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martedì 22 luglio 2014

ACCIDIA (1)

1. L’accidioso non vale nulla. — 2. L’accidioso è un povero sul lastrico. — 3. L’ozio è l’origine di tutti i misfatti. — 4. Guasti prodotti dall’ozio.



1. L’accidioso non vale nulla. — Un padre di famiglia, disse Gesù Cristo, uscì sul far del giorno in cerca d’operai per la sua vigna- Uscito di bel nuovo all’ora terza, ne vide altri che stavano oziosi. Altrettanto fece verso l’ora sesta e verso la nona. In fine verso l’ora undecima ritornò alla piazza e trovandovi altri lavoratori sfaccendati, disse loro: perché ve ne stale voi tutto il giorno in ozio? — Quid hic statis tota die otiosi? (Matth. XXX, 1-3, 5-6).
Ecco il vero ritratto degli accidiosi che logorano gli anni loro nell’inazione. Salomone ne dipinse al vivo la vita in brevi tratti là dove dice al pigro: « Un po’ dormirai, un po’ sonnecchierai, un po’ stropiccierai una mano coll’altra per riposarti » (Prov. VI, 10); e gli dà l’ultima mano in quelle altre parole: « Il pigro vuole e disvuole ad un’ora » (Ib. XIII, 4).
Vi sono tre maniere di non far nulla: 1° stando in ozio...; 2° non facendo quel che si dovrebbe fare, o facendo quello che non si dovrebbe...; 3° facendo male quel che si fa...
La vita dell’accidioso non serve a nulla; egli è un essere inutile e indegno quindi di vivere. Gli accidiosi sono alberi selvatici, sterili e secchi che occupano inutilmente il terreno... buoni a nulla, sono mostri della società. La vita oziosa può paragonarsi ad una pianta senza radici, o come dice Temistocle, è la sepoltura d’un uomo vivo — Otium est vivi hominis sepultura (Plutarco, Vite). Seneca conviene nella medesima idea (De Prov.), e Demetrio le dà nome di mare morto (Epl. LXVII).


2. L’accidioso è un povero sul lastrico. — Quel servo pigro di cui parla il Vangelo (Matth. XXV), invece di negoziare il talento ricevuto, lo nascose sotterra. Ora che cosa gli disse il padrone, quando venne a chiedere i conti? Servo malvagio e pigro, tu dovevi far fruttare il talento tuo; voltosi poi agli altri suoi servi: Togliete, comandò loro, a costui il talento e datelo a colui che ne ha dieci, perché a chiunque ne ha, ne sarà dato ancora; ma a colui che non ne ha, sia tolto quello che aveva. Si toglierà a quegli che non ha, anche quel poco che aveva, da cui non sa e non vuole trarre profitto.
« Chi al presente per isvogliatezza e viltà d’animo trascura di far bene, dice S. Gregorio, andrà mendicando la vita eterna il giorno
in cui il sole di giustizia si troverà in tutto il suo splendore per giudicare, ma gli sarà negata ».
Se l'accidioso è ben fornito de' beni di quaggiù, rassomiglia a quell’uomo dell’Apocalisse a cui il Signore disse: «Tu dici: io, ricco ed agiato, non manco di nulla; e non sai che tu sei meschino e miserabile, povero, cieco e nudo » (Apocal. Ili, 17). Voi, o ricchi, siete miserabili, poveri e nudi, perché non avete nulla delle vere ricchezze, che sono le ricchezze dell’anima, perciò, io vi dico, voi fate pietà.

3. L’ozio è l’origine di tutti i misfatti. — L’ozio è sempre stato in ogni tempo, dice l'Ecclesiastico, il maestro d’ogni vizio, il fautore d'ogni ribalderia. — Multam malitiam docuit otiositas (Eccli. XXXIII, 29); e l’ozio, soggiunge Ezechiele, fu l’iniquità di Sodoma, la causa di tutte le sue abbominazioni (Ezech. XVI, 49).
A quel modo, scrive il Crisostomo, che un terreno il quale non sia stato nè seminato, nè piantato, germoglia ogni sorta d’erbe cattive, così l’anima quando non ha in che occuparsi, si abbandona al mal fare.
Finché Sansone molestò i Filistei, fu invincibile e conservò le sue forze; ma quando s’abbandonò all’ozio in casa di Dalila, perdette la capigliatura e le forze, fu preso ed accecato: l’accidia gli tolse la vista dell’anima e Dio si ritirò da lui. Finché Davide si vide bersaglio delle avversità ed accasciato sotto il peso d’una vita travagliata, non sentì gli stimoli della carne, ma non appena godette di un riposo troppo prolungato, divenne adultero ed omicida. Salomone occupato nella costruzione del tempio, esce vittorioso delle sue passioni; ma non appena cede all’ozio, eccolo tuffarsi a capo fitto nel fango delle passioni e adorare gli idoli. Il lavoro avea mantenuto casti questi tre grandi personaggi, l’ozio li corruppe.
Voi dimandate, dice Ovidio; come mai Egisto sia diventato adultero? la risposta è alla mano : egli vivea in ozio.
I motteggi, le calunnie, le maldicenze, l’amore del giuoco, il ladroneccio, l’intemperanza, il libertinaggio hanno il più delle volte origine dall'ozio, il quale è fomite di tutti i vizi, sprone a ogni genere d’eccessi... Poiché, come dice S. Basilio, « a quel modo che i tarli si generano e moltiplicano ne’ legni teneri e molli, cosi tutte le empietà dello spirito trovano loro culla e sede nelle anime troppo snervate »; e non si dà virtù tanto facile, soggiunge il Crisostomo, che per l’accidia non diventi gravosissima e quasi impossibile a praticarsi.

4. Guasti prodotti dall’ozio. — È pensiero di S. Giovanni Crisostomo (Homil. in Genes.) che l’ozio d’Adamo fu la cagione della sua caduta: s’egli fosse stato occupato, non avrebbe dato ascolto al serpente. Nell’ozio il Demonio trova la sua dimora; i pensieri cattivi ed ogni peccato traggono dall’ozio la loro sorgente... Gli accidiosi, dice S. Bernardo, immersi nel torpore della pigrizia, ne succhiano il delitto (De Acedia). « E che altro è l’oziosità, soggiunge S. Cirillo, se non la perdita dell’ora che passa e più non ritorna, lo sperpero della vita, l’indietreggiare di chi cammina? Produce la debolezza della carne, genera l’orgoglio, accende la libidine, scioglie la lingua, mantiene l’indigenza, va a braccetto col furto. L’acqua stagnante si corrompe, la spada inguainata sempre irrugginisce, il piede che non si muove mai, intorpidisce, e lo spetato dente della tignuola rode la veste disusata» (Catech. lib. II, c. IV).
« Chi vive ozioso, cadrà negli orrori dell’indigenza » dicono i Proverbi (Prov. XXVIII, 19); e commentando questa sentenza, Cassiano scriveva (De instit. monach. lib. X, c. 2): l’accidioso sarà sopraffatto dalla povertà visibile o invisibile, corporale o spirituale, e ben sovente dall’una e dall’altra insieme: non può schermirsi dal cader preda d’una masnada di vizi; prova noia e disgusto a pensare e contemplare Dio, ed è affatto nudo di ricchezze spirituali.
L’accidioso soffoca la sua coscienza: lascia che si rovinino le sue ricchezze, la sanità, il buon nome, la vita. Gli sfaccendati sono per l’ordinario grandi ciarloni, tenendo le mani alla cintola lavorano a più non posso colla lingua ed è per ciò che S. Bernardo chiama la vita infingarda madre delle sciocchezze, madrigna delle virtù.
Sì, gli sfaccendati sono curiosi, maldicenti, mentitori. Non avendo nulla a fare si dànno a esaminare, pensare, giudicare le azioni degli altri; a raccogliere fatti, chiosarli, censurarli, travisarli e ridervi sopra : si erigono a censori di tutti gli uomini e si tengono per dappiù di tutti. Questo notava, il grande Apostolo quando scriveva ai Tessalonicesi: «Abbiamo udito che alcuni tra voi procedono disordinatamente, i quali non fanno nulla, ma curiosi s’affaccendano senza pro » (Il Thess. III, 11). Il che vuol dire, come spiega Massimo, che non facendo essi opera nessuna, non si brigano d’altro se non d’impacciarsi a diritto o a rovescio ne’ fatti altrui; anzi, soggiunge Teofilatto, questo è proprio degli sfaccendati, tener l’occhio sulla vita degli altri.
« Per timore del freddo il pigro non ha voluto lavorare, dicono i Proverbi, ma nel dì della messe egli andrà mendicando e non raccoglierà nulla » (Prov. XX, 4). Ogni pigro, leggiamo ancora ne’ medesimi Proverbi, marcirà sempre nell’indigenza (Ib. XXI, 5); e come no? io son passato pel suo campo e per la sua vigna, e gli ho veduti ingombri d’ortiche, le spine vi si intralciavano su tutta la superficie, e il muricciuolo che li difendeva era ruinato. (Prov. XXIV, 30-31).
S. Bernardo cosi descrive i tristi effetti e gli orrendi guasti dell'accidia: « S’avviene che il freddo della prigrizia colga un’anima, tosto il suo vigore s'accascia ed ella intorpidisce; si finge di non aver più forze, si misura quel che ha d'orrido l’austerità; il timore della povertà impicciolisce i sentimenti; la grazia se ne va; il tempo pare lungo, la ragione sonnecchia, l’intelligenza s’estingue; il fervore primiero va mancando e s’avanza la tiepidezza e la noia; la carità fraterna diminuisce e la passione ci solletica; la sicurezza c’inganna e la consuetudine ci trascina. Che più? Non si conosce più nè legge nè diritto nè dovere nè timor di Dio. Si giunge finalmente all'impudenza, e quel temerario che corre verso il precipizio, quell'uomo coperto di vergogne e di confusione, s’innalza presuntuoso. Allora precipita dall’altezza della virtù nel baratro de’ vizi, da una strada comoda e ben lastricata in una pozzanghera, dal trono in una fogna, dal Cielo sulla terra, dal chiostro nel secolo, dal Paradiso nell’Inferno ».
Non manda fuori tante fiamme una fornace ardente, quanti sono i desideri che si sprigionano da un’anima accidiosa: perciò chi vuole sottrarsi alle funeste lusinghe, frigga il riposo e si consacri al lavoro...
Nell’accidia la virtù si corrompe, ed il sentimento del dovere si scancella in un’anima oziosa, dice Democrito (Ant. in Meliss., c. XLV), ed Aristotele aggiunge che compagne indivisibili dell’infingardaggine sono la mollezza, l’effeminatezza, il torpore, l'amor della vita. E sapete come? eccovi un paragone di S. Bernardo che ve lo spiega. « A quel modo che l’acqua s’infiltra non osservata per una fessura nella sentina d’una nave, e vi cresce fino al punto che per incuria de’ marinai la nave affonda, così per via dell’ozio e dell’accidia i malvagi pensieri e le voglie libidinose s’insinuano nel cuore, e vi si moltiplicano a segno che questa fragile navicella, cedendo al peso, sprofonda nell’abisso del peccato ».
In qualche bugigattolo si chiudono e si matengono i polli che si vogliono ingrassare per mangiarli, così anche gli oziosi immersi nelle tenebre del vizio e abbandonati all’inerzia, vanno incontro ad una morte prematura, dice Seneca (De Prov.). L’acqua, scrive S. Lorenzo Giustiniani (De Inter. Conflictu), che sta ferma in uno stagno, si corrompe, non serve più agli usi della vita, si riempie d’insetti e di rettili velenosi; così il corpo dell’ozioso contrae macchie e si trova in balìa dei piaceri sensuali che rubano all’anima il senso del giusto e dell’onesto.
Gran male è l’accidia! dice S. Giovanni Crisostomo (Homil. LIV), essa è la paralisìa dell’uomo intero... Intorpidisce le forze dell’anima non meno che quelle del corpo... Può darvene un’idea una casa cui non si facciano le dovute riparazioni... un terreno che si lasci inculto... Oh! l’oziosità è nociva non solo alle cose spirituali, ma anche alle temporali: e chi vi si abbandona è il più stupido degli uomini, sentenzia la Scrittura (Prov. XII, 11). E perché? Primieramente perché l’ozio porta con sè la povertà e la miseria, com’è detto ne’ Proverbi (VI, 11); secondariamente perché indebolisce l’anima, la rende codarda e ottusa. Chi vive in volontario ozio, dice il Crisostomo, e nelle parole e nelle opere molto spesso si diporta temerariamente, non fa mai nulla tutto il giorno; ed ha l’anima piena di languore e di brutture. Poi in altro luogo soggiunge che l’accidia allontana i buoni pensieri, i santi desideri, le illustrazioni, la grazia, la virtù ed ogni bene, conduce l’ignoranza ed un diluvio di pensieri cattivi (Homil. XV in Genes.).
Per l’accidia, predicava il Crisologo, l’uomo rende inutili i doni della natura, le facoltà dell’anima, il benefizio della ragione, l’eccellenza del suo intelletto, il giudizio del suo spirito, la sua attitudine alle arti, il bene dell’educazione; ricusa al suo Creatore il prodotto che darebbero tutte queste cose e la riconoscenza che ne dovrebbe conseguire. Albero infecondo, merita d’essere reciso e dato al fuoco. S’egli è un uomo pubblico, gravissimo è il danno che la società ne risente (Serm. CVI).
« L’ozio uccide il corpo, l’indolenza uccide l’anima; l’esercizio abbellisce mirabilmente l’uno e l’altra»; scrive il Crisostomo. Bisogna temere e fuggire l’ozio nel riposo, ammonisce S. Bernardo (De Consid.); e vuol dire: bisogna serbare una regola nel riposo cui si ha necessità, non poltrirvi, offrirlo a Dio, e farsene merito di virtù, come del cibo e del sonno, ecc....
« L’indolenza è la peste per i mortali », scrive Piatone (De Repub.). « Non badar a nulla, è da insensato, dice Seneca (De Prov.); non far nulla è un essere morto mentre si vive », perché, soggiunge Catone « mentre non facciamo nulla, impariamo a far del male » (In Desid.).
«L’uomo virtuoso abborre l’ozio » lasciò scritto Valerio Massimo (lib. II, c. VII), e S. Agostino fa notare che Roma andò in ruina per cagione dell’ozio, e che la distruzione di Cartagine ebbe origine dallo stesso vizio.

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