Originario di Bucold, villaggio dello stato e della diocesi di Liegi, Cornelio Alapide, o Cornelis Van den Steen, nacque il 1566, data memorabile per quei paesi : poiché il Duca d’Alba prendeva il governo delle Fiandre e dell’Olanda, che Guglielmo il Taciturno si preparava a ribellare contro Filippo II di Spagna. Bucold, patria di Cornelio, e Lovanio, luogo di sua dimora fin presso all’età di cinquant’anni, sorgono su l’orlo di quelle terre basse e paludose dove la casa d’Orange s’innalzò il modesto seggio di Statolder, che fu per essa il primo passo al trono d’Inghilterra: il che vuol dire che la soglia del suo domicilio fu spesso calpestata dal viavai delle milizie spagnuole, dei cavalieri alemanni, dei riformati e dei cattolici in armi. Ricordiamo questi avvenimenti, non perchè Cornelio vi abbia avuto parte, ma perchè influirono sui suoi pensieri, su le sue decisioni, su la sua vita e formano in una parola il fondo sul quale spicca pura e severa la sua figura. Non conosciamo nulla dell’infanzia di Cornelio Alapide, solo sappiamo che entrò giovane nella Compagnia di Gesù la quale gloriosamente adempiva la missione affidatale da Dio e contava tra le sue file il fiore della cristianità. Il giovane novizio era piccolissimo di statura e di così gracile temperamento, che il suo stomaco non resse a digerire le vivande usate dagli altri suoi compagni, sebbene, per austerità, non abbia mai consentito a cambiarle. Egli sentivasi portato al ritiro ed al silenzio, e si era quindi fissato per norma di vita quell’adagio della sapienza antica — Vivi innovato — e parendogli che l’Ordine a cui avea dato il nome, gli porgerebbe una specie d’asilo in cui viversene nascosto e oscuro, ripeteva con Giobbe: lo morrò nel mio piccolo nido. Ma Dio disponeva altrimenti, poiché sebbene Cornelio sia morto in seno alla Compagnia di Gesù, la sua vita però non fu, in massima parte, quella d’un uccelletto nel suo nido perduto tra il profondo silenzio o i misteriosi mormorii del bosco. Cornelio era uno di quegli uomini che Dio sceglie nei tempi di tempesta e di lotta per farne gli alfieri dell’esercito dei Santi. Cuore puro, anima piena di carità e di umiltà, corpo spiritualizzato dalle quotidiane sofferenze, gliene fornivano senza dubbio un titolo presso un Duce coronato di spine; mantenendolo nel distacco dalle cose terrene, portandolo a praticare la rassegnazione e la pazienza, gli meritarono sempre di meglio in meglio i lumi dello Spirito Santo. Non vediamo noi d’altronde che spesso la Provvidenza sceglie a bel disegno strumenti deboli e spregevoli perchè si veda chiaramente che sono da lei adoperati? Essa dunque chiamò il quasi nano, l’infermiccio Cornelio non solamente a prender parte alle apostoliche imprese di quell’Ordine religioso il quale sosteneva il più fiero impeto della mischia, ma ancora a rendere alla Chiesa servigi affatto speciali, non dipendenti dalla vita monastica, quelli cioè di scrittore e di dottore. E questa vocazione si palesò assai di buon’ora.
Il Protestantesimo si era messo a manomettere il testo delle Sacre Carte : qua le snaturava, là ne stralciava libri interi e scalzava con ciò dalle fondamenta la tradizione cattolica. Cornelio Alapide si sentì rapire da entusiasmo per lo studio dell’ebraico e dei commentatori. A 28 anni era professore di lingua sacra e di Santa Scrittura al collegio di Lovanio: diciannove anni dopo pubblicava per obbedienza ammirabili Commentari sulle Epistole di S. Paolo, e prendeva un posto distinto tra gli esegeti cattolici: alla sua morte lasciò dieci enormi volumi in-folio a due colonne, di lavori su l’antico e sul nuovo Testamento.
Per comprendere l’estensione e misurare il valore d'un’Opera di tanta importanza, giova conoscere sotto quale aspetto Cornelio Alapide abbia considerato la Sacra Scrittura. Egli medesimo ce lo indica nei prolegomeni da lui posti in fronte a’ suoi Commentari sul Pentateuco, e di cui ci sia permesso compendiare qualche pagina.
L’universo è un libro ch’espone ciò ch’è Dio; esso è stato formato sul tipo della sfera increata e si può chiamare specchio delle cose divine: imperfetto tuttavia qual è, non vi offre punto un’esatta e chiara imagine della Divinità, ma soltanto delle orme dietro le quali riesce
facile ravvisarla. Inoltre, il libro della natura non ci ammaestra nè delle verità dell'ordine soprannaturale, nè di ciò che conduce al Cielo della Santa Trinità ed alla felicità eterna, oggetto di tutti i desideri dell’uomo, e in vita e al punto di morte.
Per ciò la bontà infinita del Creatore ha stimato conveniente darci un altro libro che non è l’universo, libro in cui l’uomo trovasse non già una muta imagine della Divinità, ma caratteri che parlassero a’ suoi occhi, suoni che rimbombassero a’ suoi orecchi, insegnamenti che arrivassero alla sua anima e vi producessero idee vive e chiare delle cose divine; libro finalmente da cui apprendesse a conoscere Dio e se medesimo, non meno che gli spiriti celesti, la creazione, le regole di condotta da osservarsi e i mezzi per giungere alla felicità.
Questo libro è la Santa Scrittura la quale comprende, sia in germe, sia spiegatamente, ogni scienza, ogni regola, ogni nozione.
E, infatti, tutto ciò che esiste, appartiene o all'ordine naturale, o al soprannaturale che può anche dirsi l’ordine della grazia, o al divino che racchiude l’essenza e gli attributi di Dio. Le scienze fisiche e la filosofia naturale ci fanno conoscere il primo. La dottrina rivelata, cioè la fede e la teologia quaggiù nel mondo, poi lassù nel Cielo la visione di Dio, che costituisce la felicità degli Angeli e dei Santi, ci fanno conoscere il secondo e il terzo. Ora che la Sacra Scrittura non solo c’insegni le verità dell’ordine naturale, ma che sia anche necessaria a farcele conoscere perfettamente non ne può dubitare chi osservi con S. Tommaso come la filosofia non dimostri queste verità se non a poche persone, dopo lunghissimo tempo e con mescolanza di vari errori.
Quali raggi di luce viva dardeggiano su Dio, sui suoi attributi, sull’immortalità dell’anima, su la libertà dell'uomo, su le pene e su le ricompense future, gl’insegnamenti della Scrittura! Poi con che sicurezza e fermezza non procede nello sviluppo di tutte queste questioni! Le stesse scienze naturali sono da lei rimesse su La buona via quando ne traviano.
Dove trovare, intorno la creazione e l’origine del mondo, cognizioni cosi sicure come quelle che ci sono date dall'Ecclesiaste, da Giobbe e dalla Genesi? E non sono forse i libri storici della Bibbia, quelli che racchiudono la storia primitiva di tutti i popoli e danno la sola cronologia che non possa dirsi un ammasso di false date? Che logica e che politica può stare a confronto della logica e della politica rivelata? Qual trattato di morale regge al paragone con le brevi e profonde massime che imperlano i libri della Sapienza, dei Proverbi, dell'Ecclesiastico? Qual metafisica si eleverà quanto quella che si manifesta in Giobbe e nei Salmi, i quali celebrano in uno stile di meravigliosa poesia la potenza, la sapienza, l’immensità di Dio, gli Angeli e le opere tutte quante delle sue mani?
In quanto all’ordine divino ed a quello della grazia, essi sono un mondo sconosciuto alla filosofia e di cui solo la rivelazione tiene le chiavi. A quale altra scuola infatti, se non a quella della Scrittura, imparerebbe l’uomo quello che si riferisce alla creazione ed alla caduta dell’uomo, alla vita, alla dottrina, alla morte di Gesù Cristo, al peccato, al libero arbitrio, alla grazia, ai sacramenti, al merito e al demerito, al fine dell'uomo ed alle condizioni della sua felicità? Oh! che ammirabile insegnamento è mai quello in cui sono comprese tutte queste verità e che si vede compendiato nei Vangeli e nelle Epistole degli Apostoli!
La scienza della Scrittura è una vera enciclopedia divina in cui si trova tutto ciò che all'uomo importa conoscere, e fuori delle verità in essa contenute gli uomini non hanno ancora pronunziato una parola che valga la spesa di ripetere. Le opere medesime dei Padri della Chiesa, piene di tanto genio, di tanta sublimità e grazia che al loro paragone i più bei lavori del mondo greco e romano sono oscurati, non sono che ammirabili commentari d’un testo ancor più meraviglioso. S. Atanasio, S. Basilio, S. Giovanni Crisostomo, S. Ambrogio, S. Gerolamo, S. Agostino, dottori sommi, non hanno un pensiero il quale già non si trovi, almeno in germe, nella Scrittura. Anzi San Gregorio Magno non si peritava di asserire, che vi sono nei Libri Santi dei misteri i quali non furono rivelati agli uomini e che solo gli Angioli conoscono.
Di qui ne segue che è quasi infinita nel suo oggetto e difficilissima ad acquistarsi la scienza della Scrittura a cagione della sua profondità.
Se si guarda alle difficoltà d’interpretazione, si trova questa differenza tra i Libri Sacri e i profani, che mentre in questi ciascuna frase non presenta quasi mai più che un senso, in quelli se ne hanno persino quattro, il senso letterale che è quello che immediatamente risulta dalle parole o dai fatti narrati; l'allegorico che si trova quando quelle parole o quei fatti celano una profezia riguardante Gesù Cristo o la Chiesa; il tropologico, quando esse contengono un insegnamento che riguarda i costumi; Vanagogico, quando espongono, come in enigma, qualche verità o qualche rivelazione relativa alla vita avvenire.
Si avverta ancora che, prima di darsi seriamente allo studio della Scrittura e de’ suoi grandi interpreti, i Padri della Chiesa, bisogna conoscere gli idiotismi del greco e dell’ebraico, lingue nelle quali furono primitivamente scritti i Libri Sacri.
Cornelio si slanciò coraggioso e corse tutta la via. Continuò la compilazione de’ suoi Commentari in mezzo alle trepide vicende delle guerre religiose che desolavano il Brabante ed i possessi spagluoli delle Fiandre: in mezzo alle controversie che mettevano a rumore il campo medesimo dei cattolici, come ne fa fede l’insegnamento di Baio all'università di Lovanio, e non ostante le fatiche della cattedra e quelle del ministero ecclesiastico, come la confessione e la predicazione. La protezione di Dio vegliava in modo particolare sopra di lui, lo sostenne, lo fortificò, lo preservò da grandi pericoli ed anche dalla morte. Ed ecco in quale occorrenza.
Sorgeva in Aspracollina, poco lungi da Lovanio, una cappella dedicata alla Vergine, celebre per molti miracoli ivi avvenuti. Il dì 8 settembre del 1601, Cornelio vi si era recato per ascoltare le confessioni dei divoti di Maria soliti ad accorrervi in folla, per annunziare loro la parola di Dio e per offrire il santo sacrifizio, quando ad un tratto comparve una squadra di cavalleria olandese, avanzatasi con tanta segretezza e rapidità, che i cattolici furono tutti colti alla sprovveduta. Orrenda fu la strage e il sacro edilizio fu messo a fuoco. Appena Cornelio si riebbe dallo sbigottimento, corse al tabernacolo, ne tolse il Sacramento e lo portò con sè temendo che venisse dagli eretici profanato. Ma in un momento fu circondato da nemici dai quali per miracolo potè scampare.
Leggendo questo racconto non ci sembra quasi d'assistere ad una di quelle scene di sangue delle quali parecchi dei nostri villaggi furono testimoni nei giorni del Terrore? Come un nuovo Ercole, il Protestantesimo preludeva da bambino alle carneficine, a cui doveva poi mettere mano da vecchio, sotto nome ed abito diverso da quello della sua giovinezza. Del resto, Ercole ed il Protestantesimo, non sono in fin dei conti una medesima apparizione dell’antico avversario del genere umano il quale si faceva adorare sotto le sembianze di quello e dogmatizzava per bocca di questo?
Dopo la pubblicazione de' suoi Commentari su le Lettere di San Paolo, e mentre si disponeva a pubblicare quelli sul Pentateuco, Cornelio fu chiamato a Roma dal Generale della Compagnia di Gesù, il Padre Acquaviva, il quale, onorandolo sopra ogni altro membro dell’Ordine, gli affidava la cattedra di Sacra Scrittura al Collegio romano. Gli applausi che per lunghi anni ivi riscosse erano spine per un cuore cosi umile come il suo: ad ogni espressione di stima che gli fosse indirizzata, chinava il capo e diceva: « In verità e coscienza io sono il più stupido degli uomini: perchè da quaranta anni studio i Libri Santi, da trenta in qua non mi applico ad altro, eppure non li comprendo che assai imperfettamente ».
Verso l’anno 1620 la cagionevole sua sanità soccombeva al peso della carica, sì che dovette ritirarsi dall’insegnamento e restringersi alla redazione de’ suoi Commentari. La Provvidenza si serviva di questo mezzo per dargli quella tranquillità e quella vita di solitudine tanto necessarie allo scrittore che ha da consultare molti volumi e lunghe ricerche da fare. Egli medesimo ci ha tracciato il quadro de’ suoi pensieri e del suo stato durante quest’ultimo periodo della sua vita. « Io fuggo, dice, il fracasso degli appartamenti dei grandi e cerco il silenzio ed il ritiro che, senza riuscirmi inutili, mi son pure sì cari. Vivo in compagnia dei Padri della Chiesa ed ho trovato a Roma l’asilo sacro di Betlemme, che S. Gerolamo andò cercando con tanta ansia sino in fondo alla Palestina. Da giovane ho fatto il servizio di Marta, avanzato negli anni adempio e mi diletto dell’uffizio di Maria. Penso alla brevità della vita, sto alla presenza di Dio e mi vo preparando all’eternità che s’avanza. Le mie consolazioni stanno tutte nella mia celletta che fu sempre per me un’amica fedele; io la preferisco a tutta la terra e mi ha l’aria d’un Paradiso terrestre. Allievo delle sante muse aspiro al Cielo, mi riposo nella contemplazione, nella lettura e nella composizione che è nello stesso tempo un lavoro. Mi applico a ricevere le inspirazioni divine, a meditare e celebrare gli oracoli eterni. Seduto ai piedi di Cristo, ricevo con raccoglimento dalla sua bocca le parole di vita, per farle poi intendere agli altri ».
Composti a Lovanio, i primi lavori di Cornelio, che sono i Commentari su le Lettere di S. Paolo e sul Pentateuco, erano stati da lui dedicati i primi a Mattia Hovio, Arcivescovo di Malines, i secondi a P. H. Vanderburch, Arcivescovo di Cambrai e principe del sacro impero, ambedue, ma specialmente quest’ultimo, strettamente a lui uniti da un reciproco affetto e dal gusto per i medesimi studi. A Roma Cornelio si tenne in tanta ritiratezza, che credette potersi esimere dal dedicare a persona di questo mondo le sue Opere. I Commentari sui Profeti, dei quali un volume comparve nel 1622, l’altro nel 1625, portano la dedica a Dio ed alla SS. Trinità; quelli sugli Atti degli Apostoli, su le Epistole canoniche e l’Apocalisse non hanno dedica: quelli su l'Ecclesiastico sono posti sotto il patrocinio di Gesù Cristo e quelli sui libri di Salomone si presentano offerti alla Vergine, Madre della Sapienza eterna. « Ricevete, dice, o Vergine saggia e benedetta, questi Commentari su la sapienza del più saggio fra i mortali. Essi a Voi appartengono, perchè la sapienza deve ritornare a Chi la concede, per quel mediatore medesimo che l’ha messa al mondo ».
L’Alapide non lascia intanto di volgere qualche volta lo sguardo al Belgio; gli rincresceva di non averne potuto bagnare il suolo col suo sangue, perchè desiderava la corona del martirio. « O Profeti del Signore! esclama nella prefazione de’ suoi Commentari sui quattro Profeti maggiori, o Profeti del Signore, che mi avete dato di partecipare alla corona vostra di Profeta e di Dottore, deh! fate ch’io divenga ancora vostro compagno nel martirio e che suggelli col sangue mio la verità che mi avete trasmesso. Allora il mio insegnamento sarà compito e perfetto, quando avrà questa impronta. Molti anni ho speso nello spiegare e commentare le vostre parole: vi ho fatto parlare e profetare in una lingua moderna, ed ho anch'io in certo qual modo con voi profetizzato; non altro mi resta se non che mi otteniate dal Padre dei lumi, che è ad un tempo, il Padre delle misericordie, la mercede del Profeta, che è il martirio ».
Cornelio Van den Steen, ci piacerebbe rispondergli, martire vuol dire testimonio : or dunque non avete voi ricevuto la grazia di essere il testimonio della divinità e della potenza di Gesù Cristo con la professione dei tre voti religiosi, col modo con cui avete sopportato la malferma salute, col coraggio e la perseveranza con cui avete condotto a termine i vostri lavori intorno ai Libri Santi? Se non avete versato il sangue per il Salvatore, avete logorato, per la gloria del suo nome, le forze del vostro corpo e consumato le sorgenti della vostra vita. Per altra parte, il martirio è testimonianza la quale non dura che qualche ora, al più qualche giorno; non viene resa se non alla presenza di alcune persone e spesso avviene che se ne fa appena cenno nella storia; mentre la testimonianza degli scritti eccellenti dura secoli interi, si produce in faccia all’universo e si rinnova a ogni lettura che se ne fa. Oh! non ultimo è il posto che avete occupato tra i servi di Dio. Ma chi oserà dare conforto ad un’anima alla quale non resta più altro che un solo sacrifizio da fare a colui che ama e che si vede negato di farlo?
Cornelio Alapide cessava di vivere in Roma, il 12 marzo 1637, in età di oltre settant’anni, lasciando manoscritti dei Commentari sui Vangeli e sulla massima parte dei libri storici dell’Antico Testamento.
Il Collegio Romano dedicò i Commentari sui Vangeli al principe Cardinale Francesco Barberini, cancelliere della Santa Romana Chiesa, nipote di Papa Urbano VIII e suo legato in Francia ed in Ispagna. In capo a quel volume si leggono queste parole: «Il professore di cui deploriamo la perdita, ha sviluppato moltissime massime riguardanti i costumi, ma noi possiamo attestare ch’egli medesimo praticò tutte quelle che potevano riguardarlo; di maniera che se si volesse fare la storia della sua vita, basterebbe riprodurre le regole di condotta da lui fissate ne’ suoi Commentari. Quando dunque vi cadrà sott’occhi il ritratto d’un personaggio amico della solitudine e della contemplazione, fate conto di avere innanzi quello di Cornelio Alapide ».
Dettati senza seguire l’ordine scritturale e in diversi tempi, i Commentari dell’Alapide si estendono tuttavia su tutta intera la Bibbia, eccetto il Libro di Giobbe ed i Salmi intorno ai quali egli non lasciò che appunti incompleti non mai pubblicati.
Abbiamo già accennato sotto quale aspetto il dotto Gesuita considerasse la Sacra Scrittura ed abbiamo con ciò dato un'idea esatta dell’Opera da lui compiuta; ora aggiungiamo che non solo espone in modo chiaro e preciso i diversi sensi del testo sacro, ma inoltre mette accanto a questa parte che forma la base di lutto il Commentario, il riassunto della dottrina dei grandi teologi riguardo tutti i punti più importanti del dogma e della morale, numerosissime e svariatissime citazioni di Padri, di autori ascetici e anche di filosofi e poeti pagani e finalmente dei brani della storia ecclesiastica e profana e delle vite dei Santi. Egli abbraccia in una parola in quasi tutta la sua ampiezza la vera scienza, che la scienza di Dio, dell’uomo e del mondo, osservati al lume della rivelazione, il quale solo getta sui misteri di quaggiù una luce sufficiente.
Cornelio Alapide ci sembra non solo il migliore e il più compiuto tra la numerosa schiera dei Commentatori usciti dalla scuoia cattolica del secolo XVX, ma forse il primo, almeno nel genere da lui adottato, che è eccellente. Egli è l'unico che ci abbia dato un corso quasi intero di Sacra Scrittura commentata e sviluppata su le tracce e dietro gli stupendi lavori dei Padri e della glossa di tutta la tradizione. Per noi è un disegno della Provvidenza ch'egli abbia passato trent’anni della sua carriera di scrittore sui posti avanzati della cristianità e l’abbia poi chiusa in Roma, perchè così ebbe campo di ben conoscere la lotta che si stava combattendo, e fu in grado di serbare ne’ suoi Commentari la purezza d'insegnamento della madre e maestra di tutte le Chiese.
L'essere poi venuto più tardi, gli giovò a schivare alcuni di quegli scogli nei quali aveano rotto i suoi antecessori. Il regno assoluto di Aristotele avea fatto il suo tempo e la scoperta della stampa andava producendo i suoi risultati. Dalla falange dei dotti critici fioriti sulla line del secolo XVI e sul principio del XVII, erano venute alla luce corrette edizioni della maggior parte dei Padri, ma soprattutto di S. Agostino: i materiali importanti di cui Cornelio poteva disporre erano abbastanza puri e, se si eccettua l’attribuire ch’egli fa, a certi Dottori della Chiesa, testi che probabilmente appartengono ad altri; se si eccettuano alcune teorie scientifiche oggidì ripudiate e allusioni a fatti di storia naturale rilegati tra le fiabe, non gli si può forse addebitare altro difetto che quello di ripetersi qualche volta, il non attenersi ad un ordine rigoroso e di non aver lavorato tutte e singole le parti della sua Opera nella stessa maniera. Noi crediamo che, senza avere l’aria di fare un panegirico, ci sia permesso di far osservare come Cornelio Alapide non diede al suo lavoro l’ultima mano e che d’altronde le imperfezioni additate erano quasi inevitabili. La Sacra Scrittura esprime sovente la medesima verità in termini press’a poco identici; come potevano fare i Commentatori ad evitare ogni ripetizione?
In secondo luogo, la mancanza di ordine in Cornelio non è tale da produrre l’incoerenza e la confusione; aiuta anzi ad evitare una uniformità d’andamento che stancherebbe il lettore e toglierebbe agl’insegnamenti del maestro qualche cosa di quella naturalezza tanto cara, quando non passi i limiti, nelle Opere di mole.
In terzo luogo, qualunque Commentatore il qnale non si restringe a presentare il senso del testo, ricava dai Padri e dagli Autori ecclesiastici la massima parte delle spiegazioni che v’innesta. Ora costoro non hanno già commentato tutti i versetti, e nemmeno tutti i libri della Sacra Scrittura, ma si attennero ai più importanti, avuto riguardo alla dottrina, al frequente uso che ne occorreva nella liturgia, od ai bisogni dei popoli che loro toccava istruire. Per onesto i libri storici, eccetto la Genesi, i Vangeli e gli Atti Apostolici, furono lasciati generalmente da parte. I libri morali dell’Antico Testamento, ancorché frequentemente citati, non vennero però mai riuniti in un corno da formare trattati completi. Finalmente quei medesimi che sono stati più ampiamente e più generalmente spiegati, lo furono da dottori differenti di genio e con diverso sviluppo. Così, per esempio, per tenerci ai principali, S. Gerolamo. S. Agostino, S. Cirillo d'Alessandria ci hanno lasciato lavori egregi sui Profeti: i Santi Basilio, Ambrogio, Giovanni Crisostomo, e sopra tutti l’illustre vescovo d’Ippona, hanno illustrato i misteri della Genesi: questi due ultimi e S. Tommaso d’Aquino ci hanno dato il prodotto di lunghi e mirabili studi su S. Matteo, S. Giovanni, gli Atti apostolici, e le Epistole di San Paolo. Tutti conoscono la stupenda parafrasi di San Gregorio su Giobbe. S. Gregorio Nisseno e S. Bernardo spiegarono il Cantico de' Cantici. La, maggior porte de’ Padri, ma particolarmente 1 Santi Basilio, Ambrosio e Agostino, scrissero pagine inarrivabili intorno ai Salmi. Fonde ne segue che per nuanta sia la scienza, l’ingegno, il gusto delTesegeta, non potrà mai fare che i Commentari alquanto ampi intorno ai libri della Sacra Scrittura da noi indicati, non risultino assai superiori a quelli che svolgono i libri di cui i principi della scienza cristiana non si occuparono di proposito.
Cornelio Alapide non potè sottrarsi alla legge generale, ecco tutto quello che gli si può addebitare; la sua vasta erudizione però lo portò in grado di lottare contro- di essa e di non subirne che in parte il giogo. I suoi Commentari sui libri morali dell'Antico Testamento, quelli soprattutto che spiegano l’Ecclesiastico, non lasciano quasi nulla a desiderare; considerati poi nel loro complesso, dal Pentateuco all'Apocalisse, offrono la miniera, più ricca, che per noi si conosca in fatto d'erudizione sacra.
Del resto la cristianità gli ha reso piena giustizia e poche Opere complete dei Padri della Chiesa ebbero fante ristampe quante ne contano quelle del dotto professore del Collegio romano. Nel corso di ventun anno, i Commentari sulle Lettere di S. Paolo, considerati, è vero, come il miglior lavoro uscito dalla sua penna, furono ristampati cinque volte nella sola Anversa.
Tra le provincie della Chiesa non v’è che la Francia la quale sullo scorcio del XVII e per tutto il XVIII secolo si è mostrata severa, e, diciamo pure, ingiusta verso Cornelio Alapide. Moreri, Riccardo Simon, Dora Chardon, Elia Dupin, ecc. l’hanno l’un dopo l’altro, qual più qual meno, bistrattato. Ma questo non deve più fare stupire nessuno, perchè sì sa che la Francia, che ha energicamente e gloriosamente combattuto gli errori della Riforma, si è poi lasciata un poco travolgere dallo spirito del Protestantesimo in tutto ciò che si riferisce alla vita dell’anima. In vece di un razionalismo dogmatico, essa vide nascere e serpeggiare una specie di razionalismo morale: moltissimi non compresero bene le relazioni dell’uomo con Dio e l’azione di Dio sull’uomo. Un vento glaciale soffiò sul loro cuore e purtroppo ne avvizzì quella meravigliosa fioritura, piena di attrattive e di profumi, che si chiama pietà cattolica. Il Cielo fu foggiato di bronzo: al soprannaturale si diede lo sfratto, o poco meno, dalla vita degli uomini e della storia, moderna: quello che si chiamava l’eccesso della confidenza in Dio, fu severamente biasimato e il culto della Vergine benedetta fu confinato in un’angusta cerchia. Come mai avrebbero potuto incontrar favore i Commentari di Cornelio, spiranti la pietà e lo spirito di altre generazioni?. Dom Chardon, autore non sospetto di eresia, li tratta così alla carlona, dicendoli compilazioni informi, riboccanti di storielle, di leggende, d'inezie.
Ai nostri giorni la Biografia universale di Michaud si è dimostrata più giusta. Essa dà a, Cornelio il nome di oratore eloquente, altrettanto profondo nella filosofia e teologia, quanto versato nella storia. Che differenza tra l’un giudizio e l’altro! Non avremmo accennato a questa diversità, di accoglienza che ebbe Cornelio Alapide, se il secolo nostro non dovesse essere, secondo l’espressione di un giovane e dotto ecclesiastico, il secolo delle riparazioni, e se Cornelio non ne avesse diritto.
Le principali edizioni di tutta l’Opera del gesuita di Bucold, una, e non ultima, delle glorie della Compagnia di Gesù, così feconda di sapienti scrittori, sono quelle d’Anversa, 10 volumi in-folio: 1618-1642; di Venezia, 1711; di Lione, 1732; quella e questa in 16 volumi in-folio. In questo secolo la casa Pelagaud di Lione ce n’ha dato un’edizione in 20 volumi in-4; un’altra è stata fatta a Malta, una pure a Napoli; e l’ultima che conosciamo è quella di Milano.