libidinoso invece di accogliere di buon grado gli ammonimenti, con cui si cerca di strapparlo alla vergognosa sua condizione, li prende in mala parte ». Egli diventa un impasto di caparbietà', di orgoglio, di accecamento, di stupidezza, cosicché invano intorno a lui si adopera e Dio e l’uomo.
« Coiti in questa diabolica rete di Satana, oh! quanto è difficile e raro esclama S. Gerolamo, che ne usciamo! ». Perciò, dice S. Tommaso, il demonio si rallegra quando riesce a prendere un’anima nella lussuria, perché è cosa vischiosissima e difficilmente si riesce a liberarsene. Questo vizio è come una palude fangosa in cui, se si estrae un piede, si affonda l’altro.
Questo spiega perché Clemente d’Alessandria chiami l’impurità « male incurabile »; Tertulliano, vizio immutabile » e S. Cipriano «madre dell’impenitenza ». S. Dionigi di Chartres afferma che non si trova tra i voluttuosi abituati, chi abbia dolore del suo peccato perciò quasi tutti gli impudichi si dannano (In Vita). « E' quasi impossibile, scrive Pietro di Blois, che uno riesca a trionfare della carne, quando la carne ha già di lui trionfato ». Infatti, osserva S. Agostino, « con lo sfogare la libidine, se ne contrae l’abitudine la quale, a lungo andare, diventa necessità. La caduta è una catena, la ricaduta e l'abitudine gettano in prigione, l’abitudine poi, diventa necessità, mura la porta di questa medesima prigione ».
Purtroppo la quotidiana esperienza di tanta gioventù che si abbandona al vizio e non si ravvede nemmeno tra il gelo della vecchiaia, è mallevatrice della verità delle sopraddette sentenze!
 
8. Castighi e dannazione dell'impudico. — Bastano a darci un’idea dei castighi che porta con sé l’impurità i mali e le disgrazie che piombano come la folgore e la tempesta in capo all'impudico; e quella vita di nefandezza, di avvilimento di degradazione, d’illusione, d’inganno, di agitazione, di accecamento, di schiavitù, di rimorso, di affanno in cui lo vediamo trascinare i suoi giorni. E poi non è forse il più terribile dei castighi il fatto che Dio li abbandona ai corrotti appetiti della carne, al reprobo loro senso?
« Deh! non v’illudete, esclama S. Paolo, Dio non si beffa. L’uomo raccoglierà quello che ha seminato: chi semina nella carne, raccoglierà dalla carne, corruzione; chi semina nello spirito, raccoglierà dallo spirito, vita eterna» (Gal. VI, 7-8). Ed agli Ebrei ricorda, che Dio farà giudizio dei fornicatori e degli adulteri (Hebr. XIII, A). La stessa cosa predica anche Pietro la ove dice che Dio sa riservare al giorno del giudizio quelli che devono essere castigati e tra questi sono in prima fila coloro che si danno ai piaceri sensuali (II Petk. II, 9-10).
« Iddio, scrive S. Agostino, fa servire gli stessi peccati ai disegni della sua giustizia, per modo che quello che è stato strumento di piacere in mano al peccatore, diviene strumento di castigo in mano a Dio vendicatore ». Il disonesto è dal Crisostomo paragonato all'indemoniato che non è padrone di se stesso (Hom. XXIX in Matth.). « Chi fa lega con persone di mala vita, diverrà sfacciato, dice l'Ecclesiastico: avrà in retaggio la putredine e i vermi; sarà proposto ad esempio di terrore e di spavento e scancellato dal numero dei viventi » (Eccli. XIX, 3).
Il più spaventoso castigo che abbia veduto il mondo, è certamente il diluvio; ora chi l’ha attirato su la terra? L'impurità del genere umano; ogni carne si era corrotta e Dio, per purgare il mondo, lo affogò in un diluvio d’acqua. Chi fece piovere su Sodoma e Gomorra fuoco e zolfo? l’impudicizia... Chi atterrò i grandi imperi? la dissolutezza... Donde sbucano la maggior parte delle eresie che scompigliano la Chiesa di Dio? dal vizio impuro.
Percosso da disgrazie e da castighi nei giorni della sua vita il lascivo incontra una morte orrenda e spaventosa...; terribile sarà il suo giudizio...; l’inferno sarà la sua dimora eterna... Ah sì! l’impurità è un fuoco che si converte in fiamme eterne e termina nel fuoco dell’inferno. « I disonesti, scrive il cardinale Gaetano, portano già in questo mondo dentro se stessi l’inferno e termineranno coll’andare ad alimentare il fuoco dell'inferno. L’inferno sarebbe vuoto, cesserebbe, per così dire, la sua fiamma, quando l’impurità degli uomini cessasse dal fornirle alimento. La voluttà si cambierà in pece che nutrirà un fuoco cocentissimo nelle viscere dei lascivi per tutti i secoli. Oh che infelicità, che sventura prepara mai a se stesso l’impudico, nel tempo e nell’eternità! ».
 
9. Rimedi contro l’impurità. — « La voluttà è simile al cane, osserva S. Giovanni Crisostomo; se lo cacciate, si allontana; se lo carezzate, più non vi lascia ». Bisogna dunque scacciare e fuggire questa sirena incantatrice che è l'impurità, come già ne avvisava i giovani Seneca medesimo (Ap. Laert. lib. II).
Altro rimedio ci suggerisce S. Basilio, ed è che si castighi il corpo e si tenga custodito e domato come animale furioso, malmenando con penitenze e rigori questo nostro vestimento di carne e di sozzura, come lo chiama l'apostolo S. Giuda (Iud. 23). Poiché la mortificazione del corpo, dice S. Basilio, forma la sanità e il vigore dell’anima.
Siccome questa passione invita con le lusinghe, attrae col solletico della felicità e del piacere, si impadronisce per uccidere e rovina quanto trova nell’uomo, è necessità non mai porgerle orecchio, non prestarle fede, non affidarsele, ma diffidarne, temerla, studiosamente e prontamente fuggirla. « Chi vuole praticare le virtù, scrive S. Gregorio, e non impedirne il crescere, deve spegnere in se stesso il fuoco impuro in modo tale che a forza di vigilanza non se ne lasci mai toccare neppure leggermente » (Moral.).
Il rimedio che ci premunisce contro le fiamme del fuoco impuro, sta nell'averne un grande orrore; nel non accostarvisi; nel fuggirne più lontano che si può; e questo si ottiene con la vigilanza e con la preghiera, dicendo Gesù: «Vigilate e pregate, acciocché non v’incolga tentazione; perché anche dove lo spirito è pronto, la carne è debole » Matth. XXVI, 41).
Mezzi validissimi a vincere la voluttà sono: considerare la brevità del piacere e la lunghezza dei patimenti che vengono dopo; conviversi che la lussuria è il più pericoloso e mortale nemico dell’uomo e la causa principale di tutte le sue sciagure; meditare attentamente sulla differenza immensa che passa tra le ricchezze, le consolazioni, le soavità della grazia, della continenza e la miseria, l'amarezza, l'angoscia, gli strazi dell’impurità, dell'incontinenza.
L'umiltà è buon talismano contro gli incantesimi della lussuria: dove non vi è umiltà, rarissimamente vi è castità. Adamo per orgoglio si ribella a Dio, ed ecco tosto ribellarsi a lui la carne; si vede nudo, arrossisce ed è costretto a nascondersi... Bisogna che si sottometta a Dio, che a lui obbedisca chi vuole avere la carne soggetta e obbediente allo spirito...
Per respingere gli assalti della voluttà, è pure ottima difesa il lavoro. « La libidine resta fiaccata e spenta dalle fatiche corporali », scrive S. Isidoro; quindi quell’aureo avviso di S. Gerolamo: « Bada che il demonio ti trovi sempre occupato al lavoro »; non dimenticare però di unire al lavoro la preghiera la quale è, come dice S. Gregorio, « la guardia del pudore ». Finalmente il digiuno, i sacramenti, il pensiero della presenza di Dio, la divozione alla Vergine Maria, la considerazione dei novissimi sono tali mezzi che vincono sicuramente e prostrano il vizio dell’impurità. 

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