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martedì 22 luglio 2014

AFFLIZIONI

1. Eccellenza e vantaggi delle afflizioni. — 2. Le afflizioni sono necessarie. — 3. Bisogna armarsi di coraggio per sopportare le tentazioni. — 4. Le persecuzioni sono leggere per il cristiano. — 5. Gesù Cristo ci aiuta a soffrire le afflizioni. — 6. Le consolazioni accompagnano le afflizioni. — 7. Bisogna soffrire le afflizioni con pazienza, confidenza e rassegnazione. — 8. Bisogna sopportare le afflizioni con perseveranza. — 9. Tutte le afflizioni sono un nulla in paragone dell'inferno. — 10. L’uomo si crea molte afflizioni. — 11. L'esempio dei Santi ci aiuta a sopportare le afflizioni. — 12. Le afflizioni sono un nulla paragonate alla gloria eterna che ci aspetta.







1. Eccellenza e vantaggi delle afflizioni. — « Il soffrire per Gesù Cristo, dice S. Giovanni Crisostomo, ha un non so che di più eccellente che non il risuscitare i morti; per questo io contraggo un obbligo verso Dio, per quello obbligo a me Gesù Cristo. Cosa meravigliosa! Gesù mi fa dono, e per questo dono medesimo si costituisce mio debitore ». Osservate Giuseppe, soggiunge in un altro luogo il medesimo Santo (Homil. ad pop.) : di prigioniero egli diventa sopraintendente di tutto l’Egitto, e apprendete dal suo esempio a conoscere il vantaggio delle afflizioni coraggiosamente tollerate: la sua pazienza è irremovibile, le prove non l’abbattono, e Dio, dopo averlo messo al cimento, lo trova degno di sè e lo benedice.
S. Egidio, discepolo di S. Francesco, diceva: «Ancorché il Signore facesse cadere dal Cielo pietre e macigni, non ne avremmo nessun danno, se sapessimo tollerare le tribolazioni » (Ribadeneira, In Vita); e S. Gionata riconosceva i forti della terra negli afflitti del mondo (Surio, In Vita). S. Cipriano chiama le tribolazioni le ali con cui egli si solleva sopra dei cieli, e S. Martino afferma che Gesù Cristo non si lascia vedere alle persone pie altrove che sulla croce (Surio, In Vita).
Perciò S. Bernardo esclamava : « Mi torna più utile, o Signore, languire nelle afflizioni, purché Voi siate con me, che regnare senza Voi, vivere lungi da Voi, essere esaltato non in Voi. E per me più gran fortuna abbracciarvi e possedervi nelle afflizioni, piuttosto che essere anche in Cielo, ma senza di Voi » (Serm. XVII).
« La potenza di Dio, scrive S. Paolo, raggiunge il suo fine per mezzo della debolezza. Volentieri adunque mi glorierò nelle mie infermità, affinchè abiti in me la potenza del Cristo. Per questo mi compiaccio nella mia infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce per Cristo : poiché quando son debole, allora son potente » (II Cor. XII, 9-10).
Voi vedete, ripiglia il citato S. Bernardo (Serm. XIX, in Cantic.), che le afflizioni della carne aumentano la vigoria dello spirito e gl’infondono coraggio : la vigoria della carne al contrario abbatte quella dello spirito. Qual meraviglia se i patimenti del corpo fortificano l’animo? Nulla di più naturale : indebolendo un vostro nemico, divenite per ciò stesso più gagliardi. Con che cuore l’uomo amerà questa carne, che si ribella del continuo allo spirito? Saggiamente adunque e ragionevolmente il Salmista chiedeva a Dio che lo visitasse con afflizioni (Psalm. CXVIII, 120). Ah il timor di Dio è una potentissima freccia!
« Anche noi siamo infermi con Gesù Cristo, scriveva S. Paolo, ma vivremo con Lui per la potenza di Dio, che si manifesterà in mezzo a voi » (11 Cor. XIII, 4).
« Sì, l’anima che è travagliata dalle afflizioni, sta molto vicino a Dio », dice il Nazianzeno. Per mezzo delle afflizioni, infatti, spiega S. Bernardo (Serm. X, in Coena Dom.), la concupiscenza è snervata; le virtù germogliano e mettono frutto; la carne corrotta vien soggiogata; l’anima s’innalza a Dio su le ali delle virtù. Mediante le afflizioni e i patimenti, la carne perde il superfluo, l’anima acquista le qualità che le mancano. Se dunque le afflizioni, questi doni dei Signore, fanno crescere le virtù, smorzano e allontanano i vizi, e inspirano il disprezzo dei beni terreni e ci spingono all’amore delle cose celesti, bisogna dire che ci assicurano la felicità eterna. Queste considerazioni ci dovrebbero animare a durare fortemente in quella lotta, la quale quanto più sarà dolorosa, tanto maggior splendore darà alla vittoria. Quando noi andiamo a Dio, non già tra la calma, ma in mezzo ai turbini delle afflizioni, noi diamo prova d’amarlo e del desiderio di piacere a Lui. Del resto non altra via ci rimane aperta per andare al Cielo se non quella delle croci, e perciò dobbiamo sopportarle e averle care.
Tutto questo riconosceva già il Salmista, sia quando confessava di se medesimo che, trovandosi nell’agonia e nel dolore, si volse ad invocare il nome di Dio (Psalm. CXIV, 3-4); sia quando gridava al Signore: Voi mi avete provato colle tribolazioni e mi avete conosciuto (Psalm. CXXXVIII, 1).
Non lasciamoci cadere d’animo per i patimenti, perchè essi distruggono in noi le voglie della carne, diceva S. Sincletica (Ribadeneira, In Vita); e prima di lei S. Cipriano aveva lasciato scritto: che vivendo noi secondo lo spirito e non a piacimento della carne, la forza dell'anima ci rende vittoriosi delle infermità del corpo (Epl. ad Demet).
Da Dio ci vengono le afflizioni; Egli che ha tutto ordinato in peso, numero e misura, Egli medesimo ha destinato da tutta l’eternità a ciascuno di quelli che l’amano la propria croce e particolari patimenti, e ne ha segnato i limiti; Egli ha decretato di spogliarci dell’uomo vecchio e di vestirci del nuovo per mezzo della pazienza, della purità, della grazia, dell’amore delle tribolazioni: Egli ha determinato di condurci al Cielo per questa strada. Or chi avrà in orrore e scanserà le afflizioni, se dall’infinita bontà di Dio esse sono destinate come un dono? Le tribolazioni ci fanno conformi a Gesù Cristo su la croce, per farci a lui conformi nella gloria...
Se per desiderio di gloria umana, dice Tertulliano, si va incontra alla spada, al fuoco, alla croce, alle belve, ai tormenti, non s’affronteranno tutte queste cose con maggior profitto per Iddio? Tutti i patimenti sono un bel nulla in confronto della gloria celeste (Apolog.).
È dottrina di S. Paolo che Dio percuote coloro che ama e che flagella coloro che vuole accogliere tra i suoi figli (Hebr. XII, 8). Secondo il Dottore delle genti adunque le afflizioni sono un benefizio, una grazia immensa di Dio.
Questa è appunto la conclusione che ne ricavarono i Santi, tra i quali S. Basilio il quale dice nella sua Regola LV che le malattie sono la sferza che percuote il peccatore, lo spinge a mutar vita e a convertirsi; e narra, a questo proposito, come un santo abate indicò un giorno questo rimedio ad uno de’ suoi discepoli che giaceva infermo, dicendogli: « Non v’attristate, o figlio, dell’infermità che vi travaglia; è proprio della pietà consumata ringraziare Dio delle tribolazioni che manda. Se l’anima vostra rassomiglia al ferro, il fuoco dei patimenti consumerà la ruggine che la fa brutta, se all’oro, vi purgherà d’ogni scoria. Sostenete dunque questa prova, e pregate che si compia in voi la volontà di Dio ». S. Giovanni Crisostomo poi predicava : « Non dobbiamo già credere che le afflizioni sieno un segno, che Dio ci abbia abbandonati e ci disprezzi; al contrario, sono la più chiara prova che Dio si ricorda e pensa a noi, perchè ci purifica con esse de’ nostri peccati, ci fornisce potenti mezzi con cui meritarci la grazia e la protezione sua » (Homil. XXXII, in Genes.). E per ultimo S. Bernardo afferma che le frequenti afflizioni sono come un martirio, una specie d’effusione di sangue.

2. Le afflizioni sono necessarie. — Le afflizioni sono necessarie per domare la concupiscenza, per espiare i peccati, per distaccare dal mondo, per condurre al distacco di se medesimo, all’attaccamento e all’obbedienza di Dio... Sono inevitabili... La vita presente, dice S. Agostino nelle sue Meditazioni, c. XXI, è un faticoso pellegrinaggio : è fugace, incerta, laboriosa, espone a mille brutture, e trae seco una caterva di mali; è la regina degli orgogliosi, riboccante di miserie e d’errori tanto che si dovrebbe chiamare morte e non vita. L’uomo infatti muore in ciascun istante, e non cessa di cangiarsi se non per sottostare a diversi generi di morte. Possiamo noi chiamare vita il tempo che passiamo in questo mondo? O Dio! e che vita è questa, che gli umori alterano, i dolori snervano, i calori disseccano, i piaceri spossano, le ambasce rodono: che basta un soffio ad attossicare, che l’inquietudine abbrevia, che la sicurezza inebetisce? Gli alimenti c’impinguano, i digiuni ci estenuano, le ricchezze ci gonfiano e inorgogliscono, la povertà ci umilia, la gioventù ci fa imbaldanzire, la vecchiezza ci curva, la malattia ci spezza, la tristezza ci accascia. A tutti questi mali tien dietro l’implacabile morte, la quale mette fine a tutte le gioie di questa miserabile vita così che al cessar di lei saremmo portati a credere che non abbia mai esistito. Questa morte è veramente la vita, e la vita una specie di morte.
Un’eguale pittura fa della vita temporale S. Gregorio Magno ne’ suoi Morali Essa è, egli dice, faticosa, seminata di spine, scorre tra agitazioni e penosi lavori. Chi è che il dolore non istrazii, che le sollecitudini non torturino, che il timore non angustii? Si piange e si ride ad un tempo; la melanconia s’accoppia alla letizia; si ha fame e si mangia, ma non si è ancora smaltito il boccone, che già la fame nuovamente ci stimola. La sete ci svigorisce, il caldo ci snerva, il freddo c’intirizzisce. Da ogni lato sospiri, lagrime, singhiozzi, miserie universali, innumerabili, svariatissime. Il ricco ha le sue afflizioni e ben sovente cocentissime, il povero ne è circondato; i piccoli vi sono esposti, i grandi non ne vanno illesi.
Il Crisostomo paragonava la vita che meniamo in questo mondo a quella che vive la creatura nel seno materno, tante sono le angustie e i patimenti che ci attorniano, ci premono, ci soffocano; e Menandro diceva: che il dolore venne al mondo insieme con la vita e con essa invecchia.
Ogni uomo al suo comparire nel mondo mette fuori un gemito, osserva Salomone, i suoi occhi gonfi di lagrime annunziano ch’egli entra in una terra di maledizione e di patimenti (Sap. VII, 3). Ah! sì, pur troppo « il bambino ha il presentimento del dolore senz’ancora conoscerlo, soggiunge S. Agostino; il suo sguardo e il suo gemito profetizzano le mille afflizioni della vita che gli toccherà soffrire e che già deplora ».
La vita dell’uomo è, agli occhi di Giobbe, un servizio militare, i suoi giorni sono come quelli del mercenario, brevi e tristi : coricandosi grida lagrimoso: Quando mi leverò? quando finirà la notte? Ohimè! sarò abbeverato di patimenti fino al giungere delle tenebre (Iob. VII, 1; XIV, 1; VII, 4).
Bisogna che noi conformiamo la vita nostra alla legge di Dio. Ora, commenta S. Agostino, «tutta la vita del cristiano, s’egli vive a norma del Vangelo, è una croce ed un martirio ».
Le pene ed i patimenti della presente vita sono molte volte assai gravi e frequenti. L’afflizione ci ha incolto, scrive S. Paolo ai Corinzi, al di sopra delle nostre forze, a tale che siamo perfino stanchi dei vivere (II Cor. I, 8). Al di sopra delle nostre forze, che è a dire delle forze della natura e del corpo, non però di quelle della grazia e dello spirito. La vita ci è grave, per parte della natura, non però della carità e del soccorso dall’alto.

3. Bisogna armarsi di coraggio per sopportare le tentazioni. — « Per un’anima coraggiosa, dice S. Ambrogio, le afflizioni son corone, per una pusillanime sono ceppi e infermità ».
L’anima forte non si lascia prostrare dalle avversità, ma si tiene in piedi, resiste e trionfa. Come la calce bolle nell’acqua e il fuoco si ravviva al soffio del mantice, così la forza e l’energia di un’anima grande si avvalorano nelle afflizioni e nelle tribolazioni. La virtù è un albero, che più è scorticato, più rinverdisce; e come s’esprimeva Catone : I serpenti, la sete, il caldo, il combattimento del circo sono per la virtù cose dolci e care, e ne’ duri cimenti la pazienza si compiace.
Ascoltate anche S. Giovanni Crisostomo : « Sei pure delicato, o soldato di Gesù Cristo, se credi di poter vincere senza combattere e trionfare senza resistere. Spiega le tue forze, combatti da valoroso, sii coraggioso nel sostenere la lotta accanita. Rammenta il giuramento fatto al santo Battesimo; osserva il vessillo sotto cui ti sei schierato; considera le condizioni che hai accettato ».
Non bisogna mai lasciarsi cader d’animo, ma prendiamo norma da San Paolo, il quale di sè attestava : « Siamo per ogni verso tribolati, ma non avviliti di spirito : siamo angustiati, ma non disperati: siamo perseguitati, ma non abbandonati: siamo abbattuti, ma non estinti » (II Cor. IV, 8-9).

4. Le persecuzioni sono leggere per il cristiano. — Le afflizioni, le persecuzioni seguono l’uomo pio, non lo precedono. Di qui la parola persecuzione, persecutio.
La croce è così dolce per chi ama, che non è più croce, ma l’inizio della vita e della vera letizia; ed è per ciò che S. Caterina da Siena trovava amare le consolazioni di quaggiù, e dolci le amarezze. Ah! nella croce si trova la vera dolcezza, la consolazione sincera, la verace allegrezza; abbracciatela e lo saprete per esperienza. E poi non si va forse dalla croce in Cielo?... Non si dà afflizione così dura e trafiggente, dice S. Gregorio, che non sembri leggera a chi pensi alla Passione di Gesù Cristo: poiché qualunque tribolazione ci assalga, è pur sempre poca cosa, se pensiamo che assai ben più strazianti furono le parole e dolorosi i colpi e atroci i supplizi a cui Egli per noi si sottomise : il suo capo fu straziato dalla corona di spine, i suoi occhi coperti d’un velo, le sue orecchie lacerate da orribili bestemmie, fu abbeverato di fiele e di mirra, il suo volto augusto fu sfregiato dagli schiaffi e dagli sputi. Ebbe le spalle affrante sotto il peso della croce, il cuore amareggiato di tristezza, il corpo intero lacerato da verghe, le mani e i piedi forati da chiodi. Non fu insomma che piaghe e dolori dalla pianta de’ piedi al vertice del capo (Homil. in Pass. I, 6).

5. Gesù Cristo ci aiuta a soffrire le afflizioni. — « Il nostro Pontefice, dice il grande Apostolo agli Ebrei, non è di tal natura, che non sappia compatire alle nostre debolezze; anzi egli è stato come noi messo alla prova d’ogni sorta di mali, benché esente da peccato » (Hebr. IV, 15). Gesù Cristo soffre con gli uomini che sono suoi membri; ha sofferto con S. Lorenzo il fuoco, con S. Stefano la lapidazione, con S. Ignazio martire i morsi delle bestie feroci, ecc. Egli prende parte ai combattimenti de’ suoi fedeli servi, secondo quel che si raccoglie nelle parole di S. Paolo a Timoteo: « Tu sai le persecuzioni, i patimenti che ho sofferto in Antiochia, in Iconio, in Listri, quanto grandi sieno state le afflizioni che ho incontrato; ma da tutti que’ mali m’ha liberato il Signore » (Il Tim. III, 11). E più sotto: « Nella mia prima difesa nessuno fu per me, ma tutti m’abbandonarono; non sia ad essi imputato. Il Signore però m’assistè, mi confortò... e fui liberato dalla bocca del leone » (II Tim. IV, 16-17).
«Quando l’invocai m’esaudì il Dio della mia giustizia; nella tribolazione m’ha aperto una strada spaziosa » (Psalm. IV, 1). Queste parole del Salmista così sono commentate dal Cardinale Bellarmino: Alcune volte Dio esaudisce liberando dall’afflizione : talvolta esaudisce dando la virtù della pazienza, ed è questo un più segnalato benefizio ancora; tal altra accorda per sopra più non solo la pazienza, ma la gioia (Comment. in Psalm.).
« Dio è molto vicino al cuore che geme » (Psalm. XXXIII, 19), dice il Profeta; e altrove rivolto a Dio esclama: « Quanto facesti provare a me tribolazioni molte ed acerbe! e di nuovo mi ravvivasti e dagli abissi della terra di bel nuovo mi traesti » (Psalm. LXX, 20) ; e il Signore a lui : « M’invocasti nella tribolazione, ed io ti liberai : ti esaudii nella cupa tempesta; feci prova di te alle acque della contraddizione » (Psalm, LXXX, 8). E di altri ancora attesta il medesimo Salmista che « in mezzo alle tribolazioni levarono le loro grida al Signore, ed Egli li liberò dalle loro miserie » (Psalm. CVI, 13).
Tobia diceva che Dio percuote e guarisce, conduce nel sepolcro e ce ne ritira (Tob. XIII, 2); e riconosceva che Dio ci punisce a cagione delle nostre iniquità e ci salverà per riguardo alla sua misericordia (lb. XIII, 5).

6. Le consolazioni accompagnano le afflizioni. — A misura che s’aumentano in noi i patimenti di Gesù Cristo, crescono anche in noi le consolazioni per mezzo di Gesù Cristo, dice S. Paolo (II Cor. I, 5). Ah sì! più si moltiplicano e s’aggravano le afflizioni tollerate per la causa di Dio, e più si accrescono e abbondano i conforti. Le afflizioni dei mondani al contrario sono fiele senza miele, e più si moltiplicano, più ancora s’aumenta la desolazione, la noia, l’abbattimento, loro inseparabili compagni. Di qui ne segue che, invece di schivare le croci, conviene desiderarle, perchè sono feconde di gioie. S. Paolo ne faceva la dolce prova quando scriveva: « Mi sento inondato dall’allegrezza in mezzo a tutte le nostre tribolazioni » (Ib. VII, 4). Via dunque da noi il rattristarci e il dolerci delle pene e delle afflizioni nostre; rallegriamocene piuttosto e andiamone santamente lieti, imitando il grande Apostolo che facevasi oggetto di gloria non solamente la speranza cristiana, ma ancora la tribolazione sofferta per Gesù Cristo (Rom. V, 2-3).
Essendo stati gli Apostoli crudelmente flagellati per ordine del sinedrio, noi leggiamo che se ne tornavano lieti e gioiosi d’essere stati giudicati degni di soffrire quell’oltraggio per il nome di Gesù Cristo (Act. V, 41) : e di S. Andrea in particolare dice S. Bernardo, che andava al supplizio della croce non solamente con pazienza, ma volenteroso, anzi bramoso, come se corresse non ai tormenti e al martirio, ma ad una splendida festa, ad un magnifico banchetto.

7. Bisogna soffrire le afflizioni con pazienza, confidenza e rassegnazione. — « Noi ci gloriamo nella speranza della gloria de’ figli di Dio, scriveva S. Paolo ai Romani, e non solamente in questa speranza, ma ancora nelle afflizioni, sapendo che l’afflizione produce la pazienza, la pazienza la prova, la prova la speranza; e questa speranza non è vana » (Rom. V, 2-5).
S. Agostino ci avverte che non ci lamentiamo quando ci vediamo colpiti dall’avversità, perchè dall’amarezza delle cose terrene impariamo ad amare quelle del Cielo; viaggiatori nell’esilio, per mezzo delle tribolazioni entriamo nella strada della patria (Serm. XVIII).
Quando voi siete afflitti, dice S. Pier Damiani, quando patite, siate pieni di confidenza; non mormorate, non impazientatevi, non brontolate, ma conservate la serenità nel volto, la gioia nel cuore, e abbiate su le labbra il rigraziamento (Epl. VII).
E per mantenervi nella pazienza e nella confidenza, pensate che le afflizioni sono una prova di predestinazione e d’amore per parte di Dio il quale castiga il peccatore, appunto quando lo vuole salvo; mentre al contrario l’impunità è un segno di collera e di riprovazione divina.

8. Bisogna sopportare le afflizioni con perseveranza. — « Portiamo del continuo e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù Cristo, dice l’Apostolo ai Corinzi, affinchè vi si manifesti anche la vita di Gesù » (LI Cor. IV, 10).
« Può aspettare con sicura fiducia la felicità promessa da Dio, scrive S. Leone, colui che partecipa alla Passione del Salvatore; e siccome il cristiano deve sempre vivere secondo pietà, così deve sempre portare la croce ».

9. Tutte le afflizioni sono un nulla in paragone dell’Inferno. — Ascoltate S. Agostino : « Al presente la vita e i temporali diletti sembrano dolci e troviamo invece disgustose e amare le afflizioni; ma chi non sorbirà il calice delle tribolazioni per timore del fuoco dell’Inferno? E chi non avrà a nausea i dolciumi del secolo, se sospira ai beni dell’eternità felice? ».
Che cosa sono tutte le croci, i patimenti, i dolori, i tormenti, il fuoco, il ferro, la morte anche più violenta paragonati al fuoco dell’Inferno? Se dunque la tentazione vi assedia, la malattia vi assale, la tristezza vi abbatte, se altri vi disprezza, vi calunnia, vi diffama, vi maltratta, vi condanna, vi crocifigge, vi martirizza, pensate che tutto ciò poco dura e si dilegua, ma che il fuoco dell’Inferno è eterno...
Non cerchiamo, dice il Crisostomo, di sottrarci al male del patire, ma al male del peccare: perchè la sola vera afflizione è quella di offendere Dio.

10. L’uomo si crea molte afflizioni. — Dio ha fatto ammonire gli uomini, per bocca del Salmista, che se essi respingono la sua legge e non si regolano secondo i suoi comandi, se profanano la sua giustizia, e trasgrediscono i suoi precetti, Egli visiterà le loro iniquità colla verga alla mano, e castigherà severamente i loro peccati (Psalm. LXXXV11I, 32). Questo vuol dire che la violazione della legge di Dio è sempre stata e sarà sempre la prima e principale causa di tutte le afflizioni; ma questa violazione è volontaria. Perchè dunque noi, miserabili peccatori, ci lamentiamo delle pene che ci vengono inflitte se la loro vera causa è il peccato a cui abbiamo consentito liberamente? Lasciamo d’offendere Dio, e Dio cesserà di punirci: le nostre afflizioni diminuiranno, e la grazia ci sosterrà a sopportarle con rassegnazione e anche con gioia.
« Sedevano nelle tenebre e nell’ombra di morte, imprigionati, incatenati, mendichi, perchè furono ribelli alla parola di Dio, e disprezzarono i disegni dell’Altissimo. E fu umiliato negli affanni il loro cuore, restarono senza forze, e non fu chi loro prestasse soccorso » (Psalm. CVI, 10-12). Quanto spesso s’avverano queste parole del Salmista!
Dove trovare un supplizio più atroce di quello d’una coscienza torturata, straziata e lacerata dal rimorso? Che afflizione è da paragonare a quella di sapersi nemico di Dio, schiavo di Satana, degno dell’Inferno? Qual pena più grave di quella che infligge il peccato mortale dando morte all’anima? Queste sono le afflizioni che si devono soprattutto temere; ora non siamo noi che le vogliamo, che le cerchiamo di proposito, quando vogliamo e cerchiamo il peccato che ne è la propria causa?... In quanto alle cose temporali medesime, quante afflizioni noi non ci attiriamo con esse!... Voi entrate senza riflessione e senza vocazione, nello stato matrimoniale; la donna che avete impalmato è senza cervello, ecc. : chi ve l’ha imposta? Voi sperperate il vostro avere in giuochi, in conviti, in far baldoria; ben presto, come il figliuol prodigo, vi trovate nella miseria: chi v’ha ridotto a tali strette?... Contrariamente ai salutari avvisi de’ suoi genitori, del suo pastore, del confessore, quella ragazza si espone a pericolo, vi cade, si perde e si disonora: chi è in colpa dell’umiliante e crudele sua afflizione? Nonostante i caritatevoli e ripetuti ammonimenti, quel giovane libertino mette in pericolo la sanità e la vita: di chi la causa?... La maggior parte dei patimenti che ci opprimono, e di cui tanto ci lamentiamo, sono opera nostra: noi ci torturiamo con le nostre mani: non accusiamo altri che noi medesimi.

11. L’esempio dei Santi ci aiuta a sopportare le afflizioni. — Giacché siamo circondati da sì numerosa moltitudine di testimoni, dice S. Paolo agli Ebrei, sbrighiamoci di tutto quello che c’ingombra e de’ legami del peccato, e corriamo, per mezzo della pazienza, nella carriera che ci è aperta (Hebr. XII, 1).
« O Signore, esclama S. Agostino, quaggiù tagliate, bruciate, purché ci risparmiate per l’eternità » (Soliloq.).
« O soffrire, o morire » era il voto di S. Teresa (In Vita).
Didimo che fu cieco per ottant’anni, era solito dire che è assai meglio vedere con gli occhi dello spirito che non con quelli del corpo; quelli non hanno da temere la paglia del peccato, ma questi possono, con uno sguardo, gittarci nel fuoco dell’Inferno. E in quanto a sé si stimava fortunato d’essere cieco da sì lungo tempo (Vita Patr.). Il B. Pietro, abate di Chiaravalle, avendo perduto un occhio dopo una crudele malattia, diceva: « Sono stato liberato da uno de’ miei nemici, e più temo di quello che mi rimane che di quello che ho perduto » (Ribadeneira, In Vita).
Essendo S. Lorenzo Giustiniani caduto infermo già assai vecchio, il suo medico si vide obbligato a tagliargli le carni, ma venuto all’atto, esitava ad adoperare il ferro; allora il Santo per incoraggiarlo disse: Suvvia, fatevi animo, perchè il vostro ferro è un trastullo paragonato alle unghie acute e alle graticole di fuoco adoperate co’ Martiri (Surius, In Vita).
Condotta al supplizio, così parlava S. Cecilia: «Morir martire non è un perdere la giovinezza, ma un cangiare la temporale in una gioventù eterna; è un dare fango per ricevere oro, un lasciare una misera capannuccia, un vile tugurio, per un sontuoso e splendido palazzo : è un far baratto di cosa fragile e transitoria con altra stabile ed imperitura » (Surius, In Vita).
Vi servano di modello i fanciulli nella fornace di Babilonia; Daniele nella fossa de’ leoni; gli Apostoli, i Martiri, i Santi...

12. Le afflizioni sono un nulla paragonate alla gloria eterna che ci aspetta. « I patimenti della presente vita, scriveva S. Paolo ai Romani, non hanno proporzione di sorta con la gloria che deve un giorno sopra di noi risplendere » (Rom. VIII, 18); ed ai Corinzi scriveva ch’egli non metteva il cuore nelle cose visibili, che sono periture e transitorie, ma bensì nelle invisibili, perchè durature in eterno (IT Cor. IV, 6).
Chi dunque, commenta qui S. Bernardo, oserà mormorare e dire :
Ah! questo, è troppo lungo, troppo grave, io non posso reggere ad afflizioni così lunghe e così penose! S. Paolo chiama le tribolazioni prove d’un momento, eppure nessuno di voi per certo ha ricevuto le battiture date dai Giudei a questo grande Apostolo; voi non avete, come lui, lavorato più che tutti gli altri uomini; non avete combattuto fino al sangue. Considerate che le afflizioni non hanno ombra di proporzione con la gloria che Dio loro riserva. Anzitutto, perchè tener conto d’ore e di giorni incerti? L’ora passa e con essa le pene. Esse non durano, ma spariscono col succedersi. Così non avviene della gloria e della ricompensa concessa ai travagli ed ai patimenti. Questa ricompensa non prova cangiamento, non conosce termine : esiste tutt’intera in ciascun istante e dura per l’eternità. E poi la pena si beve a piccoli sorsi non si beve del continuo e passa. Ma la ricompensa è un torrente di piacere; è un fiume di gioia che inonda; è un mare di gloria e di pace (Serm. I). Le sofferenze scompaiono come un soffio, la gloria dura come Dio. « Tanto è il bene che m’aspetto, andava esclamando S. Francesco d’Assisi, che ogni pena, ogni malattia, ogni mortificazione, ogni umiliazione m’è diletto » (S. Bonaventura, In Vita).
Le afflizioni sonò una goccia di fiele; ma il premio che sta riservato a coloro i quali le tollerano pazientemente e cristianamente, è un oceano di miele, una gloria, una delizia, una felicità eterna...
« Coraggio adunque, vi dice Gesù Cristo, coraggio, mio buono e leal servo, sii fedele nelle piccole cose ed io ti costituirò su le molte e grandi: tu entrerai nella gloria del tuo Signore» (Matth. XXV, 21).


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