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sabato 30 agosto 2014

MALDICENZA

1. Stragi della maldicenza. — 2. Malignità dei maldicenti. — 3. Enormità del delitto di maldicenza. — 4. Quanto sia frequente la maldicenza. — 5. Il maldicente si dipinge da se stesso. — 6. Dio punisce i maldicenti. — 7. Bisogna opporsi alla maldicenza. — 8. Mezzi per opporsi alla maldicenza.

1. Stragi della maldicenza. — « Chi detrae all’altrui fama in occulto, è come serpente che morde in silenzio » (Eccte. X, 11).
Con la sua imprudenza o malignità il maldicente ferisce suo fratello, turba la pace, distrugge la carità, rompe l'unione, scandalizza chi l’ode e dà origine a contese, a litigi, a odi, a rancori, a desideri di vendetta. La lingua del serpente è tripartita, fa quindi tre ferite ad un tempo; così è della lingua del detrattore; con essa ferisce la propria coscienza peccando, lacera la riputazione del prossimo, offende l’orecchio e l’anima di chi l’ascolta. Però il maldicente fa una piaga più profonda che non il serpente, perché la sua morsicatura è più nascosta, più nocevole, più dolorosa. Il serpe non ferisce che il corpo; la maldicenza ferisce la fama, il cuore, l'intelligenza. Mentre morde, il serpe non ferisce se medesimo; il maldicente, al contrario, ferisce se stesso e gli altri.
Il malèdico si può paragonare alla vipera, perché come questa inietta il veleno nella ferita che apre, così quello dà morsicature avvelenate; anzi può dirsi che morde soltanto per ispargere il suo veleno. La sua condotta richiama a mente quella frase del Salmista: «  Veleno di aspide si nasconde sotto le loro labbra » (Psalm. CXXXIX, 4). La morsicatura dell'aspide rende il sangue tutto nero, la maldicenza annerisce la riputazione del prossimo.
« Gran male è la maldicenza, scrive il Crisostomo, demonio turbolento che non lascia un istante in pace l’uomo. Da essa nascono gli odi, si producono i dissensi, s’infiammano le contese, si generano i sospetti. Di un amico essa te ne fa, senza ragionevole motivo, un nemico; mette a soqquadro le famiglie; arma città pacifiche; scioglie i legami della pace che è sì bella; spezza il potente vincolo della carità. Chi si abbandona alla maldicenza diviene schiavo del demonio ». La maldicenza rompe l’amicizia; uccide l’amor fraterno; può rovinare una famiglia, una società, ed anche una nazione, è la nemica mortale dell’ordine.
L’uomo che sparla del suo prossimo è dal Savio paragonato ad una freccia, ad una spada, ad un giavellotto (Prov. XXV. 18). S. Bernardo dice: «La lingua malèdica non è forse una vipera? Sì certo, e crudelissima, perché attossica di un fiato tre persone (quella che sparla, quella di cui si sparla, quella che ascolta). Una tal lingua non è forse una lancia? Sì, e quanto acuta! poiché ferisce di un colpo tre persone. La loro lingua è spada affilata, dice il profeta. E' spada a due tagli, o piuttosto a tre, e troppo più funesta che non la lancia con cui fu trapassato il costato a Gesù crocefisso. Leggerissima cosa è una parola perché vola rapidissima, ma alle volte ferisce assai gravemente, passa come lampo, ma brucia e scoscende come fulmine; penetra facilmente nell’anima, ma difficilissimamente ne esce ». Il maldicente è, dal medesimo santo, paragonato ad un lebbroso, ad un appestato che comunica il suo male a chi lo accosta. La morte dell’uomo, in quanto è un essere corporale comincia con la lingua e si estende poco per volta al cuore; la morte dell’uomo, in quanto è un essere morale, comincia anche molte volte dalla lingua, cioè dalle parole e infetta passo passo la volontà ed il cuore. Il malèdico e chi gli porge volentieri orecchio, portano ambedue il demonio nel loro seno.
« Dire male del prossimo, scrive Cicerone, è più contro natura, che la morte, che il dolore, che qualunque disgrazia possa accadere nel corpo o nella fortuna; perché la maldicenza toglie la concordia e rende impossibile il vivere sociale ». « Chi bistratta un amico assente, dice Orazio, chi può fingere ed inventare quello che non vide e non può tenere in sè quello che gli fu confidato, costui è un cattivo cittadino da cui tu, o romano, tienti guardato ».
Il maldicente vi scopre i segreti degli altri, ma tradirà anche i vostri e abuserà della vostra confidenza. « Col mormorare, dice il Crisostomo, voi divorate vostro fratello, fate profonde morsicature al prossimo. S. Paolo scriveva queste terribili frasi: «Se vi mordete e vi divorate gli uni gli altri, badate che non vi distruggiate reciprocamente (Gal. V, 12). Voi non avete, no, dato di morso coi denti nelle carni del vostro fratello, ma avete traforato la sua anima, sparso su di lui funesti sospetti e attirato sopra di voi e sopra parecchi altri, innumerevoli mali ». S. Bernardo dice: «Ogni malèdico svela se stesso mostrando che il suo cuore è vuoto di carità. Poi a che altro mira nel detrarre, se non a rendere spregiato o odioso colui di cui sparla, presso quelli che prende a confidenti delle mormorazioni? ».
Ma udite come parla del maldicente il Signore medesimo nell’Ecclesiastico: « Il sussurrone macchia l'anima sua e sarà odiato da tutti » (XXI, 31). Se voi soffiate sopra un carbone, esso si accenderà e diventerà bragia; ma se vi sputate sopra, si spegnerà; ora l’una e l’altra cosa sono l'opera della bocca. La lingua a tre punte ha rovinato molte persone e le ha fatte raminghe fra i popoli. Ha atterrato floride città e forti castelli, ha spesso rovinato la casa dei grandi. Ha distrutto le virtù d’intere nazioni, ha prostrato genti bellicosissime. La lingua a tre tagli ha fatto bandire dalla casa donne di carattere virile e le ha private del frutto dei loro lavori. Chi le dà retta, non godrà pace e non avrà un amico su cui riposare. Il colpo di una sferzata produce una lividura, ma un colpo di lingua rompe le ossa. Molti caddero sotto il taglio della spada, ma il loro numero è di gran lunga inferiore a quello di coloro che perirono per il taglio della loro lingua. Felice chi è al sicuro dalla lingua perfida, che non n’ebbe mai a provare la collera né portare il giogo, che non fu stretto da’ suoi ceppi; perché questo giogo è un giogo di ferro, questi ceppi sono ceppi di rame. La morte ch’essa dà è morte terribile ed è da desiderare il sepolcro anziché provarla (Eccli. XXVIII, 14-25).
La Scrittura paragona la lingua mormoratrice ad una spada, ad una sferza, ad una lingua di serpente e di vipera, al fuoco, al leone, al leopardo, alla morte, all'inferno, per indicare quanto sia pericolosa, quante stragi meni, e come sia necessario il guardarsene, temerla e detestarla; dice che di rame sono le catene e di ferro il giogo, perché intendiamo che è cosa crudele, insopportabile, dura, infrangibile, mortale.
« I maldicenti, dice Geremia, hanno teso la loro lingua come arco per lanciare menzogne; sono divenuti formidabili su la terra, perché vanno di male in male e non vollero conoscere il Signore. Stia ognuno in guardia contro il suo vicino e non si fidi di suo fratello, perché ne troverà che lo soppianteranno... La loro lingua è saetta che impiaga: parlano per ingannare; hanno nella bocca parole di pace con gli amici, mentre con la mano loro tendono di soppiatto il laccio »  (Ierem. IX, 3-4, 8). Questi tratti del profeta ci dicono: 1° Che la lingua ci è stata data per Iddio, cioè perché sia un arco posto a servigio della verità e della benedizione: e il mormoratore l’adopera per menzogna e la maledizione... 2° I detrattori sono formidabili, perché si tirano dietro la folla che li segue e l' applaude o per timore, o per debolezza, o per rispetto umano... 3° Vanno di male in male, da una maldicenza all’altra, da una mormorazione ad una calunnia, ecc... 4° Non conoscono più il Signore, non se ne danno più pensiero... 5° Studiano a danneggiare coloro che li avvicinano... 6° In presenza vostra s’infingono vostri amici e vi lodano: in vostra assenza vi si volgono contro e vi lacerano... 7° Assalgono le persone d’indole mite, di carattere dolce e puro le canzonano, le sbeffeggiano, le malmenano... 8° Di tutto s’informano, tutto spiano: in tutto mettono mano e bocca, di tutto vogliono sentenziare per mettere in mala mostra, biasimare, vituperare, diffamare, vendicarsi, sbranare, distruggere... 9° Sono maestri matricolati di finzioni, di raggiri, di soperchierie, d’ipocrisie, di menzogne, d’ingiustizia, e non rifuggono dal profittare di ogni vizio, per abbindolare la loro vittima, colpirla, sterminarla.
La lingua malèdica non trova mai nulla di bene. Siete povero? vi rende vile, abbietto, dispregevole... Siete ricco? vi accusa d'avarizia di cupidigia, di ambizione... Vi mostrate affabile, manieroso, servizievole? vi mette in sospetto d’ipocrita, di licenzioso, di traditore... Avete ingegno? siete un orgoglioso, un vanerello... State in silenzio? siete un ingrognato, un inutilaccio... Parlate? vi dà patente di blaterone, noioso, stucchevole... Digiunate? vi mortificate? vi chiama bacchettone, baciapile... Mangiate e bevete? vi battezza col nome di ghiottone, buontempone, bevitore, ecc... La sacra Scrittura dà alla lingua del detrattore il nome di dente e a ragione; perché una tal lingua rompe e mette a brani la riputazione del prossimo, come i denti spezzano e maciullano il pane.

2. Malignità dei maldicenti. — « Ecco, dice il Salmista che i peccatori hanno teso l’arco e preparato le saette per ferire nell'oscurità i retti di cuore » (Psalm. X, 2). « La tua bocca, o mormoratore, è stata feconda di malizia e la tua lingua ordiva inganni » (Psalm.. XLIX. 19). I malèdici si rallegrano degli effetti che produce l’infame loro lingua. Ad essi in modo speciale si può applicare quel detto dei Proverbi: « Menano vanto del male che fanno, tripudiano di gioia in mezzo alle più enormi nefandezze » (Prov. II, 14). La brama dei malèdici è di mortificare, ferire, nuocere... Non vi è persona più cattiva e più crudele del detrattore; si potrebbe chiamare senz'iperbole l'antropofago, vivente in mezzo alle nazioni civili...
 
3. Enormità del delitto di maldicenza. — Secondo il parere di uomini prudenti e saggi, sono molti quelli che si dannano a cagione del peccato di maldicenza e di calunnia. Tanto più grave e pericolosa è la mormorazione, quanto più è cosa ordinaria farne poco conto, considerarla come un'inezia, oscurarla dandole colore di zelo. « Gettando la fiaccola della discordia e dello scompiglio tra una società di fratelli, i maldicenti imitano Giuda e tradiscono Gesù Cristo », dice il Venerabile Beda. S. Bernardo dice: « Se al giorno del giudizio dovremo rendere conto di ogni parola oziosa ed inutile, quanto più stretta ragione ci sarà chiesta di ogni parola mordace, ingiuriosa, bugiarda! ».
Tutti quelli che mormorano peccano contro la carità che è la regina delle virtù; ora senza la carità, il resto è un nulla... « Pensino e vedano i malèdici, dice S. Gregorio, in quanti peccati si impigliano con le loro maldicenze: raffreddano e spesso anche spengono del tutto l’amor del prossimo nell'anima di coloro che li ascoltano; sono gli amici e i servi del demonio; gli assalitori, gli avversari di Dio» (Homil. in Evang.). D’altronde la maldicenza è un male quasi irrimediabile...
La gravit. della mormorazione si rileva: 1° dalla qualità di colui che sparla; 2° dallo stato di quegli di cui si parla; 3° dal male che se ne dice...; 4° dal numero degli uditori...; 5° dagli effetti e dalle conseguenze della maldicenza...; 6° dall’intenzione e dalla cagione che muove al mormorare.
 
4. Quanto sia frequente la maldicenza. — « Dov’è colui che non abbia mai mancato con la lingua?» domanda il Savio (Eccli. XIX, 17); e chiama fortunato colui che non si trovò mai esposto alle saette di una lingua malèdica, che non n'ebbe mai ad incontrare la vendetta, che non ne portò mai il giogo, che non fu mai legato dalle sue catene (Id. XXVIII).
La mormorazione è un vizio così divulgato e comune, che s'incontra dappertutto... Nessuno va immune dalle ferite delle lingue malèdiche e poche sono le lingue che più o meno non s'imbrattino di questo lezzo. «Noi imitiamo i sorci, dice Plauto: rodiamo quasi sempre e quotidianamente ci nutriamo di roba che non ci appartiene » (Ita Laert.). Anche S. Gerolamo lamenta, scrivendo a Celanzia, che poche persone sappiano astenersi dalla mormorazione, e constata che questa passione, la quale spinge l’uomo a sguinzagliare la sua lingua a danno del prossimo, è universale. Si arriva a rimediare a tutti gli altri difetti; ma ben di rado a questo.
In cento maniere si può mormorare: 1° scoprendo il male; 2° esagerandolo...; 3° travestendo e incolpando le azioni del prossimo...; 4° negando le sue buoni intenzioni...; 5° diminuendo gli elogi che altri gli rivolge...; 6° spargendo il dubbio...; 7° tacendo quando si dovrebbe parlare...; 8° lodandolo fiaccamente...; 9° osservando un silenzio malizioso...; 10° con lettere, scritti, libercoli, canzoni e simili...
 
5. Il maldicente si dipinge da se stesso. — Essendosi Davide fatto reo di un doppio delitto, di un adulterio cioè e di un omicidio, il Signore gli inviò il profeta Natan che gli disse: Due uomini, l’uno ricco, l’altro povero, abitavano un medesimo paese. Il ricco aveva pecore e buoi in abbondanza, mentre il povero non possedeva altro che una piccola pecora, da lui comprata e che aveva allevato presso di sè, insieme con i suoi figli, nutrendola del suo pane e ponendosela a riposare sul proprio seno. Capitò un forestiero in casa del ricco e costui per dargli da mangiare, rubò al povero la sua pecorella e con questa imbandì la cena al suo ospite... Sdegnato di tanta iniquità, Davide giurò a Natan che quel tale, figlio di peccato, per aver rubato la pecora al poverello, gliene avrebbe restituite quattro. E adora Natan a Davide: « Tu, o re, sei quest’uomo » (II Reg. XII, 7). O Davide! tu condanni il ricco di cui ti parlò il profeta; ebbene questo è il tuo ritratto. — La medesima risposta si può dare al malèdico. Voi trovate, gli si potrebbe a buon diritto rinfacciare, voi trovate difetti in tutte le persone; nessuno agli occhi vostri è perfetto. Ora lo siete voi più degli altri? Riserbate per voi i rimproveri, i consigli di cui fate pompa verso gli altri, volgete contro di voi, che ben ve li meritate, i fulmini che scagliate contro gli altri. Voi dite: il tale non ha religione; ma badate che voi parlate di voi medesimo: — Tu es ille vir; — perché l'apostolo S. Giacomo ci assicura che chi non frena la lingua ha una religione non verace: (Iacob. I, 26). Voi accusate il prossimo d’orgoglio; ma vi dimostrate voi medesimo orgoglioso; — perché se foste umile non sentenziereste degli altri... Tizio è imprudente, voi dite, e non vi accorgete che accusate voi medesimo, mettendo in mostra quanta sia la vostra imprudenza nell'assalirlo. — Caio è ingiusto, voi andate dicendo, ma dov’è la vostra giustizia nel biasimarlo? Chi vi ha stabilito giudice? — Quel tale si abbandona all’intemperanza, voi dite; ma vi è forse cosa più intemperante o intemperanza più odiosa di quella della lingua malèdica?  — Voi accusate ora questo ora quello di mancanza di carità; ma nessuno ne mostra così poca come il mormoratore. Voi dipingete il vostro ritratto.
Notate che il malèdico assale tutte le virtù ed egli non ne possiede nessuna: attacca la religione, l’umiltà, la prudenza, la giustizia, la temperanza, la carità de’ suoi fratelli; ed è questa una prova palpabile che in lui non vi è né religione, né giustizia, né umiltà, né prudenza, né riservatezza, né carità... La lingua che flagella gli altri, comincia dal flagellare senza pietà se medesima. Voi fate il ritratto di tutti quelli che conoscete, ma ne dipingete solamente il lato vizioso o difettoso, ed è molto se lasciate travedere in lontananza ed a tinte sbiadite qualche virtù! Voi non pensate che questo falso ritratto riproduce la vostra fisionomia: la vostra lingua ha gareggiato col più abile pennello; voi siete quel desso.
« Chi si applica a conoscere se medesimo loda gli altri ». diceva l'abate Giovanni. Attaccando l'onore e la riputazione del prossimo, accusandolo, diffamandolo accusiamo, condanniamo e copriamo di obbrobrio noi medesimi: infatti si dà cosa più odiosa della maldicenza? vi è azione che tanto ci disonori quanto l’essere conosciuti per diffamatori? Voi attaccate gli altri, ma siete voi senza macchia? Perché non ricordate la sfida di Gesù ai Giudei maligni e invidiosi che gli avevano condotto innanzi la donna adultera che volevano lapidare (Ioann. VIII, 7)? « Perché mai, diceva loro altra volta il Salvatore, perché vedete la festuca nell’occhio del fratello e non vi accorgete del tronco che è nel vostro? Con qual fronte potete dire a vostro fratello : lascia che ti cavi questa festuca dall’occhio, mentre non vedete il trave che imbarazza il vostro? Ipocrita! comincia a liberare il tuo, poi netterai quello del tuo prossimo » (Luc. VI, 42).
Il colmo poi dell’ingiustizia sta in ciò, che il più mordace mormoratore il quale pretende e si arroga il diritto di malmenare, denigrare, lacerare il prossimo, s’impenna e strepita se un altro si permette di pungerlo con un frizzo. Egli il perfetto, l’inviolabile! O accecamento!
 
6. Dio punisce i maldicenti. — « Il mormoratore è maledetto », leggiamo nell'Ecclesiastico (XXVI, 15) e l’autore dei Proverbi ci avvisa che Dio odia ed abbomina coloro che seminano la discordia tra i fratelli (VI. 19). Ora siccome non vi è persona che semini discordie, risse, contese tra gli individui e le famiglie, più che il mormoratore, ne segue che nessuno più di lui è abbominato da Dio il quale se ama più di tutto la carità, non deve odiare nulla più che la maldicenza, nemica e capitale distruggitrice della medesima.
 
7. Bisogna opporsi alla maldicenza. — Prendere parte alla detrazione è un rendersi partecipe della colpa di colui che la fa. « Il malèdico e chi gli porge l'orecchio, portano ambedue Satana nel loro cuore », dice S. Bernardo. Anzi è dovere di buon cristiano impedire, quanto è possibile, ogni mormorazione. Davide afferma di sé, che castigava chi dicesse male in segreto del suo prossimo (Psalm. C. 5). Possidonio ci narra nella Vita di S. Agostino, c. XXII, che questo grande vescovo aveva fatto scrivere su la parete della sala da pranzo questo distico.
 
8. Mezzi per opporsi alla maldicenza. — Il primo mezzo per impedire la maldicenza sta nel fuggire dai maldicenti. « Tenete lungi da voi la bocca malèdica, dicono i Proverbi, e fuggite le labbra mormoratrici » (IV, 24). « Non far lega coi detrattori, perché verrà repentinamente la loro perdizione » (Prov. XXIV, 21-22). « Fa’ alle tue orecchie una siepe di spine, dice l'Ecclesiastico, non dare ascolto alla lingua mordace, e chiudi con porta e chiavistello la tua bocca» (XXVIII, 28). Non frequentate i ciarloni né i maldicenti, diceva Socrate (Anton, in Meliss.).
Il secondo mezzo per arrestare la maldicenza e schivarla consiste nell’usare grande prudenza nel conversare. Udite l’avviso del Savio: « Fondi il tuo oro e il tuo argento e formane una bilancia su cui pesare le tue parole, un morso col quale frenarti la bocca. E sta attento a non peccare di lingua » (Eccli. XXVIII, 29-30). « Se hai udito qualche discorso contro il tuo prossimo, si spenga in te e sii certo che non ti fara morire » (Id. XIX, 10). Quindi l'avvertimento di S. Ambrogio: « Non macchiare la tua bocca col racconto delle altrui colpe; non dir male di chi pecca, ma compatiscilo ».
Il terzo mezzo è di parlare con dolcezza a chi sparla. « Una risposta dolce calma la collera »  leggiamo nei Proverbi (XV, 1). S. Giovanni Crisostomo da questo conchiude che sta in noi il rendere buoni i maligni, purché, imitando Davide, ci porgiamo umili, dolci, mansueti, caritatevoli negli atti e nelle parole (Homil.).
Il quarto mezzo è di fare il volto triste e severo in faccia al malèdico. « Perché se fate buon viso al mormoratore, dice il Venerabile Beda, lo incoraggiate a continuare; se al contrario lo ricevete freddo e gli fate viso severo, lo distoglierete dal dire volentieri quello che non sa essere volentieri udito ».
Parecchi altri mezzi possono giovare a impedire o evitare la mormorazione: 1° fare aperta opposizione al maldicente, riprendendolo con forza e senza rispetto umano; 2° mostrare di non dare retta a quello che dice...; 3° volgere il discorso su altro tema...; 4° punirlo, se dipende da noi...; 5° fargli conoscere il suo fallo...; 6° una delle cagioni della maldicenza è l’amor proprio; sradichiamolo dal nostro cuore, e non sparleremo di nessuno...; 7° non dimentichiamo mai che noi vediamo così bene i difetti degli altri, perché siamo ciechi su i nostri.
Se noi facciamo una vita regolata e buona, non dobbiamo inquietare per nulla di quello che si dice di noi... Ripetiamo quello che diceva S. Agostino a Secondo manicheo: «Fa’ pure di Agostino quel giudizio che ti aggrada; purché la coscienza non mi rimorda di nulla innanzi a Dio, non m'importa nulla delle vostre parole e dei vostri giudizi ».
Mettendo in opera questi mezzi, sì potrà arrestare o prevenire la maldicenza; ma come riparare alle conseguenze? Sebbene molto difficile, non è però impossibile. Bisogna : 1° dir bene della persona di cui si è intaccata la lama; 2° scusare la sua colpa, o giustificarne le intenzioni; 3° dire che non aveva abbastanza riflettuto; 4° confessare schiettamente di aver avuto torto; 5° principalmente riparare, per quanto è possibile, i danni cagionati con la mormorazione.

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