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martedì 22 luglio 2014

ACCIDIA (2)

5. L’accidia è madre di tutte le tentazioni. — 6. L’accidioso è un vile schiavo. — 7. Quanto sia sventurato l’accidioso. — 8. Come l’accidioso è punito. — 9. Rimedi contro l’accidia.
5. L’accidia è madre di tutte le tentazioni. — « L’uomo che lavora è assalito da un solo demonio, ma l’ozioso è zimbello a mille spiriti infernali », così Cassiano. Nell'Apocalisse poi sta detto che il dragone si posò sull’arena del mare (Apoc. XII, 18). Queste parole significano che il Demonio prevale sugli accidiosi, che li dimena e li travolge come fa l’onda con l’arena; significano ancora che l’indolente, simile alla sabbia la quale nulla produce, è la dimora prediletta del Diavolo...
« L’ozio, scrive S. Ambrogio, mette in pericolo anche quelli che erano usciti vittoriosi dalle guerre »; perché, come insegna S. Bernardo, « la pigrizia è la madre di tutte le tentazioni », o come dice S. Tommaso, «l’amo a cui il Demonio coglie gli uomini »; e come infatti il Demonio non vincerebbe l’ozioso, mentre lo trova senz’armi, senza difesa, senza cautele?... Ah! l’accidioso è una casa aperta a tutti i ladri dell’Inferno...
6. L’accidioso è un vile schiavo. — È sentenza d’Alessandro Magno, essere cosa da schiavo abbandonarsi all’ozio e al lusso, e la Scrittura manda l’infingardo dalla formica perché dall’esempio di lei, che sì provvede nell’estate il cibo per l’inverno, impari a divenir saggio — Vade ad formicam, piger, et considera vias eius, et disce sapientiam (Prov. VI, 6-8). O accidioso impudente! esclama S. Bernardo (De Acedia), mille milioni d’Angeli servono Dio, e dieci milioni stanno pronti ad eseguire i suoi cenni; e tu? tu pretendi riposarti!
Ma nella Scrittura si legge una cosa veramente umiliante e vituperosa per questa razza di gente: « Il pigro è lapidato con manciate di fango, e tutti parleranno di lui con dispregio: è lapidato collo sterco di bue, e chi io tocca scuote le mani » (Eccli. XXII, 1-2). Come se volesse dire: l’accidia tant’è odiosa e colpevole, che gli uomini giudicheranno meritevole d’essere lapidato chi vi si abbandona; ma tale sarà lo spregio in cui l’avranno, che invece di pietre adopreranno fango e sterco di bue.
Poi faranno a gara chi più se ne allontani, e come un essere vile sarà da tutti fuggito, e chi l’avesse toccato, scuoterà le sue mani insozzate e s’affretterà a, lavarle... Queste parole dimostrano inoltre che l’infingardo è la debolezza in persona, giacché basta un pugno di mota o di letame per abbatterlo e stramazzarlo...
Non dovrebbe forse coprirsi per vergogna con ambe le mani la faccia, non dovrebbe bruciare d’onta l’accidioso, al pensare ch’egli nulla fa nel mondo, mentre tutto vi è in moto? Il sole, la luna, le stelle han forse lasciato, un dì dopo la creazione, di compiere il loro corso? Han cessato la terra e il mare di produrre? E gli animali, gli uccelli, gli insetti non seguono la via che fu loro da principio segnata? Di tutti questi esseri privi d’intelligenza non vè n’è uno che non lavori a suo modo, solo l’ozioso non fa nulla! Egli somiglia a quei pali che piantati lungo le grandi strade veggono passar del continuo i viandanti, ed essi se ne rimangono immobili finché o marciscono, o son rovesciati, o gettati al fuoco. Ma v’ha.di peggio: perche que’ pali immobili accennano almeno la via da prendersi, l’accidioso al contrario, tutt’altro che indicar la retta strada, conduce con sè nell’abisso, col suo esempio, i disgraziati che lo imitano...




7. Quanto sia sventurato l’accidioso. — « La via de’ pigri è irta di spine », dicono i Proverbi (Prov. XV, 19). Queste spine che l’accidioso trova seminate per la sua via, sono le voglie malvagie che l’assiepano, le seduzioni che l’attorniano, le tentazioni che l'assaltano come furiosa tempesta, le passioni che lo divorano, la povertà che lo stringe, le malattie che gli tolgono la sanità e lo conducono ad una morte prematura...; perché la pigrizia, secondo l’osservazione di S. Bernardo, è la madre della noia, dell’angoscia, della pusillanimità e della disperazione.
Simile a Caino, l'accidioso cammina errante e vagabondo, dilaniato da ben meritati rimorsi... Abbominato da Dio e dagli uomini, perseguitato dal grido della coscienza, flagellato dall’esempio di tutti quelli che l’attorniano e che intenti vede al lavoro, tormentato dalle passioni, potrebbe mai essere felice? No, egli non prospererà; e chi non prospera è infelice...

8. Come l’accidioso è punito. — Vedendo Gesù Cristo accanto alla strada una ficaia, le si accosto, ma non trovandovi che foglie disse: «Non nasca mai più da te frutto nessuno »; e la ficaia seccò sull’istante (Matth. XXI, 19). Ecco un’imagine parlante del pigro: a lui toccherà la medesima sorte. « Son tre anni, disse il padrone della vigna di cui si parla nel Vangelo, che vengo a cercare frutto da questo fico e non ne trovo: troncalo adunque: perché aduggia ancora il terreno? » (Luc. XIII, 7).
Badate a voi, o infingardi, gridava S. Giovanni, che « già la scure è alla radice della pianta. Ogni albero che non porta buon frutto, sarà

tagliato e gittato al fuoco » (Luc. IlI, 3).
Iddio, disse Gesù Cristo, è simile ad un uomo ricco che, stando per mettersi ad un lungo viaggio, chiamò i suoi servitori e loro distribuì parte de’ suoi averi. E guardata la destrezza, l’ingegno, e l’attitudine di ciascuno, a chi diede cinque talenti, a chi due, a chi uno solo, quindi parti. Ora il servo dei cinque talenti andò a trafficarli, ne guadagnò assai, poiché di cinque che erano li fece aumentare a dieci. Così pure il secondo s’ingegnò e raddoppiò i due talenti. Ma colui che ne avea uno solo, fece una buca nella terra, e seppellì il talento del suo signore. Ora, dopo molto tempo, il padrone tornò dal viaggio e chiese il rendiconto ai servi. Venuto avanti il primo che aveva ricevuto cinque talenti, disse: Signore, voi mi deste cinque talenti, eccovi che io ne ho guadagnati altri cinque di più. E il padrone: Sta di buon animo, servo degno e fedele: in piccola cosa hai mostrato la tua lealtà, io ti deputerò sopra molte; entra nel gaudio del tuo signore. Venne il secondo, e, Signore, disse, mi avete affidato due talenti, ecco che ve ne rendo quattro. Rispose il padrone: Statti di buon animo, servo diligente e leale: Siccome in cosa di piccolo valore hai mostrata la. tua fedeltà, sopra molte ti costituirò, entra a parte del gaudio del tuo signore. Avanzandosi finalmente il terzo che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, io vi conosco per uomo duro e sì tenace che volete raccogliere non solo quello che avete seminato e sparso, ma anche quello che non seminate, nè ispargete; di che temendo io, ho messo il talento vostro sotterra ed ora ne l’ho tratto e vi rendo quel che è vostro. E il padrone gli rispose: Servo cattivo e pigro, se tu sapevi ch’io mieto dove non semino e raccolgo ove non ho sparso, perché almeno, come dovevi e potevi, non hai tu investito il denaro mio agli uomini, così che io tornando lo riavessi con lucro? Olà, ministri miei! togliete da costui il talento, e gittatemi questo servo infingardo e disutile nelle tenebre esteriori, dov’è il dirotto piangere senza consolazione, e il fremere dei denti senza tregua (Matth. XXV, 14-30). Questa parabola ci mette sott’occhi la sorte che spetta al servo laborioso e la punizione riservata all’ozioso: gli sarà tolto quel ch’eragli stato dato, e, privandolo Iddio delle sue grazie, si troverà, sprofondato nelle tenebre esteriori dell’accecamento spirituale, e da queste piomberà in quelle dell'Inferno, dove proverà eterno il pianto e il digrignare de’ denti.
Servo infingardo ed inutile, scuoti adunque l’indolenza tua e traffica il talento da Dio affidatoti: fa valere gli occhi, le orecchie, la lingua, le mani, i piedi, l’intelligenza, la memoria, la volontà; traffica il tempo, la grazia, i doni temporali e spirituali che hai ricevuto; consacra tutte queste cose al servizio del tuo Creatore. Ma guai a te se resti inerte in mezzo a tanti favori, guai se ne abusi; sarai spogliato di tutto e dato in preda a supplizi che non avranno fine.
L’ozioso imita ancora le vergini stolte di cui è parola nel Vangelo, e ne incontrerà la medesima sorte. Dieci verginelle, disse Gesù Cristo, prese le loro lucerne, si mossero di casa per fare il ricevimento solenne allo sposo ed alla sposa. Cinque d’esse erano dissennate e cinque savie; quelle non badarono che le lampade loro erano sfornite d'olio e non se ne provvidero, queste si portarono le lampade ben fornite e l'olio per rifornirle. Ora indugiando lo sposo a venire, tutte sonnecchiarono, poi s’addormentarono. Ma ecco in su la mezzanotte levarsi un rumore ed una voce gridare: Lo sposo s’avanza, andategli a fare ricevimento. A quel grido tutte quelle vergini si scossero e presero le loro lampade. E allora la stolte volgendosi alle prudenti, raccomandandosi dissero: Deh! prestateci un po’ dell’olio vostro, che le lampade nostre si spengono. E le savie a loro: perché non succeda che la provvigione nostra non basti nè a voi, nè a noi, volendola dimezzare, andate piuttosto dal venditore d’olio e comperatevene. Or, mentre s’affrettavano a andare, lo sposo arriva, e le savie che erano pronte, entrarono seco lui. nella sala da nozze, e furono chiuse le porte. Finalmente giunsero ansanti anche le altre vergini e trovando chiusa la porta, dicevano piagnucolando: Signore, signore, apriteci; ma egli: Andatevene, io non vi conosco, nè so chi siate (Ib. XXV, 1-12).
Le vergini savie e accorte, che si tennero pronte ed entrarono collo sposo nella camera del festino, sono gli uomini vigilanti e laboriosi. Le stolte e sconsigliate raffigurano gli accidiosi che dormono senza aver goccia dell’olio della fede e delle buone opere, e che per conseguenza non sono ammessi nel Cielo al banchetto dello sposo. La porta, sarà loro chiusa in faccia, ed avranno, ad imitazione delle vergini stolte, un bel gridare al punto di morte: Signore, Signore, per carità apriteci; chè il sovrano giudice, il quale rimerita ciascuno a misura delle opere, risponderà loro : Andatevene, che io non vi conosco... « No, dice S. Bernardo, il regno di Dio non si dà agli oziosi ».
Essi appartengono a quella torma di feriti dalla morte, de’ quali scrive il Salmista, che dormono nel sepolcro, dimenticati da Dio e da Lui cancellati dal libro della vita (Psalm. LXXXVII, 5).
Se i ricchi della terra disprezzano i servi pigri e indolenti, non pagano loro il salario e li rimandano via giustamente, vorreste voi che Dio ricompensasse l’uomo che lo serve con negligenza? come anzi non lo punirà severamente?...
« Guai a voi, grida il profeta Michea, che vi perdete in pensieri e disegni inutili» (Mich. II, 1). Vedete, soggiunge S. Ambrogio, l’ozioso Esaù; egli perdette la benedizione annessa al diritto di primogenitura.
«Non illudetevi, scriveva il grande Apostolo ai Galati, Iddio non si schernisce; l’uomo raccoglierà, quello che avrà seminato » (Galat. VI, 7-8); ed agli Ebrei, ricordava che la terra, la quale beve la pioggia che l’innaffia e produce erbe utili a chi la coltiva, riceve la benedizione di Dio; ma quella che germina spine e bronchi, è dispregiata, maledetta, e finalmente messa a fuoco (Hebr. VI, 7-8). Il buon terreno è simbolo dell’uomo laborioso; il terreno selvaggio, maledetto e corso dal fuoco rappresenta l’uomo codardo, indolente, infingardo, accidioso...
9. Rimedi contro l’accidia. — A S. Paolo che stava sbalordito davanti ad Anania per quel ch’eragli succeduto, quegli disse: «E ora che cosa aspetti? Levati su » (Act. XXII, 16); così si deve dire all’accidioso: levati dal miserabile stato in cui giaci, scuoti l’inerzia, cangia vita...
Il vero rimedio contro l’accidia sta nell’amor di Dio, perché la carità, al dir di S. Gregorio, somministra della forza.
« Non sottrarti al lavoro, se non ami perdere la corona », scrive Sant’Efrem; perché, appunto perché lavorassimo, Dio ci ha dato e mani e forze... Il tempo presente è il tempo del lavoro, l’avvenire o l’eternità sarà quello della ricompensa e del riposo.
S. Antonio udì una voce gridargli: Antonio, vuoi tu essere l’occhio di Dio? Prega; e quando il pregare ti sia impedito, esercitati sempre in qualche cosa colle tue mani.
Tra l’acqua che ristagna e quella che corre, qual è la migliore? chiede S. Giovanni Crisostomo; e il ferro vale meglio adoprandolo o lasciandolo inoperoso? (Hom. XXV, in Act. Apost.). S. Girolamo assegnava per regola a Rustico di fare sempre qualche cosa, affinché il Demonio lo trovasse sempre occupato: perché l’ozioso è preda dei cattivi desideri. Il che riconosceva anche Ovidio, il quale lasciò scritto : Col tenervi lungi dall’ozio voi spezzate l’arco di Cupido. « Un lavoro assiduo viene a capo d’ogni più difficile impresa », dice Virgilio.
Lavorare è proprio dei re, soleva dir Alessandro Magno. S. Ambrogio poi attesta di se medesimo che « non era mai meno solo che quando pareva esserlo; e non era mai meno ozioso che quando riposava ».
Deh! lavorate nella gioventù, affinché abbiate di che vivere nella vecchiaia; accumulatevi dei meriti su la terra, acciocché vi procurino la beatitudine celeste... Non potrete meditare mai quanto basta queste parole di S. Francesco d’Assisi : « Per un po’ di lavoro, una gloria immensa; per un piacere, momentaneo, una pena eterna ». Abbiate a mente, conchiude S. Isidoro, che il lavoro uccide la libidine.

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